La riflessione del direttore dell’ufficio pastorale della Salute Don Francesco Farina per la II Giornata di commemorazione delle vittime covid
Era il 9 marzo 2020 quando l’Italia entrava in stato di lockdown. Non eravamo abituati a restrizioni e a causa di uno “sconosciuto”, (del quale in breve tempo abbiamo imparato a conoscere, seppur in maniera imperfetta, tutto), ci trovavamo a vivere ristretti in casa. In maniera caotica e confusa trascorrono i primi giorni di “celafaremo”, di inni nazionali cantati alla finestra, di moduli di autocertificazione, di guanti in lattice o vinile e mascherine improvvisate. Trascorrono anche i primi giorni di “panificazioni selvagge”.
Chi scrive è un presbitero e… trascorrono anche i primi momenti di celebrazioni eucaristiche celebrate senza fedeli e via internet. Passano pochi giorni, si fa il 18 marzo 2020 e ai tg della sera, ormai monopolizzati dai dati dei casi Covid, ai quali siamo ancora tristemente abituati, si aggiunge un’immagine di un forte impatto emotivo. Una colonna di mezzi da trasporto dell’Esercito Italiano è chiamata a svolgere una missione davvero particolare, ovvero il trasporto di diverse bare con dentro salme di persone morte a causa del covid. Il profondo senso religioso e la pietà di ogni popolo che vede nella morte un profondo richiamo a un’alta forma di rispetto inizia a fare “a cazzotti” con un evento tutto particolare. Gli ospedali, le residenze sanitarie assistite, tutti i luoghi di cura in generale iniziavano ad essere off-limit per i visitatori e i parenti. I degenti, gli ammalati, che sono da sempre considerati “altri Cristi”, si sono ritrovati a vivere, ed è ancora cosi, il momento della sofferenza in uno stato di solitudine. Gli operatori sanitari si sono ritrovati a diventare gli ultimi occhi e le ultime mani dei malati che cessavano le loro funzioni vitali. Chi moriva a causa del covid poi costringeva gli operatori a delle procedure che mettevano davvero a dura prova il cuore di ogni uomo.
Ci troviamo a rivivere nel cuore e nella mente quelle scene; le scene di Bergamo, le scene dell’America Latina, le scene di tanti altri posti che sicuramente ci sono state omesse. Celebriamo questa giornata del ricordo in cui commemoriamo questi cari. Molti sono a noi sconosciuti, ma tutti meritano gli onori del Milite Ignoto, non perché “morto a causa del covid”, ma per il semplice motivo di essere vissuto su questa terra. Pochi mesi, pochi anni, cento anni, non ha importanza, ogni vita è importante e preziosa. Concludo portando nel cuore, attraverso queste righe, tutti quei volti che conoscevo e che ci sono stati privati a causa di questa insidiosa malattia. Porto nel cuore con gratitudine tutte quelle mani che, prendendo il posto dei parenti e amici sono diventati gemelli di sangue di queste persone. Ultimo punto: in questo tempo ci siamo resi conto di quanto avessimo perso di vista un elemento che va di pari passo con una virtù, quella dell’umiltà: la fragilità. Fragilità dell’uomo nel corpo come nello spirito. Fragilità dei servizi essenziali dello Stato. In molti contesti questi ostacoli sono stati trasformati in opportunità. Troppe volte il tutto si è trasformato in un precipitare di situazioni, un terribile circolo vizioso. Che nulla di ciò che abbiamo sofferto e stiamo soffrendo vada perduto!