Gv 10, 27-30
Il Vangelo di questa domenica riporta alcuni versetti del grande discorso sul buon pastore, proclamato da Gesù in un contesto di crescente ostilità da parte dei giudei nei suoi confronti. L’opposizione verso Gesù cresce quando egli chiarisce il suo rapporto di dipendenza e di identificazione con il Padre. Il disegno di salvezza di Dio, nonostante tale contrarietà, non è compromesso, infatti una moltitudine di discepoli, che Gesù definisce come “le mie pecore”, sono in grado di riconoscere e accogliere la Sua voce nel loro intimo e di seguirlo in ciò che Egli indica. L’espressione “ascoltare” non denota una generica esperienza spirituale, ma esprime il movimento di obbedienza del discepolo nei confronti del Signore che porta al coinvolgimento dell’intera esistenza e alla donazione della propria vita per la causa del Vangelo. Gesù afferma in modo chiaro: «le mie pecore ascoltano la mia voce» (Gv 10,27). Non imposizioni e comandi, ma voce, «quella che attraversa le distanze, inconfondibile; che racconta una relazione, rivela una intimità, fa emergere una presenza in te. La voce giunge all’orecchio del cuore prima delle cose che dice. È l’esperienza con cui il bambino piccolo, quando sente la voce della madre, la riconosce, si emoziona, tende le braccia e il cuore verso di lei, ed è già felice ben prima di arrivare a comprendere il significato delle parole» (Padre Ermes Ronchi). Si tratta di una relazione personale fatta di conoscenza, di dialogo d’amore che porta il discepolo nelle “mani” del Padre (la mano è espressione della potenza di Dio, cf. Dt 33,3; Is 49,2). Come il Figlio, circondato dai suoi nemici e in pericolo di perdere la sua vita, confida nel Padre, dal quale nessuno può strapparlo, così anche i discepoli possono confidare sempre nel loro pastore: «il Signore è il mio pastore, non manco di nulla» (Sal. 22,1). Il Padre e il Figlio sono una cosa sola (cf. Gv 10,30) e il movimento d’amore che dal Padre avvolge e assicura il Figlio si prolunga nell’azione del Figlio nei confronti dell’umanità. Così nessuno potrà strappare i discepoli dalla “mano” del Padre: «io sono vita indissolubile dalle mani di Dio. Legame che non si strappa, nodo che non si scioglie. L’eternità è un posto fra le mani di Dio. Siamo passeri che hanno il nido nelle sue mani e nella sua voce, che scalda il freddo della solitudine» (padre Ermes Ronchi).
Don Pino Fazio