Il testo dell’omelia pronunciata dal Cardinale Matteo Zuppi, Arcivescovo di Bologna e Presidente della CEI, in occasione della Festa di San Francesco, Patrono d’Italia
La Parola di Dio parla sempre a noi e di noi. Parla oggi e ci aiuta a capire i segni dei tempi e questi ci aiutano a comprenderla, perché non è mai fuori del tempo o in un tempo passato, ma nell’oggi, nella storia.
Il Libro del Siracide descrive San Francesco, che riparò “il tempio”, la casa del Signore che è in rovina e, allo stesso tempo – non è forse proprio quanto siamo chiamati a fare oggi? –, si mette in cammino perché lui per primo è “Fratello di tutti” e non aspetta che lo diventino gli altri: compie lui il primo passo verso il prossimo, come Gesù.
È il nostro Patrono ed è una gioia particolare, in questo tempo così segnato da tanta sofferenza e preoccupazione, trovarci qui con tutte le Chiese che sono in Italia e con il Presidente del nostro Paese, che rappresenta tutti gli italiani e le italiane e che ringrazio di cuore per la sua presenza e per il suo servizio – raddoppiato –, pieno di saggezza e di convinta passione per difendere gli ideali costitutivi del nostro Paese. Grazie perché ci rappresenta e ci incoraggia a sentirci parte di questo nostro bellissimo Paese, patria.
“Fratelli tutti” è il contrario della pandemia del COVID. San Francesco è innamorato di Gesù: ascolta e mette semplicemente in pratica il Vangelo, solo il Vangelo e con la sua umanità ci insegna ad amarlo, a scoprine la gioia, la fraternità che genera, il senso personale e universale di ognuno, la pace e il bene che accendono di amore tutto il creato e le creature. Come abbiamo letto nel Vangelo: «Ti rendo lode, Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai nascosto queste cose ai sapienti e ai dotti e le hai rivelate ai piccoli». Chi è innamorato di Gesù si innamora quindi del mondo, lo vede, sa riconoscerlo come i piccoli. L’amore di San Francesco è molto reale perché ama l’altro sempre, come dice lui, «quando fosse lontano da lui, quanto se fosse accanto a lui». Così, mite e umile di cuore come il suo Gesù, San Francesco – in un mondo che era e che è segnato da lupi e cittadini violenti o paurosi (non si sa chi comincia, se il lupo lo diventa per le paure o la violenza o viceversa, ma certamente uno aiuta l’altro) –, da torri e spade, da cavalieri e briganti, da guerre e inimicizia, inquinato da troppo odio tanto da rendere impossibile parlare di pace, San Francesco progetta e inizia a vivere un mondo fraterno, disarmato, dove c’è spazio per ognuno, a cominciare dai più poveri e fragili. Ecco, oggi sentiamo la consolazione di essere con lui, con questo fratello maggiore, con questo nostro Patrono, e di vedere la sua stella (come è noto le stelle brillano maggiormente quando la notte è più fonda) che ci accoglie “come un astro mattutino fra le nubi”. Abbiamo bisogno di luce, che vuol dire speranza. E il nostro Patrono ci fa sentire a casa – tutti si sentono a casa ad Assisi, tutti, anche chi è lontano, chi non crede – e ci aiuta a guardare anche le difficoltà con la forza dell’amore. Nella tempesta abbiamo sperimentato tanto buio, inatteso e prolungato, sembrava non finisse mai. Lo descrisse Papa Francesco nella memorabile preghiera in Piazza San Pietro: «Da settimane sembra che sia scesa la sera. Fitte tenebre si sono addensate sulle nostre piazze, strade e città; si sono impadronite delle nostre vite riempiendo tutto di un silenzio assordante e di un vuoto desolante, che paralizza ogni cosa al suo passaggio: si sente nell’aria, si avverte nei gesti, lo dicono gli sguardi. Ci siamo trovati impauriti e smarriti». Non lo dimentichiamo. Non vogliamo dimenticare, perché non si vince il dolore rimuovendolo o lasciandolo divorare dalla bulimia di emozioni che non diventano sentimento, consapevolezza, scelta, umanità. È tutto digitale, e un cuore digitale è un po’ preoccupante.
Raccogliamo il testamento affidatoci da chi non c’è più per colpa del COVID. Alcuni dei loro nomi li abbiamo deposti accanto a San Francesco e saranno illuminati da questa lampada. Li abbiamo raccolti proprio sapendo quanta amarezza e sconforto ha generato non poter essere vicini a coloro che amiamo nell’ultimo tratto della vita. Ricordiamo tutti coloro i cui nomi portiamo nei nostri cuori e li affidiamo all’amore di Dio, perché siano nella luce dell’amore che non finisce. Non sono più tornati a casa e non abbiamo potuto accompagnarli, come loro e noi avremmo desiderato. Per molti solo le videochiamate hanno rappresentato dei veri e propri testamenti struggenti. Resta l’amarezza per un discorso interrotto, lo sconforto che fa apparire tutto vano. In quella notte terribile, vissuta da chi ci ha lasciato e da chi è rimasto, abbiamo visto anche tante luci, tutte, consapevolmente o meno, riflesso di un amore più grande, perché dove c’è l’amore c’è Dio. Abbiamo capito che non si può lasciare nessuno solo e che anche il buio può essere sconfitto, perché pure solo con una piccola lampada di umanità si vince il buio.
Sono state le luci che il personale sanitario – i medici, gli infermieri, i volontari – ha acceso con i piccoli grandi gesti di umanità: consolando lacrime, stringendo mani, dando sicurezza, anche solo una carezza o uno sguardo. Ricordo quanti di loro come delle forze dell’ordine, dei farmacisti, di tanti operatori di carità hanno perso la vita per motivo del servizio, continuando ad aiutare nell’emergenza. Essi sono tra i giusti che ascoltano quelle tenere parole di gratitudine di Dio: ero malato e sei venuto a visitarmi, prendi parte alla gioia che non finisce. Ecco oggi siamo nella casa di San Francesco, Patrono del nostro Paese, a ricordare, a ringraziare ma anche a scegliere perché non vogliamo dimenticare velocemente “le lezioni della storia” e, imparando da queste, vogliamo cambiare, scegliere. «Voglia il Cielo che alla fine non ci siano più “gli altri”, ma solo un “noi”. Che non sia stato l’ennesimo grave evento storico da cui non siamo stati capaci di imparare. Che un così grande dolore non sia inutile, che facciamo un salto verso un nuovo modo di vivere e scopriamo una volta per tutte che abbiamo bisogno e siamo debitori gli uni degli altri, affinché l’umanità rinasca con tutti i volti, tutte le mani e tutte le voci, al di là delle frontiere che abbiamo creato» (FT 35). Ci aiuta San Francesco che non scappa dalla sofferenza, ma la affronta e addirittura guarda negli occhi la morte chiamandola “sorella” e così la sconfigge. Con San Francesco che usò misericordia, vorrei che tutti provassimo lo stesso cambiamento e quello che prima ci sembrava pesante, amaro, una privazione, un sacrificio impossibile, diventi invece motivo di dolce e consapevole umanità. Aiutare gli altri ci fa trovare noi stessi! È questo il giogo dolce e soave che ci unisce a chi per primo si è legato a noi, Gesù: un legame di amore che ci libera dal giogo pesante e insopportabile dell’individualismo. Se ne esce solo insieme! Le difficoltà non sono affatto finite. Lo vediamo drammaticamente nel mondo e nel nostro Paese. Affidiamo l’Italia all’intercessione del nostro Patrono. Ci sostenga in un momento così decisivo, ispiri l’amore politico e di servizio alla casa comune, perché nelle necessarie diversità tutti concorrano all’interesse nazionale, indispensabile per rafforzare le istituzioni senza le quali nessun piano può essere realizzato e per affrontare delle sfide così grandi.
Il nostro Patrono, uomo universale, aiuti l’Europa a essere all’altezza della tradizione che l’ha creata e il mondo intero a non rassegnarsi di fronte alla guerra. Lui, amico di tutti, ci aiuti a sconfiggere ogni logica speculativa, piccola o grande, anonima e disumana. La speculazione è sempre una forma di sciacallaggio che aumenta le ingiustizie e crea tanta povertà.
Fratelli tutti: dobbiamo iniziare dai più fragili, come gli anziani, che sono una risorsa e non un peso, che vanno protetti a casa dove conservano tutte le loro radici e ci aiutano a trovarle.
Fratelli tutti che guardano al futuro, che lo desiderano per gli altri lottando contro il precariato dei giovani, dando loro fiducia e sicurezza perché possano dimostrare le loro capacità senza paternalismi insopportabili. Futuro che chiede rispetto dell’unica casa, dell’ambiente, perché possiamo continuare a cantare la bellezza del creato. Curiamo le ferite profonde nascoste nelle pieghe della psiche – quante il Covid ne ha lasciate – e facciamolo con la competenza professionale ma anche tessendo comunità e fraternità che donano sicurezza e fanno sentire protetti e amati. La nostra comunità è forte, ha tanta storia e umanità, per essa nessuno è straniero e insieme si trova il futuro che tutti desiderano. Viviamo la benedizione che sempre è la vita, la sua bellezza perché sia anche appassionante trasmetterla e donarla, garantendo la grandezza della maternità.
Con San Francesco crediamo che il lupo terribile della guerra possa essere addomesticato e facciamo nostro l’accorato appello di Papa Francesco indirizzato certo ai due presidenti coinvolti direttamente – un aggressore e un aggredito -, ma anche a quanti possono aiutare a trovare la via del dialogo e le garanzie di una pace giusta. Come San Francesco tutti possiamo essere artigiani di pace. Ecco la luce della lampada che l’Italia intera accende oggi con il suo Patrono, perché tante luci rendano umana e fraterna questa nostra unica stanza che è il mondo. «Beato l’uomo che offre un sostegno al suo prossimo per la sua fragilità, in quelle cose in cui vorrebbe essere sostenuto da lui, se si trovasse in un caso simile» (Ammonizione XVII).
Laudato Si’. Fratelli tutti.
Grazie San Francesco, prega per noi, per l’Italia e per il mondo intero.
Pace e bene.
(foto sito CEI)