Le conferenze stampa a contatto diretto con i giornalisti sui viaggi papali, le dirette televisive, la telefonata a “sorpresa” nel salotto televisivo di Bruno Vespa, la prima lettera inviata a tutti i vescovi del mondo via mail. A poche ore dalla
canonizzazione di Giovanni Paolo II, come ufficio comunicazioni sociali è quasi d’obbligo ricordare Karol Woityla come il Papa che ha varcato non solo le soglie del nuovo millennio, ma anche quelle dell’era della comunicazione di massa, un’era segnata dalla moltiplicazione dei mezzi di informazione “istituzionali” e non attraverso i quali ogni giorno gli uomini comunicano tra di loro.
Anche il mondo dei media era chiamato dal papa polacco ad “aprire le porte a Cristo”: vedeva in esso una risorsa preziosa per l’evangelizzazione, “il primo aeropago del tempo moderno” attraverso il quale l’annuncio evangelico può arrivare agli uomini e alle donne di oggi, a quelli già raggiunti dal “primo annuncio” ma intiepiditi da una fede spesso data per scontata così come agli indifferenti, a quanti storcono il naso a sentire parlare di Cristo e di Chiesa.
Giovanni Paolo II, proseguendo sulla strada tracciata da Paolo VI che indicava i mezzi di comunicazioni tra “le meravigliose invenzioni tecniche che l'ingegno umano, con l'aiuto di Dio, ha tratto dal creato”, dedica un’intera lettera apostolica al tema delle comunicazioni sociali scritta pochi mesi prima della sua morte, il 24 gennaio 2005.
Sarà tra gli ultimi documenti ufficiali del Pontefice “comunicatore”, la lettera apostolica “Sul rapido sviluppo”, e rappresenta una sintesi efficace di un magistero sulla comunicazione che, superata ogni diffidenza tra Chiesa e mezzi di comunicazione moderni, riconosce nei media “un sostegno prezioso per diffondere il Vangelo e i valori religiosi, per promuovere il dialogo e la cooperazione ecumenica e interreligiosa, come pure per difendere quei solidi principi che sono indispensabili per costruire una società rispettosa della dignità della persona umana e attenta al bene comune.”
Via libera dunque a sacerdoti “che bucano lo schermo” o all’evangelizzazione nei talk show? Giovanni Paolo II mette in evidenza nella lettera l’esigenza del “discernimento pastorale” nell’uso dei mezzi di informazione, che “possono essere usati per proclamare il Vangelo o per ridurlo al silenzio nei cuori degli uomini”. Woityla parla di “sfida” dei credenti nell’uso dei media per la nuova evangelizzazione: sfida perché come tutti i “mezzi” non sono buoni o cattivi in se, ma nei loro effetti che dipendono da chi li utilizza, dalla capacità dell’uomo di far prevalere la propria “umanità” rispetto alle logiche mediatiche che tendono inevitabilmente all’omologazione e alla costruzione del consenso.
Tre le indicazioni chiave fornite da Giovanni Paolo II in quella lettera: formazione, partecipazione, dialogo. Woityla sottolinea l’esigenza di formare gli operatori della comunicazione sociale nella Chiesa e chiede che i media vengano messi “in evidenza nella programmazione pastorale”: “i nuovi linguaggi” – scriveva il Papa – “modificano i processi di apprendimento e la qualità delle relazioni umane, per cui senza un'adeguata formazione si corre il rischio che essi, anziché essere al servizio delle persone, giungano a strumentalizzarle e condizionarle pesantemente. Questo vale, in modo speciale, per i giovani che manifestano una naturale propensione alle innovazioni tecnologiche, ed anche per questo hanno ancor più bisogno di essere educati all'utilizzo responsabile e critico dei media.” Giovanni Paolo II sottolinea poi l’esigenza di una gestione corresponsabile dei mezzi di informazione e non monopolistica “trovando forme sempre aggiornate per rendere possibile un'ampia partecipazione alla loro gestione, anche attraverso opportuni provvedimenti legislativi” facendo crescere così “ la cultura della corresponsabilità.” E infine, i media svolgono una funzione importante nel promuovere il dialogo: essi “costituiscono una risorsa positiva potente, se messi a servizio della comprensione tra i popoli” e al tempo stesso “un'«arma» distruttiva, se usati per alimentare ingiustizie e conflitti.”
In quella lettera Giovanni Paolo II parlava di uno scenario mediatico in cui erano ancora assenti i social network e lo stesso Internet, già ampiamente diffuso, non aveva però assunto il peso mediatico di oggi, in un contesto in cui è divenuta la prima fonte di informazione per la maggior parte delle persone, in particolare per i più giovani. Ma quegli inviti al “discernimento evangelico” e all’“impegno missionario” nell’uso dei media sono attuali e ci indicano come comportarci oggi che i post e i tweet sono diventati i veicoli principali delle nostre comunicazioni quotidiane.
Di fronte a forme di comunicazione sempre più pervasive e immediate, Il “papa comunicatore” ci mette in guardia dal rischio che il contenitore prevalga sul contenuto, che certe logiche mediatiche finiscano per schiavizzare l’uomo imponendogli come e cosa comunicare per ottenere più “mi piace” o avere una maggiore visibilità. E ancora oggi ci invita a “non avere paura”, a ringraziare Dio per questi mezzi che “sono tra le cose meravigliose che Dio ci ha messo a disposizione per scoprire, usare, far conoscere la verità, anche la verità sulla nostra dignità e sul nostro destino di figli suoi, eredi del suo Regno eterno.”