Negli anni Ottanta, i cristiani in Iraq erano 1,4 milioni. Oggi, a voler essere ottimisti, ne sono rimasti 400mila. La persecuzione in cui stanno sprofondando è la dimostrazione di un fallimento tridimensionale. è il collasso di una strategia politica internazionale, quanto specifica del Medio Oriente. L’idea di Obama, nel 2010, di ridurre in maniera significativa la presenza militare degli Stati Uniti nel quadrante iracheno si sta dimostrando del tutto controproducente. D’altra parte non può essere sempre colpa degli Stati Uniti. Troppo banale, troppo facile. La pretesa dell’Isis di ricostruire un califfato, sulle orme di quelli degli Ommayadi e degli Abbasidi, di cui Damasco e Bagdad erano le capitali (VIII-XIII secolo), è la dimostrazione che il Medio Oriente non ha mai metabolizzato nessuna delle decisioni politiche assunte in questi ultimi cent’anni. Volendo fare uno sforzo di sintesi, si può dire che il califfato dell’Isis è il rifiuto di quella geometria di frontiere disegnate dai signori Sykes e Picot nel 1916. Come si è arrivati al califfato? E’l’immediata conseguenza del rigetto del modello libanese trapiantato in Iraq. E qui si passa alla dimensione religiosa. Baghdad non ha mai accettato la coesistenza di confessioni ed etnie tradizionalmente in lotta fra loro e la spartizione dei poteri secondo uno schema che a Beirut funziona (male). Dopo trent’anni di dittatura di Saddam Hussein, sunnita, era prevedibile che il sovvertimento degli equilibri politico-confessionale non venisse accettato da nessuno. Alla premiership attribuita alla maggioranza sciita, amica di Teheran, e alla crescente autonomia dei curdi, la minoranza sunnita non è mai stata accondiscendente. Così, sfruttando l’onda lunga delle primavere arabe e in particolare la guerra civile in Siria, le forze più estremiste del jihadismo sunnita hanno alzato i loro vessilli contro quelle minoranze che durante il regime di Saddam erano o sottomesse con violenza, oppure oppresse tramite ricatti di varia natura. L’Isis – in nome di un falso Dio – pretende di purificare la terra dell’Islam da tutti coloro che sono apostati e quindi empi. Coloro che rientrano in questa categoria sono: Sciiti, alawiti, aleviti, drusi, curdi, ebrei, circassi, sufi e per ultimi i cristiani. Di molti di loro noi non sappiamo nemmeno che l’estremismo sunnita ha già emesso la sentenza di morte. Sotto il regime di Saddam, le Chiese irachene con relativi fedeli erano considerati sudditi non musulmani di un regime governato dalla shari’a. L’Iraq di Saddam Hussein non era soggetto alla legge islamica, tuttavia pretendeva che i cristiani pagassero una tassa di libera professione e protezione. Erano cittadini di categoria inferiore. Al tempo però in una situazione ben peggiore vivenavo curdi, sciiti e altre minoranze. Da questo potrebbe quasi sembrare che i cristiani fossero asserviti al regime, ma non è assolutamente cosi. è vero che alcuni esponenti del governo fossero battezzati. Ma si trattava per lo più di spregiudicate “mosche bianche”, primo fra tutti Tareq Aziz, il ministro degli esteri di Saddam. Nella loro generalità, le Chiese irachene potevano officiare messa, ma con discrezione. Oggi l’Isis sembra aver reintrodotto lo status giuridico di apostati. Con una sostanziale differenza. Sia rispetto a quel che fece Saddam, sia ai califfi cui l’Isis stesso si rivolge. Ai cristiani iracheni viene detto di pagare, tanto e subito, in modo da avere poche ore per far fagotto e scappare. Dhimmi non significa più pagare per restare. Vuol dire rinunciare a tutto, pur di avere una bassa probabilità di salvezza. Al tempo, i califfi si facevano pagare dai cristiani e dagli ebrei perché restassero e rendessero sempre più florido e multi-identitario il loro regno. Oggi l’Isis vuole purificare il califfato. La sofferenza dei cristiani in medio oriente non è nuova. Dalla guerra nel 2003, chiese e comunità sono costantemente sotto attacco. Siamo quindi noi a non aver udito il campanello d’allarme. La storia, dimostra quanto sia silenziosa l’incubazione di un genocidio. La pulizia etnica approfitta del disinteresse della comunità internazionale per attecchire. è già accaduto in Turchia con gli armeni, nella Germania nazista con gli ebrei e nei Balcani con i bosniaci musulmani. Fallire significa non saper tradurre gli errori in esperienza.
Cultura e Società
I Cristiani: perché ancora in croce?
Paolo Emanuele · 10 anni fa