“Il lavoro come indice della libertà dell’uomo e non della sua condizione di schiavitù” ma anche come “piena realizzazione” che porta alla “gioia”. Questi alcuni passaggi dell’omelia che il Vescovo, monsignor Serafino Parisi, ha tenuto nel corso della celebrazione eucaristica, da lui presieduta, nel Centro Servizi di LameziaEuropa in occasione del Santo Natale.
Quella stessa gioia che altro non è che la gioia del Vangelo quando, ad esempio, Maria va da Elisabetta ed appena Maria le si avvicina, il bambino sussulta di gioia nel grembo della madre, “perché – ha detto monsignor Parisi – c’è l’annuncio del Vangelo, cioè l’annuncio del nome di Cristo che è venuto, al di là dei nostri panettoni che un po’ servono per edulcorare quella che viene chiamata la magia del Natale. Ma quale magia? È realismo del Natale. La parola del Vangelo non è magia. È consapevolezza di una partecipazione possibile alla realizzazione di un progetto che è per noi, pur essendo un progetto pensato dall’alto e pensato dall’eternità, di elevazione della nostra storia, elevazione dell’uomo”.
Gioia alla quale si giunge anche attraverso il riconoscimento della dignità dell’uomo che passa per l’affermazione dei diritti come, ad esempio, il riposo: “Riposarsi – ha affermato al riguardo il Vescovo – era il segno dell’uomo libero: lo schiavo non poteva riposarsi. Lo shabbat, il sabato, il giorno del riposo, era, di fatto, il riconoscimento della libertà dell’uomo, cioè di chi non lavora soltanto per l’altro, non lavora dentro uno stato costante di necessità, perché nella necessità non c’è la libertà ma c’è solo paura dell’altro, della mia iniziativa, di ciò che devo eseguire per forza. Paura anche di ciò che potrei perdere e lì, allora, si arriva davvero a quella scena tremenda dello schiavo che sa di essere schiavo però sa di non potersi permettere di uscire dalla schiavitù. È quella immagine che io evoco sempre perché espressiva: lo schiavo che bacia le catene. Se non usciamo fuori da questa logica del giogo che davvero grava sul collo di chi lavora, allora noi questa terra non la faremo decollare mai”. Quindi, “un lavoro capace di riconoscere certamente la dignità dell’altro – ha spiegato monsignor Parisi – dentro, però, una relazione di libertà e la libertà si misura nel lavorare ed anche nello stare fermo, nel riposarsi. Un lavoro, cioè, che possa gratificare l’uomo per dargli la possibilità di godere anche di ciò che ha prodotto e prepararsi a ciò che dovrà ancora produrre. Il riposo è anche in segno di quel pensiero che deve esserci perché quando non c’è tempo per pensare, quando non c’è tempo per fermarsi, non c’è tempo per crescere”.
Il tutto in una realtà, come quella attuale, attraversata da ciò che monsignor Parisi definisce una “crisi di pensiero. Certamente – prosegue il Vescovo – c’è un dramma antropologico. Ma il vero dramma dell’uomo di oggi è la crisi di pensiero. E dentro questa crisi di pensiero, un’umanità già depressa si trova a vivere dei condizionamenti”. In questo contesto, infatti, “la mancanza di lavoro è nella linea dell’aggravamento di questa crisi che è crisi antropologica, che è crisi dell’uomo in quanto tale. Perché il lavoro consente all’uomo di realizzare sé stesso e di realizzare questo progetto di Dio, alto, per la cura dell’umanità. I nostri progetti umani saranno certamente validi – ha aggiunto il Pastore della Chiesa che è in Lamezia – , però noi abbiamo bisogno di misurarci con un ideale di uomo che viene dal livello stesso di Dio. Altrimenti ci ribelliamo, ci abbrutiamo, ci omologhiamo alle logiche umane. Quante cose non sono funzionate nella nostra terra di Calabria perché ci siamo omologati soltanto alle logiche umane dell’amico e dell’amico dell’amico? Ma ancora siamo legati a questi retaggi ancestrali, brutali. Se questa è la logichetta che guida i nostri biechi interessi, dove vogliamo andare? Quale progresso vogliamo fare?”. Da qui la sollecitazione ad “uscire da questa logica” anche per chi ha responsabilità perché bisogna pensare a “quel lavoro che guarda all’umanità che deve essere redenta. Quando usciamo da queste tenaglie che legano questo nostro territorio – ha chiesto ancora monsignor Parisi – ? Quando usciamo da questa rete? Dobbiamo uscire fuori da questa logica, se vogliamo parlare in modo costruttivo e propositivo di lavoro per questa nostra terra” ed “entrare nel mondo, nella storia, così com’è quella travagliata di un territorio, di una regione, con la parola del Vangelo capace di dare una speranza, di portarla alla gioia” per far sì “che ogni angolo ed ogni uomo della nostra terra – ha concluso il Vescovo – possano gioire a tal punto che anche quelli che sono fuori, che sono scappati fuori, vedendo che qui la gioia è stata conquistata siano invogliati a tornare per condividere quella felicità che sia davvero di tutti”.
Saveria Maria Gigliotti