La presenza dei giovani nelle parrocchie è oggi piuttosto contenuta. Tranne che in alcuni sporadici casi, laddove si tratti di ragazzi nati e cresciuti in contesti familiari che da sempre hanno preso parte in modo attivo alla vita parrocchiale oppure di ragazzi che, sensibilizzati attraverso loro amicizie, hanno incontrato realtà ecclesiali, quali associazioni, gruppi e movimenti che li hanno incuriositi, attratti e poi aiutati ad inserirsi, la maggior parte dei giovani vive purtroppo ai margini di essa.
Spesso non conosce proprio nulla della vita della parrocchia di cui fa parte, pur avendola magari sotto casa. Viviamo in un contesto storico e culturale che certo non facilita il dialogo con le nuove generazioni. Molte famiglie, oggi, non sono costituite da cattolici praticanti, sensibili e attenti a dare il giusto valore alla crescita spirituale e morale dei propri figli.
I ragazzi vivono la realtà parrocchiale solo come necessario interlocutore a cui rivolgersi per accedere ai sacramenti. Si avvicinano, anche con grande entusiasmo, nei primi anni di vita per prepararsi a ricevere la prima comunione, poi proseguono, a volte un po’a sprazzi, nel cammino di preparazione alla Cresima e, una volta raggiunto questo traguardo, quasi sempre, interrompono bruscamente il loro percorso di formazione cristiana. In concomitanza al periodo adolescenziale e all’inserimento nelle scuole superiori, ambiente in cui i giovani possono esprimere in modo più pieno la loro personalità ed entrare a contatto con coetanei, essi sperimentano maggiore libertà, indipendenza e divengono più intraprendenti, mossi dal desiderio di autodeterminazione. Si passa così al primo vero distacco dalla Chiesa. Si cerca fortemente di affermare la propria personalità, di acquisire una sostanziale autonomia decisionale attraverso la quale conquistare il proprio spazio e un ruolo più definito all’interno del contesto sociale in cui si vive. è in questo preciso momento che avviene una forte lacerazione tra i giovani e la parrocchia. Molti ragazzi pensano sia necessario percorrere i passi della vita, alla ricerca di sé, fuori dal suo recinto, fuori dal cortile che fino ad una certa data li ha guidati e accompagnati.
Ma perché questo allontanamento? Perché i giovani non riescono a trovare le risposte alle loro domande nella realtà parrocchiale? La spiegazione non è certamente semplice, anzi, è piuttosto complessa, di difficile e non certo esaustiva determinazione. Il fenomeno è molto ampio e diversificato. Da un lato già si è accennato alla volontà da parte dei ragazzi di voler scoprire se stessi e fare nuove esperienze di vita da soli. Questo li spinge ad allontanarsi da quasi tutto ciò che, a loro avviso, costituisce e rappresenta un ostacolo al raggiungimento dell’agognata autonomia. Dall’altro è importante sottolineare che nella comunità parrocchiale si propongono e si promuovono valori e stili di vita che, informati e aderenti al Vangelo, sono quasi sempre in netta contrapposizione con le logiche consumistiche, egocentriche e mondane appartenenti alla moderna società. Impensabile, quindi, per un ragazzo che si sente “moderno” ancorarsi a “qualcosa” che giudica ormai vecchio, vetusto, lontano dalla realtà, quasi utopistico se non addirittura impossibile da vivere e da riscontrare in un mondo che parla un altro linguaggio e dove la fa da padrone la logica dell’affermare il proprio potere, la propria forza e il proprio successo anche, a volte, a scapito dell’altro. Questa difficoltà è già di per sé un forte elemento deterrente che non agevola il dialogo e la permanenza dei giovani in seno alla parrocchia. Spesso, poi, i ragazzi sono animati ad aderire alle iniziative loro proposte solo qualora queste non comportino particolari impegni, sacrifici, non diventino, in sostanza, un “peso”. Intraprendono le loro attività quasi sempre mossi dal semplice sentire, dall’entusiasmo. “Se mi sento, vengo.”, “Se mi piace, lo faccio.”, “Se ne ho voglia, partecipo.”. In sostanza sembra che ogni situazione, per poter essere condivisa, debba garantire divertimento. Si ritiene sia di secondaria importanza occuparsi della propria anima, del proprio spirito. Ci si sofferma per lo più a prendersi cura, in modo minuzioso, solo di tutto ciò che si vede e si tocca. L’esteriorità ha il sopravvento. Si cura l’aspetto, si curano le cose, i propri interessi, i propri affari. Non si pensa e si sottovaluta il valore della dimensione trascendente, spirituale della propria esistenza, addirittura, in alcuni casi, fino ad annullarla completamente. La fede, per molti giovani, è intesa quasi come espressione palese di debolezza da parte di chi, avendo timore di affrontare le difficoltà della vita preferisce rifugiarsi in essa per sedare e allontanare una sorta di paura ancestrale innata nell’uomo. Non essendo, pertanto, ancora in possesso di solide basi su cui poggiare la loro piccola, fresca e giovane formazione cristiana, poi, i ragazzi si danno spiegazioni su ciò che non comprendono o che trovano poco plausibile, a loro giudizio, da soli o sposando alcune interpretazioni esposte e sostenute, anche in modo convincente, da persone poco formate e preparate sull’argomento. Ciò dà spazio ad un vivere di qualunquismi e “sentito dire” che non hanno però reale, concreto fondamento. Spesso, quindi, a determinare un loro distacco dalla realtà ecclesiale è anche l’ignoranza, la non conoscenza. Non ultimo, poi, vi è il problema legato alle difficoltà tipiche delle relazioni sociali. Le simpatie, le amicizie e le conoscenze giovanili sono un altro elemento da non trascurare. Qualora si verifichi qualche screzio tra compagni, in seno alla comunità, infatti, alcuni ragazzi sono soliti risolvere la questione allontanandosi dalla parrocchia. Solo in pochi casi a tali episodi fa seguito un definitivo inserimento altrove. Ciò richiede, infatti, lo sforzo di intraprende nuove amicizie in contesti che, molte volte, non si conoscono a sufficienza.
I motivi finora elencati, come già detto, non si possono ritenere certamente esaustivi. Essi sono, tuttavia, indice della vasta portata del problema che ha, per il suo valore intrinseco, sostanziali conseguenze sulla vita comunitaria e sociale. Ciò richiama alla necessità di meditare, riflettere e interrogarsi in merito, in modo adeguato e responsabile, da parte di tutti coloro che nella vita hanno l’importante ruolo di educatori. Questi ultimi, infatti, hanno l’arduo e irrinunciabile compito di divenire validi punti di riferimento, credibili, veritieri e caritatevoli per le giovani vite loro affidate, al fine di far sì che, pian piano, i ragazzi, supportati positivamente dal loro aiuto concreto, possano al meglio superare la crisi che caratterizza il passaggio dall’essere adolescenti a divenire veri uomini.
Solo così si sarà in grado di formare persone capaci di scelte forti e di bene che, se non sostenute attraverso un serio cammino di crescita spirituale, difficilmente saranno in grado di raggiungere tale traguardo in modo pieno, vero e costruttivo.