“Questa sera abbiamo camminato dietro la Croce, abbiamo percorso la via della Croce. Perché? Forse perché siamo autolesionisti o masochisti con noi stessi? Domandiamocelo: che senso ha la Croce? Che senso ha la Croce che portiamo sulle spalle o quella che guardiamo davanti a noi, quel legno nudo di un patibolo? Se non comprendiamo la bruttezza della croce, se non rabbrividiamo di fronte a quello strumento di morte, come potremo comprendere il sacrificio di Cristo o dei tanti Cristi che prendono quella Croce e ce la mostrano? Di fronte alla Croce, le domande sono impegnative e le risposte sono difficili da accogliere e da vivere. La Croce ci parla del dramma della storia dell’uomo: la Croce della malattia, della mancanza di pace, delle guerre grandi e piccole. Quella Croce che non ci fa dormire, quella Croce che ha il volto di un bambino sporco di sangue che trema. Questa è la domanda che questa sera ci poniamo: che senso ha la Croce”. Così il vescovo di Lamezia Terme monsignor Serafino Parisi, al termine della Via Crucis diocesana in Cattedrale.
“Non c’è mai stato e non ci sarà mai un momento della storia dell’umanità – ha proseguito Parisi – in cui si potrà dire che la Croce è bella o che la Croce ci piace. Neppure per noi credenti. Guardare in faccia la Croce significa guardare tutto ciò che l’uomo non vorrebbe mai provare su di sé, ciò che mai l’uomo vorrebbe incontrare con il suo sguardo. Per noi cristiani la Croce ha un senso perché la Croce ha accolto il Crocifisso, che ha portato con sé tutti i drammi dell’umanità. La Croce e il Crocifisso non hanno “né apparenza né bellezza”, ma hanno la capacità di generare dentro di noi una domanda sul senso del dolore e sul senso della vita. La Croce piantata dentro il baratro dell’umanità, proprio perché è sormontata dal Crocifisso, diventa albero della vita. Prendere consapevolezza della pesantezza e della bruttezza della Croce ci porta a dire che Gesù Cristo ha dato un senso nuovo a quello strumento di morte trasformandolo in occasione di vita. L’uomo, senza aggirare la Croce, ma attraverso la Croce, dentro il limite della propria fragilità e finitudine, senza aggirarli, ha davanti a sé due possibilità: disperare o continuare ad avere speranza, anche sotto la Croce, anche di fronte alla Croce. Lo strumento orribile del patibolo, che è il patibolo di tutta l’umanità, è inserito dentro l’orizzonte dell’amore di Dio che non cancella la Croce ma le dà il suo compimento: quello di far arrivare l’uomo alla verità di se stesso, alla comprensione della propria piccolezza, lì dove Dio interviene per arricchire la vita dell’uomo”.
“Tutto accade per l’amore di Dio – ha concluso il vescovo Parisi – che è quel cerchio di carità all’interno del quale tuto è compreso, anche le nostre croci, che restano pesanti e brutte, ma possono essere occasione di redenzione, salvezza e vita”.
A portare la Croce e le candele nelle quattordici stazioni della Via Crucis, con le meditazioni a cura di don Antonio Lucia Fallica abate ordinario di Montecassino, la sottosezione lametina Unitalsi, le comunità della Beata Vergine Addolorata e San Michele Arcangelo in Jevoli, della Beata Vergine del Carmine in Lamezia Terme, San Giuseppe in Lamezia Terme (Fronti), Maria Santissima delle Grazie in Lamezia Terme (Zangarona), San Giuseppe in Angoli – Migliuso – Cancello, gli Scout, Movimento di Spiritualità Vivere In, Azione Cattolica Diocesana, i gruppi del Vangelo “La tenda del Magnificat”, l’associazione “Pietro Ardito”, le comunità di Santa Maria Immacolata in Accaria, Santa Maria Maggiore in Feroleto Antico, Maria Santissima delle Grazie in Lamezia Terme.
Salvatore D’Elia