“Mentre veniamo invitati a curare le nostre ferite, magari anche quelle che tra di noi ci siamo procurati, e a sanare le nostre fratture, impariamo lo stile di Dio che è lo stile della Chiesa. Se ci riconciliamo con il Signore e se ci riconciliamo tra di noi, riusciamo a dare anche a coloro che sono in polemica con noi una parola profetica capace di rilanciare la storia verso orizzonti di giustizia, di amore e di pace. Questa Parola del Signore sia immagine della Chiesa che, come presbiterio e come popolo di Dio, vogliamo dare alla storia di questo territorio, perché tutto possa splendere e brillare così come il Signore aveva fatto nel Creato sin dall’inizio. Con il Signore, tutti possano dire: è bello condividere questa vita, è bello condividere questa gioia, è bello condividere questa passione”. Così monsignor Serafino Parisi nella solenne concelebrazione eucaristica di inizio del ministero episcopale nella diocesi lametina.
La liturgia della Parola della quindicesima domenica del tempo ordinario, che propone la parabola del samaritano, al centro della riflessione del pastore della chiesa lametina, “una parabola che offre a noi una proposta provocante di Dio verso di noi, perché anche noi possiamo assumere lo stile accondiscendente di Dio. L’avvicinarsi all’uomo incappato nei briganti e ridotto in fin di vita è una metafora dell’umanità di sempre. Un’umanità segnata dalla guerra, dalle ingiustizie, dalla mancanza di pace, dalla mancanza di lavoro. Un uomo buttato a terra, annullato nella propria dignità. L’uomo, vittima dei briganti, vittima a volte di sé stesso, di quelle macchinazioni che sembrano essere risolutive e invece si rivelano come una trappola esistenziale: il Signore decide di non abbandonare quell’uomo. Il Signore si fa prossimo, si fa vicino a noi, si fa carne nostra. Come la Legge di Dio è posta nel nostro cuore, sulle nostre labbra, nella nostra vita, così il Signore ha scelto di venire verso di noi, di farsi nostro prossimo, di arrivare fino al baratro della sofferenza, fino allo scempio scandaloso della croce e, dalla Croce, ha detto all’umanità che c’è speranza. Questa storia, venuta bene dalle mani di Dio, può riprendersi. Ecco la riconciliazione: il Signore che fa il primo passo verso di noi e versa sulle nostre ferite l’olio della consolazione e il vino della speranza.”
Dalla parabola del samaritano, per monsignor Parisi, viene fuori un altro insegnamento, partendo dal presupposto che “per ragioni religiose, i samaritani erano in contrasto con l’ebraismo ufficiale. Un dramma insopportabile, inimmaginabile, perché dove c’è la divisione, c’è il demonio che scaglia le persone le une contro le altre. Questo è lo scempio di fronte al quale Dio ha voluto proporre all’uomo la riconciliazione. Nella parabola del samaritano c’è un nemico che cura un altro nemico, che sa che attraverso quel gesto può rimarginare le ferite dell’umanità versando l’olio della consolazione e il vino della speranza. Ciò che non può più avvenire nel sangue, avviene nell’amore e ci proietta verso una storia nuova. Da un nemico e straniero impariamo a ricostruire, a curare le ferite per risollevare l’umanità. Impariamo da uno straniero e da un nemico lo stile di Dio che è quello della compassione, che rigenera l’umanità a vita nuova”.
Il dramma di Caino e Abele, per il vescovo di Lamezia, si ripropone nell’oggi “di fronte allo scempio del fratello che uccide l’altro fratello. Ma c’è un dramma nel dramma: quello di non volersi assumere le proprie responsabilità fraterne. Caino risponde al Signore: “Sono forse il custode di mio fratello?”. Non ci siano tra noi “Caino” e “Abele” a turno. Riflettiamoci a livello di presbiterio, a livello comunitario, riflettiamoci a livello sociale. Fuggire dalle responsabilità fraterne, nascondendosi dietro una mancata risposta che ti inchioda sulla Croce delle tue responsabilità, non è è una risposta cristiana, non è la Parola che lega cuore e labbra e che il Signore attende da noi”.
Dal vescovo Parisi, il monito ad “assumere lo stile di Dio”, a considerare il prossimo “non come l’altro che casualmente incontro sulla strada, ma il prossimo come me che mi faccio vicino a un altro” a prendersi cura che “non significa solo mettere a servizio dell’altro la propria professionalità, ma metterci la passione, non calcolare il tempo, andare oltre l’obbligo e l’orario, curare l’altro perché nell’altro curo le piaghe di Cristo. Prendersi cura significa essere responsabile della vita dell’altro e provvedere per il suo futuro. Come il samaritano che, portando alla locanda l’uomo incappato nei briganti, raccomanda al locandiere di pensarci fino a domani, senza badare a spese perché il giorno dopo sarebbe ripassato: quello che mi interessa è risollevare l’uomo e dargli speranza per il suo avvenire.”
Oltre a numerosi sacerdoti della diocesi lametina e dell’arcidiocesi di Crotone- S. Severina, hanno concelebrato l’arcivescovo di Catanzaro-Squillace monsignor Claudio Maniago, l’arcivescovo di Crotone – S. Severina monsignor Angelo Raffaele Panzetta, il vescovo di Oppido Mamertina – Palmi monsignor Francesco Milito. A presiedere il rito della presa di possesso canonico, l’arcivescovo metropolita Claudio Maniago.
Il momento liturgico ha avuto inizio nei pressi del monumento di Piazza Ardito dove il vescovo Serafino Parisi, accolto dal capitolo dei canonici e dal collegio dei consultori, ha affidato il suo ministero alla Vergine Maria e ai Santi Patroni Pietro e Paolo.
Salvatore D’Elia