"Il buon pastore è colui che mette a disposizione della vita degli altri la sua stessa esperienza" (Page 37)
“Il buon pastore: è colui che non solo vuole la vita per le sue pecore, ma è colui che mette a disposizione della vita degli altri, la sua stessa esperienza. Di un pastore così ci possiamo fidare. Fidiamoci, allora, del nostro Signore Gesù”. Così il Vescovo, monsignor Serafino Parisi, nel concludere l’omelia della Santa Messa presieduta ieri nella parrocchia Maria SS delle Grazie e San Giuseppe in Fronti durante la quale è stata accolta la nuova statua della Madonna del Carmelo.
Nel brano del Vangelo, ha fatto notare monsignor Parisi, “ci sono alcune indicazioni che fanno comprendere la familiarità del gregge con il pastore, la condivisione della stessa esistenza, della stessa vita, degli stessi percorsi, della strada che fanno insieme il pastore e le pecore. E poi c’è ancora un rapporto che è più della familiarità, più della condivisione: è quello della intimità tra il pastore e le pecore” al punto “che il pastore riconosce le pecore, le chiama per nome e le pecore riconoscono la voce del pastore”. Gesù, quindi, “è per ognuno di noi, colui che vuole portarci alla vita e la vita che vuole regalare ad ognuno di noi è una vita pensata per sempre”.
“Noi – ha detto ancora il Vescovo - moriamo prima che la morte venga da noi, quando ci lasciamo atterrire, impaurire, dall’idea stessa di dover morire. Si chiama l’angoscia della morte e quell’angoscia ti paralizza, non ti fa più vivere, non ti fa realizzare più niente. È come se nel nostro cervello entrasse questo meccanismo perverso. Invece, non è così. La cosa più grande, più bella, più espressiva, che realizza pienamente l’uomo è la richiesta della vittoria sulla morte e la vittoria sulla morte si chiama vita. Tanto è vero che noi abbiamo l’immagine della nostra fede che è il Crocifisso risorto: un morto che ritorna alla vita, che riprende vita. Vuol dire, allora, che nella nostra esistenza c’è una cultura, una iniezione, di speranza. Il sogno, l’attesa, il desiderio vero della realizzazione piena dell’umanità, di tutti noi uomini, il Signore ce la può dare. Quando parliamo della intimità della relazione con il Signore, della familiarità con Lui, della condivisione della nostra esperienza con la vita stessa di Gesù, noi abbiamo l’immagine nella seconda lettura di oggi che dice che egli portò i nostri peccati sul suo corpo e nel suo corpo perché sulla Croce venissero crocifissi, in modo che noi, non vivendo più per il peccato, vivessimo per la giustizia”.
“L’immagine che voglio consegnarvi – ha aggiunto monsignor Parisi – è questa: le piaghe, le ferite di Gesù, divengono come delle feritoie, delle aperture, degli squarci. Attraverso le ferite nella carne di Gesù, nel suo corpo glorioso, noi possiamo guardare e possiamo scorgere la luce della vita. Da ferite a feritoie attraverso le quali si spia, si guarda oltre e guardando oltre le ferite di Gesù noi scopriamo la vita” perché “noi siamo stati guariti dalle piaghe di Gesù”.
Le piaghe, quindi, ferite che devono essere guarite, diventano esse stesse strumento di salvezza. Gesù, infatti, capovolge tutto: “Le sue piaghe quelle che Lui ha preso nel suo corpo, sono quelle ferite che danno la possibilità a noi credenti di riprendere vita. ‘Eravate erranti come pecore, ma ora siete stati ricondotti al pastore e custode delle vostre anime’, cioè noi siamo sotto la protezione di Gesù che è colui che ha offerto la propria vita, ha regalato la sua vita per noi, è morto perchè noi potessimo vivere”.
Saveria Maria Gigliotti