Lc 24, 46-53
Il vangelo di Luca, che si apre nel tempio con l’annuncio a Zaccaria della nascita di Giovanni, si chiude nel tempio, dove gli undici apostoli rendono lode permanente a Dio. Dopo l’ascensione di Gesù c’è «una “forza di gravità” che spinge verso l’alto […] gli undici, un gruppetto di uomini impauriti e confusi, un nucleo di donne coraggiose e fedeli. Li spinge a pensare in grande, a guardare lontano, ad essere il racconto di Dio “a tutti i popoli”» (padre Ermes Ronchi). Ascensione è anche un atto di enorme fiducia di Gesù in quegli uomini e in quelle donne che lo hanno seguito per tre anni, che non hanno capito molto, ma che lo hanno molto amato: Gesù affida alla loro fragilità il mondo e il vangelo e li benedice. La Chiesa nella storia ha sempre un enorme lavoro di evangelizzazione accompagnato dalla benedizione del Signore: predicare a tutte le genti i doni della conversione e del perdono dei peccati: «avrete forza dallo Spirito Santo che scenderà su di voi e mi sarete testimoni a Gerusalemme, in tutta la Giudea e la Samaria e fino agli estremi confini della terra» (At 1,8). L’ascesa al cielo non vuol dire che Gesù si sia allontanato dai discepoli ma che egli ha raggiunto il Padre e che si è assiso accanto a lui nella gloria. Ascendere vuol dire entrare in un rapporto definitivo con Dio, e avere una presenza forte e diffusa: come il cielo copre tutta la terra, così il Signore, ascendendo al cielo, comprende e avvolge tutti. Non è, quindi, un allontanarsi ma è un avvicinarsi più profondo e coinvolgente. Da qui scaturisce la grande gioia dei discepoli. Attraverso la liturgia di oggi risuonano nel cuore dei discepoli e di tutta la Chiesa le parole di san Paolo ai Colossesi: «se dunque siete risorti con Cristo, cercate le cose di lassù, dove Cristo sta assiso alla destra di Dio; pensate alle cose di lassù, non a quelle della terra; siete morti infatti, e la vostra vita è nascosta con Cristo in Dio!» (Col 3, 1-3).
Don Pino Fazio