In questi giorni di gioia pasquale abbiamo rivissuto nei segni liturgici e sacramentali la passione-morte-risurrezione del nostro Redentore, proclamando la verità che sta al cuore del cristianesimo: Gesù di Nazaret è risorto per
non più morire! Egli vive col Padre e prega incessantemente per la sua Chiesa, comunicandole la propria vita divina.
Tutti questi giorni, fra la Domenica di Pasqua e la Domenica seconda dopo Pasqua “in Albis”, costituiscono in un certo senso l’“Unico Giorno”. Dalla Risurrezione alla Pentecoste passeranno cinquanta giorni. Però già in questo “Unico Giorno” fatto dal Signore (cf. Sal 118,24) sono racchiusi l’essenziale Dono e il Frutto della Pentecoste. La liturgia di oggi, intanto, si concentra su un Avvenimento, sull’unico Mistero, su Cristo Risorto e su quanto Egli opera tra la comunità apostolica.
Cristo, dopo la sua risurrezione, ritorna nello stesso posto dal quale era andato alla Passione e alla Morte. Ritorna nel cenacolo, dove si trovavano gli apostoli. Mentre erano chiuse le porte Egli venne, si fermò in mezzo a loro e disse: “Pace a voi”. E continua: “Come il Padre ha mandato me, anch’io mando voi... Ricevete lo Spirito Santo; a chi rimetterete i peccati saranno rimessi e a chi non li rimetterete, resteranno non rimessi” (Gv 20,19-23).
La visione del Signore risorto, per i discepoli, è più che una immersione in acque profonde, nelle quali ci si purifica del mondo di prima, dalle quali si risorge rinnovati, santificati, rigenerati, risanati. La nuova vita dei discepoli inizia da qui, dal momento in cui Gesù alita su di loro lo Spirito Santo ed essi vengono fatti uomini nuovi. Si tratta in realtà di una vera nuova creazione, che non solo deve riparare i guasti, le rotture, le confusioni, operati dal peccato dell’uomo all'inizio della sua storia. La nuova creazione è fatta in un modo più mirabile della prima. L’uomo non è fuori di Dio, è in Dio, è nel Corpo di Cristo, che è il Corpo del Figlio Unigenito del Padre, che è Dio. Dio e l’uomo divengono una cosa sola in Gesù. è questo il miracolo avvenuto nel Cenacolo.
Il Figlio di Dio, unendo a sé la natura umana e vincendo la morte con la sua morte e risurrezione, ha redento l’uomo e l’ha “trasformato in una nuova creatura” (cf. Gal 6,15; 2Cor 5,17). Comunicando infatti il suo Spirito, fa sì che i suoi fratelli, chiamati tra tutte le genti, costituiscano il suo corpo mistico. In quel corpo la vita di Cristo si diffonde nei credenti, che attraverso i sacramenti si uniscono in modo arcano e reale a Cristo sofferente e glorioso. In tal senso l’ottava pasquale è Giorno della Chiesa, perché è nella Chiesa che si colgono i frutti della risurrezione di Cristo.
Il Signore Risorto non lo si può vedere a motivo della sua nuova vita celeste cui partecipa la sua umanità spiritualizzata, gloriosa, immortale, occorre perciò cogliere la sua risurrezione nella testimonianza della comunità risorta. Testimoniare la risurrezione di Cristo è possibile solo a uomini che sono anch'essi risorti assieme a Cristo, nello spirito, nella mente, nel cuore, nell'anima, nel corpo, in ogni loro comportamento. C'è una risurrezione dello spirito dell'uomo che è così evidente che necessariamente deve indurre a pensare alla verità della parola testimoniata. Negli apostoli che annunziano a Tommaso di aver visto il Risorto, di aver parlato con Lui, c'è la risurrezione del loro spirito alla verità, alla novità, alla gioia, alla fede. Prima essi erano chiusi, tristi, sconfitti, dispersi, erano spiritualmente morti; ora non lo sono più; sono invece pieni di gioia, di esultanza, sono come rinati, sono ricolmi di una speranza nuova, non sono i delusi di ieri, sono i comunicatori della verità che ha trasformato la loro vita. Dinanzi a questa novità, Tommaso deve avere la capacità di vedere Gesù vivo negli apostoli risorti, di scorgerlo presente in mezzo a loro perché essi sono stati rigenerati a vita nuova dallo Spirito Santo che Gesù risorto ha alitato su di loro, cambiandone cuore, mente, anima.
Questo Tommaso, che ad alta voce dichiarava ai suoi fratelli “Se non vedo... non crederò” (Gv 20,25), si è convinto con la successiva venuta del Cristo Risorto. Eppure Tommaso non aveva alcun motivo per dubitare: chi parlava del Cristo risorto erano i suoi amici, coloro con i quali egli spezzava già il pane da tre anni di vita comune, assieme al Maestro.
Il suo atteggiamento è quello dell'uomo empirico, che vuole passare attraverso l'esperienza per convincersi della verità delle parole proferite. Ma non è Cristo che si deve manifestare risorto, è il credente in Lui che deve rendere storia la risurrezione del Signore, è lui che deve vivere da risorto, da uomo nuovo, come Cristo è nuovo, spirituale, glorioso. Si ricompone così il binomio di fede e di storia, ma si ricompone in una maniera del tutto singolare. Il testimone di Cristo diviene la via della fede nella risurrezione di Gesù.
Oggi il dramma e il grande ostacolo per la credibilità della fede è proprio la difformità tra fede e vita, la vita non risorta dei credenti in Cristo. Solo quella fede che diviene carità e speranza soprannaturale è il segno nel mondo della risurrezione di Cristo e che la Chiesa deve offrire a chiunque da essa è invitato ad accogliere la buona novella che Cristo ha vinto la morte e ha fatto risplendere la vita per mezzo della sua vittoria sulla morte.