“Io parlerei della chiesa interparrochiale San Benedetto come richiamo aurorale. È orientata ad est, dove sorge il sole, per cui ha un richiamo aurorale perché sia davvero segnato un nuovo inizio della storia di questa nostra città”. Così il vescovo, monsignor Serafino Parisi, nel concludere il suo intervento nel corso del convegno “Lamezia Terme la città policentrica. Il complesso interparrocchiale San Benedetto al centro di un nuovo spazio urbano”, ospitato nella sala consiliare “Monsignor Renato Luisi” parlando di “questo spazio che è destinato ad essere il centro nevralgico della nuova città di Lamezia che si ricompatta, si rinnova”.
“La costruzione di una chiesa – ha detto al riguardo il Vescovo – deve avere necessariamente una ispirazione ed anche una logica perché già nella tradizione biblica la costruzione del tempio è sempre una progettazione del mondo. Costruire il tempio, come adesso possiamo dire costruire una chiesa, è un’opera di creazione dove non a caso creazione vuol dire tutto: sia l’estro creativo degli architetti, dei costruttori, degli artisti, sia la necessità di pensare un nuovo inizio”.
Nel corso del suo articolato intervento, monsignor Parisi ha parlato di “sacralizzazione dello spazio. Cioè – ha aggiunto – non è più pensabile uno spazio che non sia uno spazio sacro perché, appunto, tutto l’universo è concepito come punto di incontro con la divinità. Lo spazio, però, acquista il suo pieno significato dentro questa visione sacrale quando si esprime come spazio di incontro tra i popoli, tra le persone, tra le genti”. Ed in questo contesto “il fatto religioso è un elemento aggregativo. Nella teologia dell’architettura – ha affermato il Vescovo – c’è proprio questa idea di unificare nuclei diversi, appartenenze diverse, dentro un’unica realtà associativa che nel dato della fede trova, per esempio, questo elemento aggregante, unificatore, cioè quel collante che fa delle diversità una unanimità” e “l’altro mi coinvolge a tal punto che io ne divento responsabile, divento responsabile della vita dell’altro e questo da origine alla socialità” e che ciò “nasca da un fatto religioso è un valore aggiunto”.
Parlando del complesso interparrocchiale, monsignor Parisi, nel ricordare che ospita ogni quindici giorni la Scuola Biblica Diocesana, ha sottolineato che, proprio in occasione di questi incontri, “all’interno dell’aula liturgica del complesso c’è una convergenza che, di fatto, rappresenta le varie realtà lametine e tutta la realtà del lametino. Tra le 700 persone iscritte alla Scuola Biblica – ha aggiunto – vengono rappresentati tutti i paesi, tutte le parrocchie della diocesi nessuna esclusa”. Una vera e propria “lettura sociologica che è in linea con altre esperienze anche antiche, classiche, che hanno come riferimento la divinità o comunque, il senso del sacro come elemento aggregante”. Ecco perché “l’intuizione di monsignor Cantafora – ha detto il Vescovo – è stata un’intuizione lungimirante” perché “immaginava, non la chiesa finita, ma immaginava questa parte della città già conclusa e viva. Non la immaginava come una struttura messa lì, inerte, ma come una struttura viva, come il cuore pulsante di questa nuova città”.
Quindi, facendo riferimento alla sua prima visita al complesso interparrocchiale San Benedetto, quando ancora era un cantiere, monsignor Parisi ha detto di aver “notato che c’era un superamento, un capovolgimento, una reinterpretazione della pianta classica della chiesa perchè – ha spiegato il Vescovo – noi siamo abituati ad immaginare una chiesa più o meno come la riproposizione di una croce di qualsiasi tipo, invece qui gli incroci, che sono visibili, per esempio, nella travatura del tetto, sono tra gli apostoli con un richiamo agli evangelisti. Gli incroci non li trovi nella croce ma li ritrovi nella reinterpretazione dei simboli, cioè nella lettura dei simboli che, come avveniva nelle grandi cattedrali, non venivano immediatamente riconosciuti dai fedeli ma erano soltanto quelli più catechizzati, quelli più addentro al mistero, che riuscivano a cogliere questi elementi del mistero. Ebbene, quando sono entrato per la prima volta nella chiesa – ha detto monsignor Parisi – , c’era un muletto molto alto con cui stavano mettendo in alto la travatura e stavano coprendo le travi della chiesa. Allora, sono stato colto da questa doppia sensazione: da una parte entri e sei portato a guardare in alto e dall’alto scorgi la luce, quella idea delle finestre, delle apertura, degli squarci che richiamano la Trinità e che ti fanno pensare al trascendente. E lì, guardando in alto, l’esperienza che ho fatto è quella di essermi sentito piccolo dentro uno spazio grandioso”.
Una “imponenza della costruzione” che, ha affermato il Vescovo, “incute questo senso del limite che anziché schiacciarti ti stimola a guardare in alto ed a trovare altrove il punto di riferimento ed il senso di orientamento della tua vita”.
Saveria Maria Gigliotti