“Il giusto è già una condanna per chi è ingiusto”. Così il Vescovo, monsignor Serafino Parisi, nel corso della concelebrazione eucaristica da lui presieduta stamani in Cattedrale per commemorare il sovrintendente di polizia Salvatore Aversa e la moglie Lucia Precenzano nella ricorrenza del trentunesimo anno dalla loro uccisione.
“Questa – ha aggiunto monsignor Parisi – è già una parola che scava dentro la vita umana e se partendo da qui, oggi, questa parola di rinnovamento, di trasformazione, di cambiamento di mentalità, di conversione, riuscirà ad arrivare a tutti, allora credo che, davvero, il sangue dei giusti, come fu quello dei martiri, seme di altri cristiani, potrà essere seme di speranza per una rinnovata era di giustizia. Quella giustizia che, secondo quanto ci ha detto e testimoniato Gesù, si vive nell’amore, cioè nel dono totale di sé, ossia nel regalo della propria vita, perché l’altro possa vivere e gioire. La parola di Dio di oggi, in modo particolare la prima lettura dell’apostolo Giovanni – ha detto il Vescovo – ci ha parlato della giustizia dicendoci che colui che non pratica la giustizia non è da Dio e neppure lo è chi non ama il fratello. Si tratta della giustizia portata a compimento attraverso l’amore”.
“Quando due persone muoiono, come è avvenuto il 4 gennaio di 31 anni fa – ha proseguito monsignor Parisi – , certamente si percepisce un senso di sconfitta mentre si apre una ferita che, come abbiamo sentito prima, rimane aperta. Ma, paradossalmente, quella ferita è come uno squarcio che lascia intravedere l’oltre, il mistero, è come una feritoia che indica una pista verso una vittoria possibile”. “Pensando al sacrificio del dottore Aversa, immagino che oggi, quella testimonianza indichi la necessità di un supplemento di cura dentro il nostro territorio: penso ad una premurosa ed ampia terapia, nei termini di un intervento polifonico che possa convogliare varie realtà che possano dare speranza alla nostra umanità. Se è vero che la morte di un uomo è sempre una sconfitta, dall’altra parte, per chi crede in un alto ideale di giustizia, quella costruita sull’amore e ad esso finalizzata, la morte è seme di nuova speranza. Ed io vorrei immaginare la morte dei coniugi Aversa come una seminagione di speranza per tutto questo nostro territorio. A noi però spetta il compito della cura delle piante della novità, della giustizia e dell’amore condiviso”.
Quindi, nell’indicare due strade possibili per “vivere l’idea di una giustizia che non è semplicemente riferita ad una pratica pedissequa delle norme, ma è, invece, una interpretazione ampia della giustizia, capace di condurre la norma a superare se stessa per poter esprimere il senso profondo che custodisce, e che si manifesta nella legge dell’amore”, il Vescovo ha sollecitato tutti alla ri-fertilizzazione del contesto sociale e culturale e alla ri-umanizzazione delle relazioni umane della realtà in cui ciascuno opera: “C’è bisogno di una cura – ha detto al riguardo monsignor Parisi – e questa cura è una terapia culturale che io chiamo ri-fertilizzazione del territorio”. Operare, quindi, come, ad esempio, opera il contadino che sposta della terra buona da una parte produttiva ad un’altra improduttiva per fertilizzarla: “È questo il lavoro che bisogna fare – ha rimarcato il Vescovo – : mettere dentro il terreno infestato dalla malapianta la terra buona perché quel terreno lì – disinfestato – possa essere reso fertile. È a questa ri-fertilizzazione che bisogna puntare e ciò si realizza almeno su due direttrici. La prima è quella di un lavoro di tipo culturale: questo grande contesto che noi abbiamo di fronte e al tempo stesso da noi abitato, ha bisogno di un pensiero nuovo, di una visione nuova, che possa aprire alla seconda linea che è quella di generare una mentalità totalmente trasformata. Questo cambiamento di modo di vedere non potrà avvenire se dentro il cuore dell’uomo non agirà questa visione rinnovata e culturalmente alta della vita, e dall’altra parte se non si lavorerà per costruire un contesto umano, sociale e culturale che possa favorire questa forma nuova di vitalità dentro la storia”.
Passando alla ri-umanizzazione, monsignor Parisi, si è soffermato sul fatto che “i rapporti tra di noi vanno ricreati con vincoli di prossimità e con relazioni di verità, di sincerità, di altruismo, di dono totale di sé. C’è bisogno di manifestare questo modo diverso, alternativo, di vivere, perché questa è la vera vita e questa è l’interpretazione di quell’ideale di giustizia che è finalizzato al bene della persona umana e che, col dono della vita, come fu per i coniugi Aversa, ha superato e compiuto l’osservanza sia pur rigida di una semplice norma”.
Infine, impartendo la benedizione, il Vescovo ha auspicato che la stessa “possa portare dentro di noi la consapevolezza di essere costruttori di un tempo e di un contesto di giustizia e di pace”.
Saveria Maria Gigliotti