di Samuel Pisani - bioeticista Nell’art. 2 del “Regolamento del Comune di Lamezia Terme per il registro dei Testamenti Biologici”, si asserisce
che: «La persona che lo redige nomina un Fiduciario che diviene, nel caso in cui la persona diventi incapace di comunicare consapevolmente con i medici, il soggetto chiamato a dare fedele esecuzione alla volontà della stessa per ciò che concerne le decisioni riguardanti i trattamenti sanitari da eseguire». Continua all’art. 3: «Il Dichiarante (testatore) nomina un Fiduciario.
Il Fiduciario è il soggetto che avrà il compito di dare fedele esecuzione alla volontà del Dichiarante ove lo stesso si trovasse nell'incapacità di intendere e di volere, in ordine ai trattamenti medici da eseguire […]».
Ora, la mansione del fiduciario, se attuata in modo valido, assume un significato considerevole, anche se dal punto di vista giuridico appare ancora poco chiara.
Il suo compito difatti non deve essere quello di cogliere alla lettera le dichiarazioni per poi garantirne un’esecuzione passiva o quello di sorvegliare la conformità dell'esecuzione in maniera tormentosa e asfissiante, tantomeno quello di intendere in maniera individuale e discrezionale le volontà non espressamente manifestate e sostenute dal firmatario nel testo, quanto piuttosto quello di assicurare che il dialogo tra paziente e medico prosegua tramite la propria figura anche dopo che il paziente ha perso in forma temporanea, durevole o permanente la propria capacità.
Così interpretato, il ruolo del fiduciario è pertanto sostanzialmente finalizzato ad agevolare il medico nel prendere in considerazione la volontà espressa, i valori e le convinzioni manifestamente proprie della persona che versa in uno stato d’incapacità, attenendosi alle istruzioni contenute nelle dichiarazioni, ricostruendone il significato e soprattutto la valenza autentica, mediando la relazione tra il medico, l’ambito sanitario, i familiari, la società. In questo modo, a mio parere, non si dà adito alla creazione di una serie di luoghi comuni all’interno dei quali ognuna delle personalità chiamate in causa nella relazione terapeutica resti ferma nel proceduralismo contorto e soggettivistico. Si deve mirare invece ad una corresponsabilità doverosa, volta ad inserire tale relazione all’interno di un ambito più grande, quello della collettività, dove si prenda coscienza che gli atti di ciascuno si ripercuotono inevitabilmente anche sulla vita degli altri e dove allo stesso tempo tutti hanno il dovere di prendersi cura della vita del più debole. E’forse assurdo? Non lo so, ma se solo pensassimo più attentamente, spogliando le nostre idee dai costumi e dai travestimenti ideologici ricorrenti, riusciremmo forse a comprendere che se è vero che il fine delle dichiarazioni anticipate di trattamento è quello di porre fine alla solitudine del paziente nel decidere di fronte alla propria sofferenza e alla solitudine del medico nel decidere sul da farsi per i miglior bene del paziente, allora la vera assurdità è che in un contesto di totale solitudine dettata da una sfiducia generale si preveda la possibilità di nominare un fiduciario come esclusivo difensore della vita.
In verità la solitudine a cui si deve tentare di dare una soluzione è più ampia. E’una solitudine che varca i rapporti familiari e amicali, una solitudine comune, in quanto rappresenta il nostro risiedere in comunità, restando ugualmente soggetti essenzialmente soli.
Dietro la necessità di inserire nella relazione di cura le dichiarazioni anticipate di trattamento vi è pure tale spiegazione che molte volte viene nascosta con la pretesa di libertà, ossia il timore del soggetto che le rette relazioni, che ininterrottamente hanno custodito i momenti più fragili della vita, non siano più sicure, e che qualcuno possa prendere una decisione più che per la persona, sulla persona, in maniera differente da come essa avrebbe auspicato. Una carenza di fiducia nell’opportunità di condivisione di valori, che trascina con sé la diffusa problematicità di decidere, tra tecnica ed artificio, un collettivo sentire morale sulla considerazione e la custodia che merita la vita umana. In un contesto di completa assenza di fiducia fa clamore proprio per questo la figura del fiduciario, definita come l’“eccezione” al panorama sociale che fa da sfondo alle dichiarazioni anticipate di trattamento.
Potrebbero essere numerose le cause per stilare delle Dichiarazioni Anticipate di Trattamento, quali l’intenzione di gravarsi degli obblighi scostando da questo pesante incarico coloro che sarebbero chiamati a farlo al posto nostro; il timore che gli individui da sempre designati a prendersi queste responsabilità verso pazienti incapaci non possano adempiere il loro incarico così come noi desidereremo, o chissà, contemporaneamente, timore per noi e responsabilità per gli altri che ci staranno vicino. Ma quanto ed entro quali confini la presenza di un fiduciario può essere una soluzione alla nostra solitudine ed ai nostri timori?