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Cultura e Società

Benedetto XVI e Papa Francesco: due visite, una scossa alla responsabilità dei calabresi

Rosario Dara · 10 anni fa

Quali differenze tra l’incontro di Papa Francesco con i calabresi del 21 giugno scorso a Sibari e quello di Papa Benedetto XVI del 9 ottobre 2011? E’poco “corretto” come sempre fare confronti tra un papato e un altro, così come tra due vescovi o due sacerdoti chiamati a ricoprire lo stesso ministero. Ma una visita di forte impatto come quella di Papa Bergoglio in Calabria e la “scomunica” della ‘ndrangheta, ripresa dalla stampa mondiale, a due anni e mezzo dalla visita di Benedetto XVI nella nostra Lamezia Terme, suggerisce qualche spunto di riflessione su cui provare a fare un confronto. Partiamo dalle differenze. Lasciamo ai tanti opinionisti che amano dire alla Chiesa quello che deve indicare le differenze più scontate: Bergoglio ha pronunciato la parola ‘ndrangheta taciuta da Benedetto XVI, ha pronunciato la parola scomunica nei confronti degli ‘ndranghetisti, ha incontrato familiari di vittime di mafia… Se sul piano mediatico indubbiamente delle differenze si notano perché diversi sono stati i contesti della visita – non dimentichiamo che la decisione del pontefice di venire in Calabria è stata spinta dal tragico omicidio del piccolo Nicola Campolongo da parte delle cosche locali – sul piano dei contenuti pastorali e del messaggio sociale della visita del Pontefice in Calabria, c’è una linea di continuità, un comune messaggio indirizzato dal successore di Pietro alla terra di Calabria: calabresi, ripartite da voi stessi, dalle vostre risorse spirituali e materiali, e diventate protagonisti del cambiamento di cui questa terra ha bisogno. Mons. Nunzio Galantino, proprio nella nostra città lo scorso mese di maggio, parlando della futura visita di Papa Francesco in Calabria, aveva evidenziato che “una visita non basta a cambiare la Calabria”, serve un’assunzione di responsabilità da parte degli stessi calabresi e non solo dalle loro classi dirigenti. E Papa Francesco, come fece Benedetto XVI a Lamezia invitando ad attingere alle “risorse della vostra fede e delle vostre capacità umane” per superare le emergenze di una “terra sismica”, non ha solo “scomunicato” la ‘ndrangheta, ma ne ha smascherato la natura e ha richiamato le responsabilità che tutti i calabresi hanno nell’affrontarla e sconfiggerla. La ndrangheta – ha detto Papa Francesco – è “adorazione del male e disprezzo del bene comune” e “bisogna dirgli no”. Non è un compito che spetta solo alle Forze dell’Ordine e alla Magistratura, non è una responsabilità solo politica “stricto sensu”, ma è dovere di tutti, di tutti coloro che “non sono mafiosi” proprio perché a differenza dei mafiosi amano “il bene comune”. E la responsabilità è a 360 gradi: Bergoglio ha parlato alla Chiesa che “deve sempre di più spendersi perché il bene possa prevalere”, dei giovani ai quali ha chiesto di “non lasciarsi rubare la speranza”, alle autorità civili e istituzionali chiamate a “vivere l’impegno politico e amministrativo per quello che è, un servizio al bene comune”. Un gioco di squadra, quello chiesto da Papa Francesco, che riprende il monito di Benedetto XVI di quasi tre anni fa nell’area ex Sir di Lamezia Terme: “Non cedete mai alla tentazione del pessimismo e del ripiegamento su voi stessi. Fate appello alle risorse della vostra fede e delle vostre capacità umane; sforzatevi di crescere nella capacità di collaborare, di prendersi cura dell’altro e di ogni bene pubblico, custodite l’abito nuziale dell’amore; perseverate nella testimonianza dei valori umani e cristiani così profondamente radicati nella fede e nella storia di questo territorio e della sua popolazione”. Bene comune, responsabilità di tutti nell’affrontare i problemi, vivere la fede non come un fatto tradizionale o devozionistico, ma tradurlo nell’impegno concreto del “prendersi cura” della propria comunità, del “farsi gli affari degli altri” secondo le logiche del Vangelo, avendo come bussola di riferimento i principi della Dottrina Sociale della Chiesa. Spenti i riflettori su Sibari, resta questa grande responsabilità che con parole e toni diversi i due Papi ci hanno lasciato: calabresi ora tocca a voi, credenti calabresi fate della vostra fede una risorsa preziosa per lo sviluppo “integrale” di questa terra. Uno sviluppo che non è più fatto di finanziamenti a pioggia o investimenti improvvisati, ma richiede un progetto strategico, che guardi alla Calabria dei prossimi 20 anni. Ma prima di tutto, Benedetto e Francesco ci chiedono uno scatto di responsabilità: superando quella tendenza all’indifferenza e alla chiusura, quell’egoismo che fa curare il proprio orticello nella speranza di sopravvivere giorno per giorno, i due Papi ci spronano a prenderci cura di ciò che è nostro, a sentirci comunità, a sentirci parte di un progetto più grande in cui tutti dobbiamo fare la nostra parte. Mettere al centro il “bene comune” in una terra dove molti fanno solo i propri interessi o quelli dei propri consanguinei. Pensare a cristiani che si “sporcano le mani” impegnandosi in prima linea nella lotta al malaffare e per costruire le condizioni dello sviluppo, anziché attenderlo da altri o da chi sta ai piani alti. Pensare a “una Chiesa nella quale padri, madri, sacerdoti, religiosi, catechisti, bambini, anziani, giovani camminano l’uno accanto all’altro, si sostengono, si aiutano, si amano come fratelli, specialmente nei momenti di difficoltà”. Ecco “la Calabria che non sarà più la stessa”, come hanno titolato autorevoli quotidiani nazionali all’indomani della visita a Cassano: una terra “normale” non ripiegata su se stessa o sugli interessi di pochi, ma capace di coraggio, di speranza, di futuro.