Hanno fatto il giro del web le parole del Vescovo di Agrigento. Nella città dei templi, per la festa di San Calogero è tradizione gettare il pane al passaggio del santo. è un gesto di fede gettare il pane? Qualcuno ha il coraggio di dire che è per “devozione al santo” buttare il pane a terra, in tempo di crisi e di grandi difficoltà, quando molta gente si trova costretta a cercar da mangiare anche tra i cassonetti della spazzatura? Per questo il vescovo agrigentino ha ragione: “nessuno può chiedermi per amore della tradizione di accettare un gesto che ha perso ogni significato cristiano e umano”. La cronaca – stranamente la cronaca – di questi giorni ha dedicato pagine, servizi e speciali sulle processioni nel reggino. Su questo punto, al di là delle singole vicende e degli eventuali risvolti, la posizione della Chiesa è stata sempre ben chiara e sempre lo sarà.
Papa Francesco insegna. C’è un aspetto però da mettere a fuoco, che per molti punti di vista resta taciuto. Forse questa vicenda può rappresentare un’occasione per discernere e per purificare. E questo ce lo auguriamo un po’tutti. Ma siamo sicuri che ci sia da controllare solo il percorso delle processioni e chi porta le statue? Perché non provare a interrogarsi sui tanti comitati festa, che di cristiano e di ecclesiale hanno ben poco? O sui cosiddetti “specialisti delle feste”, che passano a tappeto paesi e paesi e che propongono cantanti, fuochisti e luminarie? Senza trascurare le file di chi, fa una raccolta fondi, porta a porta per organizzare una mega festa in onore di chi non si sa chi? Il Vescovo di Agrigento recrimina sul pane buttato sulla statua del Santo. Allo stesso modo perché non vigiliamo sui soldi buttati per una festa? è come se ci riempissimo la bocca della crisi e della povertà, eppure la festa si deve fare. Ma quale festa? E poi a che titolo abbiamo associato la devozione di un Santo ai megaconcerti e mega spettacoli pirotecnici? Chi ci ha autorizzato? Ma la fede è solo folklore? Strano! La fede si traduce in carità, non in folklore. La fede si incarna, si fa cultura, si fa incontro, ma non stordimento. Per questo, la festa in una comunità è un momento di fede. Quando lessi la vita del Curato d’Ars rimasi sorpreso dalla sua avversione per le feste paesane, dove il “chiappino” (così chiamava il diavolo) aveva molto di che festeggiare. Vivendo alcune feste patronali, è davvero difficile dargli torto. Invece la festa non sarebbe il giorno del perdono reciproco, della riconciliazione tra nemici? Non sarebbe il giorno in cui ospitare i poveri e chi non ha fame? Il giorno della festa non sarebbe il giorno in cui ricordarsi che è bello essere cristiani e appartenere alla Chiesa? E non sarebbe quello il giorno in cui sentire forte la parola del Signore: pratica la giustizia, soccorri il debole, vesti chi è nudo, accogli il forestiero? La gloria di Dio non passa “attraverso gesti che hanno ormai perso il loro significato originario ed anzi, oggi, l’offendono (Gesù ha detto: avevo fame e non mi avete dato da mangiare...), ma attraverso l’amore per coloro che, insieme alla serenità economica, hanno anche perso la speranza”. Non vogliamo far perdere la festa e lo spirito della festa a nessuno. Ma non chiedeteci di accettare cose che con la festa cristiana non hanno nulla a che fare. Papa Francesco insegna.