·

Cultura e Società

Spine sono le ricchezze, che pungono e fanno uscire sangue

Rosario Dara · 10 anni fa

«Spine sono le ricchezze, che pungono e fanno uscire sangue; bestie feroci sono i perfidi usurai, che rapinano e divorano... Ampia è la via che porta alla dannazione. Ampia non per i poveri di Cristo, che entrano per la porta stretta, ma per gli usurai che di tutto il mondo si sono già impadroniti con mani rapaci. Razza maledetta, sono cresciuti forti e innumerevoli sulla terra, e hanno denti di leone. L'usuraio non rispetta né il Signore, né gli uomini; ha i denti sempre in moto, intento a rapinare, maciullare e inghiottire i beni dei poveri, degli orfani e delle vedove (..) E guarda che mani osano fare elemosina, mani grondanti del sangue dei poveri. Vi sono usurai che esercitano la loro professione di nascosto; altri apertamente, ma non in grande stile, onde sembrare misericordiosi; altri, infine, perfidi, disperati, lo sono apertissimamente e fanno il loro mestiere alla luce del sole». Si tratta di un brano tratto da uno dei discorsi di Sant’Antonio contro una delle piaghe del suo tempo, l’usura, che sembra essere indirizzato ai nostri tempi ed alla città di Lamezia. Quello dell’usura, infatti, anche se silente, impercettibile e sottotraccia è un fenomeno purtroppo attuale. Sono tante, ormai, non solo le imprese ma anche le famiglie ad essere entrare nel giro dei “cravattai” che ogni giorno stringono sempre più il loro noto attorno all’economia sana della società in nome di quel “dio denaro” e di quella “onnipotenza terrena” nei confronti di più deboli. In questi giorni in cui Lamezia celebra uno dei suoi santi protettori che tanto nella sua vita lottò contro questa economia malata, la città sembra sempre più sprofondare nell’abisso dell’usura che, d’altro canto, rappresenta una piaga per gran parte dell’economia calabrese e nazionale. Di un anno fa, infatti, l’allarme dell’associazione contribuenti italiani sul fenomeno dell’usura in Italia che rese noti i dati del Centro studi e ricerche sociologiche “Antonella Di Benedetto” di Krls network of business ethics, elaborati per Contribuenti.it, il magazine dell’Associazione. Dai dati emerse che la Calabria si posiziona al terzo posto con un +187,4%, collocandosi subito dopo Campania +194,6% e Puglia +191,3%. Dal quarto posto in poi ci sono: Liguria +183,2%; Valle d'Aosta +180,2%; Toscana +178,3%; Sicilia +174,2%; Lombardia +171,3%; Piemonte +169,8%; Abruzzo +165,6%; Emilia Romagna +164,4%; Veneto +164,3%; Lazio +161,2%; Liguria +160,2%; Friuli Venezia Giulia +160,6%; Umbria +159,9%; Trentino Alto Adige +158,9%; Sardegna +157,5%; Basilicata +155,6%; Marche +155,3%; Molise +154,5%. «In Italia – affermò al riguardo Vittorio Carlomagno presidente di Contribuenti.it - nel 2013 sono a rischio d'usura 3.410.000 famiglie e 2.920.000 piccoli imprenditori. A dicembre 2012 il debito medio delle famiglie italiane ha raggiunto la cifra di 48.300 euro, mentre quello dei piccoli imprenditori ha raggiunto il tetto dei 65.200 euro». Alla base di tutto «la grave situazione di difficoltà economica in cui versano le famiglie e le piccole imprese. Il sovra indebitamento delle famiglie in Italia – aggiunse - , a dicembre 2012 è cresciuto del 265,6%, rispetto allo stesso mese del 2011, e l'usura è aumentata del 172,6%. L'aggressione al patrimonio familiare da parte del fisco e delle esattorie sta trascinando migliaia di famiglie e piccole imprese nelle mani di spregiudicati usurai». Da qui la richiesta di Contribuenti.it ai partiti politici: «Inserire nel programma di governo la possibilità di sospendere la riscossione delle imposte nei confronti di tutti coloro che sono assistiti dalle benemerite Fondazioni antiusura e, soprattutto, l'impegno di riformare il fisco, accorpando la funzione di accertamento e riscossione direttamente in testa al ministero dell'Economia e delle Finanze, per mettere al centro dell'azione trasparenza, equità ed imparzialità, abbandonando per sempre la logica del profitto». Dati, questi, non irrilevanti che a Lamezia assumono un particolare in più che è quello del legame tra criminalità organizzata ed usura. Non a caso nelle varie operazioni che la Dda di Catanzaro ha portato a segno nella città della Piana ai vari esponenti delle cosche che operano sul territorio è stata contestata anche l’usura che, poi, cammina di pari passo con le estorsioni. In particolare nell’ordinanza dell’operazione “Medusa” gli inquirenti laddove descrivono l’organizzazione interna della cosca Giampà e delle sue alleanze non possono non evidenziare il ruolo che le stesse “famiglie” hanno nel contesto della gestione dell’usura: «La cosca, infatti – scrive il Gip Assunta Maiore - , da un lato, inevitabilmente si presenta come una compagine parzialmente nuova e diversa da quella del passato (sia perché alcuni dei sodali individuati al tempo di Di Stefano e dagli altri collaboratori dell'epoca, sono scomparsi, uccisi, o sono detenuti); dall'altro lato ha mantenuto inalterato il suo vertice indiscusso, Giampà Francesco classe ‘48, “il professore”, anche se a prendere le decisioni più rilevanti vi sono cinque rappresentanti (la cosiddetta Commissione). Le alleanze, poi, hanno consentito alla famiglia Giampà di integrare al suo interno le ‘ndrine dei Notarianni (I Piluosci) e dei Cappello (chilli 'ra muntagna). Una cosca, quindi, che dal 2004 si è riorganizzata, rinserrando le fila interne al fine di evitare rischiosi sfilacciamenti». Un mutamento delle alleanze, questo, che ha conferito «nuova forza all'organizzazione che continua ad assoggettare ed intimidire la popolazione locale tramite la pressione estorsiva, realizzando, altresì, reati gravi quali omicidi, usura, estorsioni, traffico di stupefacenti e armi etc..». Accanto a questo, però, c’è da segnalare anche che alcune attività estorsive, come ad esempio venne dimostrato dall’operazione “Lex Genucia” condotta dalla Guardia di Finanza non sono a stretto appannaggio delle cosche ma rappresenta anche un modo di arricchimento illecito di tanti “insospettabili”. In particolare nello svolgimento dell’operazione dei finanzieri a portare le fiamme gialle sulle tracce degli usurai fu la “fuga” di un imprenditore lametino che, anche ad insaputa della moglie e della famiglia, aveva abbandonato la città di Lamezia Terme. Da qui la preoccupazione della moglie che non lo aveva visto più rientrare a casa e l’avvio delle ricerche che hanno portato alla scoperta del giro di usura con tassi fino al 200% annuo. I finanzieri, infatti, portarono alla luce quella che l’allora procuratore della repubblica, Salvatore Vitello definì «una novità»: Man mano che l’esposizione debitoria dell’imprenditore o di chi entrava nel circolo dell’usura aumentava perché chi aveva contratto il prestito non riusciva ad adempiere agli impegni, la vittima era costretta a ricorrere ad altri prestiti usurari che, di fatto, lo inserivano ancor di più all’interno di un vero e proprio circolo vizioso. Quindi, una volta contattata, la vittima si rivolgeva ad un altro usuraio che, in cambio della copertura del debito contratto prima, gli “vendeva” un assegno dello stesso valore del debito. Gli usurai, in pratica, consegnavano o si facevano dare titoli d’importo tra i tremila ed i seimilacinquecento euro e post datati di trenta giorni, pretendendo in cambio, oltre alla somma per la copertura del titolo alla scadenza, da trecento a cinquecento euro d’interesse. Una vera e propria matassa, fatta di assegni e cambiali, girate e rigirate e su cui i finanzieri hanno lavorato nel tentativo di sbrogliarla effettuando, non solo controlli bancari che hanno portato al sequestro di circa duecentomila euro e molta documentazione che ora è al vaglio degli inquirenti in quanto ritenuta «utile» ai fine del prosieguo delle indagini, ma anche intercettazioni ambientali e telefoniche che hanno permesso di scoprire i meccanismi dell’intricata vicenda. Non ultima la circostanza relativa ad uno degli indagati che, una volta saputo che probabilmente il cerchio si stava stringendo intorno ad esso, ha iniziato a far visita ai suoi “clienti” per “invitarli” a non parlare. Ed il silenzio, spesso, è una forma di sottomissione che lentamente avviluppa la vittima che si sente sempre più soffocata dai suoi “strozzini” senza via d’uscita. Via che, invece, potrebbe essere rappresentata dalla denuncia, dal coraggio di uscire allo scoperto e di raccontare anche ciò che, spesso, ci fa sentire inermi ed inadeguati. Ed in questo senso potrebbero essere utili sia lo sportello della Fondazione monsignor Moietta istituito anni fa dalla Diocesi di Lamezia Terme che lo “sportello della legalità” che la Camera di commercio e Libera hanno aperto in città da qualche mese anche se, come sottolineato da don Marcello Cozzi, vice presidente nazionale dell’associazione Libera e responsabile sportelli Sos giustizia, «c’è ancora tanto da fare nella lotta alla criminalità. Per quanto riguarda l’usura e il racket – ha affermato - ancora non riusciamo a vedere la luce in fondo al tunnel. Molto va migliorato anche nelle leggi antiusura. Senza dimenticare che c’è una burocrazia elefantiaca. Ci sono tante cose da migliorare nella legislazione. Anche il sistema di protezione dei testimoni di giustizia ha delle “crepe” ». Per Cozzi, «invece dobbiamo dimostrare che vale la pena denunciare, la gente deve fidarsi dello Stato. L’elenco delle vittime di mafia è di novecentomila persone, una lista che aumenta di anno in anno perché i familiari delle vittime stanno prendendo coscienza e stanno uscendo fuori dall’isolamento e dal dolore, stanno prendendo coraggio. Non dobbiamo sostituirci allo Stato, ognuno deve il suo compito, il suo dovere». Ed in questo senso, «lo sportello è uno strumento di prossimità, di vicinanza a imprenditori e commercianti in difficoltà».

Saveria Maria Gigliotti