“Fratello ateo nobilmente pensoso, alla ricerca di un Dio che io non so darti, attraversiamo insieme il deserto. Di deserto in deserto andiamo oltre anche la foresta delle fedi, liberi e nudi verso il nudo Essere e là, dove la parola muore, abbia fine il nostro cammino”. Con questa poesia di David Maria Turoldo dedicata al fratello ateo, il cardinale, Gianfranco Ravasi, ha concluso la sua omelia durante la santa Messa che ha presieduto al termine della Lectio su “Dio vi parlò in mezzo al fuoco. Parola, storia, creato” in occasione della conclusione degli incontri del secondo anno della Scuola Biblica Shekhinah (tenda della presenza) e del primo anno della Scuola per i Ministeri “Tikvàh” (speranza) che hanno registrato rispettivamente 608 e 752 iscritti.
“Ecco le parole di David Maria Turoldo che vi invito a seguire – ha detto Ravasi – pensando a tutti i fratelli che sono fuori nella vostra città e ancora una volta ringraziarvi per questo vostro affetto e ascolto”.
Una riflessione, quella del presidente emerito del Pontificio consiglio della cultura e presidente della Pontificia commissione di archeologia sacra, che, parlando della fede, ha evidenziato che essa “comprende anche i momenti in cui noi perdiamo la stella come i Magi e non è sempre il cielo nostro popolato di Dio. Qualche volta anche noi sconfiniamo nel territorio in cui ci sono tanti nostri fratelli che non sono credenti. Ebbene, io vorrei, proprio in questo momento, che noi tutti pensassimo ai non credenti a coloro che non hanno alcun Dio ed io, che mi interesso tanto del dialogo con loro, vorrei finire con le parole di un mio amico che molti di voi, soprattutto i sacerdoti, conoscono. Era un religioso ed un poeta, col quale abbiamo fatto insieme anche dei libri: padre David Maria Turoldo che ha scritto una poesia proprio dedicata al fratello ateo ‘nobilmente pensoso’”.
Partendo dalla riflessione sulla “suggestiva definizione del tempio” all’interno dell’Antico Testamento dove viene indicato come “casa dell’incontro”, Ravasi ha accompagnato gli oltre mille fedeli presenti in un percorso analitico all’interno delle letture del giorno evidenziando che “l’incontro aveva due dimensioni una orizzontale che “era l’assemblea del popolo di Dio, le varie tribù che si ritrovavano insieme – non per nulla la parola liturgia, come sapete, è di origine greca e significa ‘opera di un popolo’, di una comunità” ed una “verticale, fondamentale: era l’incontro con Dio, l’incontro con la sua Parola che scendeva dal monte, idealmente, cioè dall’eterno e dall’infinito”.
Quindi, ha incentrato l’attenzione sui “tre volti di Dio” cioè: “la rappresentazione del Dio onnipotente, del Dio mistero, del Dio, come si dice, totalmente altro rispetto a noi. È quel riconoscere un po’ di più il mistero che ci circonda, il mistero del Divino che è alla base anche del credere. Ed è per questa ragione che credere non è mai riducibile semplicemente a una sorta di logica formale, logica matematica, in cui l’evidenza è un’evidenza dimostrabile in maniera quasi meccanica. La logica del rapporto col mistero, con la grandezza, con l’infinito, con l’eterno è la logica che voi tanti – forse spero – conosciate ed è la logica dell’innamoramento, dell’amore che, come vedete, non calcola, è spontaneo quando è amore autentico. Il secondo volto – ha aggiunto -, è quello che avete sentito nell’interno di questo brano della lettera che Paolo scrive ai cristiani di Roma, il suo capolavoro teologico, e voi avete sentito che qui è la rappresentazione esplicita del Dio Padre. Lo si dice fin dall’inizio: tutti quelli che sono guidati dallo spirito di Dio sono figli di Dio, per cui voi potete invocare Dio con l’intimità assoluta del bambino nei confronti del suo genitore. L’idea di padre è già nell’Antico Testamento ribadita più volte. Cristo, forse, aggiunge una nota unica, sua, usando questa parola ‘abba’ che è babbo: è la parola più semplice del bambino nei confronti del suo genitore. Ed ecco, allora, l’altro volto di Dio che non perde il suo mistero, per cui noi tante volte non comprendiamo il suo agire, però è l’invito a riconoscere un figlio, anche nelle oscurità del mistero, un figlio della sua paternità che guida questa folla oscura che è il mondo, che è l’umanità, la guida verso una meta diversa. Ed è la fiducia, alla fine, che permane in noi perché altrimenti saremmo come, per certi aspetti, la grande cultura classica che aveva una concezione della storia circolare, come una ruota, senza speranza e senza paura. Terzo e ultimo volto è il volto di Cristo. Avete sentito queste sono le sue ultime parole nel Vangelo di Matteo. Io di queste parole dove c’è la dichiarazione della Trinità che celebriamo in questa liturgia, il Dio Cristiano, Dio, appunto di amore perché di relazione. Ebbene, io vorrei scegliere soltanto l’ultima frase: ‘Io sono con voi tutti i giorni fino alla fine del mondo’. Ed è idealmente un rimando all’inizio del Vangelo di Matteo, quando si diceva che l’Angelo diceva a Giuseppe che si chiamerà Gesù Cristo, sarà l’Emmanuele il Dio con noi. Ed ecco allora questo aspetto del Dio spalla a spalla con noi”.
Quindi, ha ringraziato il vescovo Parisi “per questo invito che mi ha fatto, incontrando una comunità che mi ha emozionato”.
Il Vescovo, nel portar i saluti della Diocesi, ha parlato di “momento di grazia perchè, attraverso il percorso all’interno di alcuni testi della Sacra Scrittura, abbiamo colto la Parola presente dentro la carne della storia e dentro la carne dell’umanità. La parola, allora che continua ancora a farsi grande ed a venire incontro a noi per rivelare con forza ed anche con dolcezza, stimolando la nostra risposta, la proposta di Dio per la nostra vita. Come Chiesa – ha concluso – stiamo cercando di contribuire a costruire il volto nuovo e bello della Lamezia che tutti vogliamo e che vogliamo realizzare”.
Saveria Maria Gigliotti