Meditazione quarta Domenica di Pasqua
Nei quaranta giorni che separano l’Ascensione del Signore dalla festa della Risurrezione la Chiesa vive il mistero pasquale meditandolo nella sua liturgia dove è riflesso, si potrebbe dire, come in un prisma. Un posto particolare, in questa liturgica contemplazione pasquale, occupa la figura del Buon Pastore. Nella quarta domenica di Pasqua rileggiamo l’allegoria del Buon Pastore, che San Giovanni ha impresso nel decimo capitolo del suo vangelo. Gesù nel suo insegnamento, come si sa, spesso si serviva di parabole per rendere percepibile agli uomini, generalmente semplici e abituati a pensare mediante immagini, la verità divina, che Egli annunciava. L’immagine del Pastore e dell’ovile era familiare all’esperienza dei suoi ascoltatori, come non cessa di essere familiare alla mente dell’uomo contemporaneo. Anche se la civiltà e la tecnica fanno impetuosamente progressi, tuttavia questa immagine è ancora sempre attuale nella nostra realtà. I pastori portano le pecore ai pascoli e lì rimangono con loro durante l’estate. Le accompagnano negli spostamenti del pascolo. Le custodiscono perché non si smarriscano e in modo particolare le difendono dall’animale selvatico, così come sentiamo nel discorso evangelico: “Il lupo rapisce e disperde le pecore” (cf. Gv 10,12). Il Buon Pastore, secondo le parole di Cristo, è proprio colui che, “vedendo venire il lupo”, non fugge, ma è pronto ad esporre la propria vita, lottando col predatore perché nessuna delle pecore si perda. Se non fosse pronto a ciò, non sarebbe degno del nome di Buon Pastore. Sarebbe mercenario, ma non Pastore. Questo è il discorso allegorico di Gesù. Il suo significato essenziale sta proprio in questo, che “il buon pastore offre la vita per le pecore” (Gv 10,11) e ciò, nel contesto degli avvenimenti della Settimana Santa, significa che Gesù, morendo sulla croce, ha offerto la vita per ogni uomo e per tutti gli uomini. “Egli solo poteva farlo; Egli solo poteva portare il peso del mondo intero, il peso di un mondo colpevole, il carico del peccato dell’uomo, il debito accumulato del passato, del presente e del futuro; le sofferenze che noi avremmo dovuto, ma non potuto pagare; “sul suo corpo sul legno della croce” (1Pt 2,24), “con uno Spirito eterno offrendo se stesso senza macchia a Dio... per servire il Dio vivente” (Eb 9,14). Tale fu l’operato di Cristo, che diede la sua vita per tutti: Egli ha offerto la sua vita sulla Croce. E lo ha fatto con l’amore. Soprattutto ha desiderato corrispondere all’amore del Padre, che “ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito, perché chiunque crede in Lui non muoia, ma abbia la vita eterna” (Gv 3,16). Adempiendo questo comando, ricevuto dal Padre e rivelando il suo amore, anche Cristo ha provato, in modo particolare, lo stesso amore del Padre. Lo afferma nel medesimo discorso, quando dice: “Per questo il Padre mi ama: perché io offro la mia vita, per poi riprenderla di nuovo” (Gv 10,17). Il sacrificio sul Calvario è soprattutto la donazione di se stesso, è il dono della vita che, rimanendo nella potenza del Padre, viene restituito al Figlio in una nuova, splendida forma. Così dunque la Risurrezione è lo stesso dono della Vita restituita al Figlio in compenso del suo sacrificio. Cristo è consapevole di ciò, e lo esprime anche nell’allegoria del Buon Pastore: “Nessuno me la toglie [cioè la vita], ma la offro da me stesso, poiché ho il potere di offrirla e il potere di riprenderla di nuovo” (Gv 10,18). Queste parole evidentemente si riferiscono alla Risurrezione, ed esprimono tutta la profondità del mistero pasquale. Gesù è Buon Pastore per il fatto che dona la sua vita al Padre in questo modo: rendendola nel sacrificio, la offre per le pecore. Questo mistero della Redenzione, presentato con la figura del Buon Pastore, viene illustrato anche da San Pietro nella sua prima lettera e che la liturgia di questa domenica ci fa ascoltare nel brano della seconda lettura: “Egli portò i nostri peccati nel suo corpo sul legno della croce, perché, non vivendo più per il peccato, vivessimo per la giustizia; dalle sue piaghe siete stati guariti. Eravate erranti come pecore, ma ora siete stati ricondotti al pastore e custode delle vostre anime” (1Pt 2, 24-24). Cristo Gesù quale Buon Pastore, il Padre a Lui ha affidato la custodia delle anime. Egli è venuto, per dissetarle con la sua verità, per sfamarle con la sua carne, per nutrirle con il suo sangue, per ricolmarle di Spirito Santo. San Pietro oggi ci insegna che Gesù è morto giusto per gli ingiusti, da vittima innocente, pura, santa. Egli visse di somma pazienza, sopportando insulti, sputi, percosse, la stessa crocifissione. Anche il cristiano è chiamato a sopportare ogni cosa con grande pazienza, consegnandosi interamente nelle mani di Dio. Così anche lui potrà essere “pastore e custode” delle anime che Dio vorrà affidargli. Il mondo dovrà essere guarito dalle sue piaghe che diventano una cosa sola con le piaghe di Gesù.