“I Calabresi sono visti davvero come una vil razza dannata, ben al di là dei propri demeriti (che sono tanti) e delle negatività (che sono tante) e finiscono col diventare con noiosa frequenza una congerie di lamentosi poveracci, quasi tutti mafiosi, o giù di li. E come tali vengono percepiti e raccontati, con cliché di comodo, frasi fatte, luoghi comuni, che alla fine finiscono per nascondere i veri responsabili della situazione in cui versa questa regione”. Partiamo da queste considerazioni scritte da due noti giornalisti calabresi, Filippo Veltri e Aldo Varano, nell’ultimo lavoro curato a quattro mani “Calabresi, Vil razza dannata?”, per capire cosa è successo ad Oppido Mamertina una settimana fa e cogliere le logiche di rappresentazione mediatica dell’ennesimo fatto negativo che fa balzare la Calabria e la chiesa calabrese sugli organi di informazione nazionali. Siamo partiti da quelle considerazioni di Veltri e Varano, non per vittimizzarci dando la colpa alla stampa nazionale rea di avere pregiudizi nei confronti della Calabria e dei calabresi. Sarebbe inutile, inoltre, una difesa partigiana dei rappresentanti della Chiesa di Oppido, dopo le prese di posizione dei vertici della Conferenza Episcopale Italiana e del presidente della Conferenza Episcopale Calabra Mons. Nunnari che ha addirittura indicato le responsabilità dei sacerdoti nell’aver proseguito la processione e non essersi allontanati come i carabinieri Proviamo a fare un discorso di semplice “analisi mediatica” per capire perché un rito a cadenza mensile in tanti piccoli comuni calabresi è diventato l’argomento di cult del primo fine settimana di luglio. Troppi elementi indubbiamente facevano gola: faceva gola l’accostamento “Chiesa- ‘ndrangheta” a due settimane dalla scomunica di Papa Francesco a Cassano, faceva gola ritornare su quei riti religiosi attraverso i quali i boss si autolegittimano ed esprimono pubblicamente il loro potere, faceva gola dimostrare che per quanto dica Bergoglio l’alleanza tra il clero e le ‘ndrine è ancora salda e ben digerita dalla popolazione calabrese. Insomma c’erano tutti quei fattori che fanno – come si dice in gergo giornalistico – la “notiziabilità” di un fatto che altrimenti sarebbe rimasto noto soltanto alle 5000 anime o qualcosa di più del piccolo comune della Locride. Se gli elementi che “fanno notizia” e soprattutto “fanno polemica” c’erano tutti, la semplificazione giornalistica, voluta o no, non ha fatto cogliere alcuni passaggi chiave per capire in che direzione sta andando la Chiesa, non solo calabrese. Primo: la condanna di quanto avvenuto ad Oppido è stata corale, nessuna pronuncia ufficiale di solidarietà o tentativo di ridimensionare l’accaduto. Dal Vescovo di Oppido al Presidente della Conferenza Episcopale Calabra fino alla dichiarazione del segretario della Cei Mons. Nunzio Galantino che non lascia spazio a nessuna interpretazione di parte o difensiva: “Voglio ricordare che la Madonna, come la Chiesa, si inchina davanti alla sofferenza, alla debolezza, non certamente davanti alla malavita e all'arroganza. Perchè dovrebbe giovare alla Chiesa, o al parroco, un gesto di questo genere?. La processione ha una sua ascendenza biblica metafora del cammino dell'uomo, e quando si cammina ci si stanca e si fa comunità con gli altri, ed è un voler presentare il Santo alla cittadinanza, ma è anche presentare anche al Santo i bisogni e le attese della cittadinanza. Questo suo significato di coinvolgimento popolare ha portato, nel passato, anche la Chiesa a permettere che fosse organizzata e vissuta dal popolo. Ma oggi, in questo popolo, si inserisce chi, attraverso quel gesto, vuole rifarsi una verginità e questa è una grande contraddizione, perché magari questi fanno offerte con denaro ricavato succhiando sangue alla povera gente. è un meccanismo di strumentalizzazione dell'emotivita' dei fedeli”. Il fatto accaduto lo stesso giorno dell’esplosione del “caso Oppido”, la diserzione dalla messa domenicale dei 200 detenuti del carcere di Larino (Molise), ci illumina sulla seconda “notizia” (nel senso di novità) venuta fuori dalla vicenda: le parole di Francesco a Sibari hanno colpito dove dovevano colpire, incrinando l’asse anche solo immaginario tra la Chiesa e le ‘ndrine sul terreno più importante, quello del “sentire comune”. Perché è su questo terreno che, in passato, si è coltivata l’idea di una possibile compatibilità tra Chiesa e mafia: se vanno in Chiesa, se rispettano i precetti, se onorano i Santi, perché condannarli? Se molti e anche gli stessi mafiosi la pensavano così fino a qualche tempo fa, ora la musica è cambiata. E infine un terzo aspetto che ci dà l’idea della semplificazione giornalistica spesso abusata quando si parla di Chiesa: si può identificare il pensiero della Chiesa, locale o universale, con il gesto compiuto da portantini o, in generale, dalle associazioni paraecclesiali? Al titolo V del Diritto Canonico, canone 305 si legge: “ Tutte le associazioni di fedeli sono soggette alla vigilanza dell'autorità ecclesiastica competente, alla quale pertanto spetta aver cura che in esse sia conservata l'integrità della fede e dei costumi e vigilare che non si insinuino abusi nella disciplina ecclesiastica; ad essa perciò spetta il diritto e il dovere di visitare tali associazioni, a norma del diritto e degli statuti; sono anche soggette al governo della medesima autorità secondo le disposizioni dei canoni seguenti”. Qui si apre un’altra discussione che, senza andare a casi eclatanti come quello di Oppido, tocca da vicino molti aspetti della vita quotidiana della Chiesa. Ce la caviamo con una battuta: evangelicamente vale sempre il principio per cui “la mano destra non deve sapere quello che fa la sinistra”, ma è la testa, nella Chiesa come in qualsiasi organizzazione umana, che deve dire alla mano cosa fare.
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Caso Oppido: il gesto dei portantini può essere confuso con la posizione della Chiesa?
Paolo Emanuele · 10 anni fa