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La parola del Vescovo

Questo sia per noi un giorno di festa!

Paolo Emanuele · 10 anni fa

L’omelia del Vescovo alla Messa Crismale «Sic haec dies festa nobis»: “Questo sia per noi un giorno di festa”. Così canteremo tra poco mentre verranno portati, insieme al pane e al vino, i vasi contenenti gli oli. Nel sacrificio eucaristico, in cui si inserisce la benedizione del crisma, facciamo memoria grata del dono di essere costituiti come popolo sacerdotale, come famiglia dei figli di Dio.

«Sic haec dies festa nobis» - “questo sia per noi un giorno di festa”-: queste parole non sono ingenue, in quanto ci rendiamo conto della gravità del momento storico che stiamo vivendo. Dinanzi ai pesanti bisogni e alle tante sofferenze che ci circondano, non avremmo diritto di ripeterle se non potessimo dire a tutti la sorgente da cui scaturisce la nostra letizia.

Una letizia che, come dice san Paolo, regge anche «nel dolore» (cf. 2Cor 6,10), e che nei sacri oli è misticamente significata. Ma prima, desidero rivolgere un fraterno e cordiale saluto a voi – sacerdoti, diaconi, religiosi, religiose, seminaristi, fedeli laici – che partecipate alla solenne liturgia della Messa Crismale. Nell’Eucarestia ringraziamo il Signore per i numerosi doni, per le persone e le iniziative di bene che ha concesso e concede alla Chiesa lametina.Oggi però vogliamo ringraziarlo specialmente per i nostri sacerdoti che rinnovano le promesse della loro ordinazione sacerdotale. A voi carissimi presbiteri qui presenti e a quelli impossibilitati a venire vogliamo assicurare intenso affetto e profonda unità nella preghiera, perché sempre più diventiate immagine credibile di Cristo, soprattutto per i lontani.A voi va il mio grazie anche per tutto l’affetto che mi avete manifestato in occasione del mio anniversario di Episcopato.“Lo Spirito del Signore è sopra di me … oggi si è adempiuta questa Scrittura”. Attraverso queste parole, Cristo precisa e descrive la sua missione dicendo:

“mi ha mandato per annunziare ai poveri un lieto messaggio, per proclamare ai prigionieri la liberazione e ai ciechi la vista; per rimettere in libertà gli oppressi, e predicare un anno di grazia del Signore”.

La missione di Cristo appare come un’opera di annuncio di un lieto messaggio;

un’opera di liberazione dei prigionieri e degli oppressi;

un’opera di illuminazione di chi è cieco.

Annunciare, liberare e illuminare, dicono la missione di Cristo e spiegano anche chi siamo. Cominciamo dall’annuncio del lieto messaggio, poiché questo è il compito della Chiesa! E dicendo questo vogliamo ricordare che è diritto-dovere di ogni cristiano assolvere a questo compito. Ogni discepolo di Cristo è suo missionario!Nel nostro corpo, dice Sant’Agostino, “l’anima vede con gli occhi, ode con le orecchie, sente gli odori con le narici, parla con la lingua, opera con le mani, cammina con i piedi, a tutte le membra dà la vita, a ognuno un compito”. Così nella Chiesa lo Spirito Santo “concede a ciascuno di compiere l’opera propria e a tutti parimenti di vivere”, dà la varietà e l’unità, perché ci sia scambio, circolazione continua di beni, sostegno e aiuto reciproco (Disc. 276,4).Infatti, in tutti i credenti è presente e opera lo Spirito del Signore. Inoltre, la fede ci insegna che con il Battesimo è impresso in noi il carattere sacramentale, come un sigillo. Tale sigillo rende nel sacramento, l’accoglienza vitale del lieto messaggio, l’annuncio fondamentale della nostra esistenza: “L’amore personale di Dio che si è fatto uomo, ha dato sé stesso per noi e, vivente, offre la sua salvezza e la sua amicizia.

è questo l’annuncio che si condivide con un atteggiamento umile e testimoniale di chi sa sempre imparare, con la consapevolezza che il messaggio è tanto ricco e tanto profondo che ci supera sempre” (E.G. 128)La verità che la grazia ci precede sempre, che il Signore è già avanti a noi, è un faro che illumina il nostro cammino. Papa Benedetto XVI affermava convocando l’ultimo Sinodo: «è importante sempre sapere che la prima parola, l’iniziativa vera, l’attività vera viene da Dio e solo inserendoci in questa iniziativa divina, solo implorando questa iniziativa divina, possiamo anche noi divenire – con Lui e in Lui – evangelizzatori».Per questo ogni discepolo deve trovare il modo di evangelizzare che più corrisponda alla situazione attuale nella quale si trova immerso. Ciò vuol dire che anche noi sacerdoti, dobbiamo tutti crescere nella capacità di evangelizzare; anzi: ad annunciate il vangelo dobbiamo reimparare continuamente, proprio perché il mondo cambia continuamente.è uno sforzo, dal quale non possiamo esimerci, senza peccare di omissione!Da dove poter cominciare? Carissimi fratelli presbiteri, annunciare significa aprire i nostri schemi mentali. Per questo le nostre prassi pastorali vanno sgrossate da schemi umani che tradiscono la freschezza del Vangelo. Facendo mie alcune considerazioni di Papa Francesco in questo anno, provo ad elencarne tre.

- Da un lato ci può essere il gusto dell’antico, così, ad esempio, si insegue un modello di sacerdote che era adatto agli anni 30 del secolo scorso, che ha fatto tanto bene allora, ma che oggi, specialmente nei riguardi dei linguaggi giovanili o delle relazioni sociali o altro, è totalmente fuori contesto. Insistere su forme esteriori o su certi devozionalismi può far correre il rischio di un disadattamento ecclesiologico!

- Poi in secondo luogo, ci può essere il gusto del moderno, dove per moderno si intende un modello di sacerdote amministratore efficiente di una parrocchia che considera come fosse la sua eredità purtroppo non celeste, ma terrestre.

Ecco allora la parrocchia trasformarsi in un semplice club di amici oppure in un campo da guerra, pieno di nemici.

E il prete appare o come una star oppure come il nemico comune, che fa fatica a trovare equilibrio tra le diverse parti.

- In terzo luogo, ci può essere il gusto del contestatore, in nome di questo o quel gruppo, di questo metodo o di quell’altro, o addirittura di una visione individuale o di élite della Chiesa. Talvolta qualcuno scambia l’originalità come opposizione, personalizza la Parola e l’Ufficio invece di porli al servizio comunitario!

Altre volte si vuol far passare la propria resistenza come lungimiranza; la disobbedienza al Vescovo e alla Chiesa, come velati casi di coscienza.

Queste cose appartengono tutte alla vita di alcuni membri della Chiesa, ma rallentano il cammino e sprecano l’energia di tanti, se non di tutti. Soprattutto mi chiedo: cosa c’entrano con l’annuncio del Vangelo? Nulla, eppure in esse disperdiamo tante delle nostre energie! Seguire tali modelli e disperderci in queste cose porta a chiuderci nelle nostre sagrestie, nei nostri piccoli mondi, dove l’unica notizia che passa non è più quella del Vangelo, ma la vanagloria umana. Preghiamo allora il Signore che rinnovi in noi l’unzione per l’annuncio evangelico. Andiamo alla seconda opera del Cristo che dice la sua e nostra missione: portare la liberazione degli oppressi e dei prigionieri! Sì oh carissimi, la salvezza è liberazione. E la vera libertà è trovare chi ci rende liberi. La libertà che Dio ci ha donato è quella che ci permette di servire con gioia Dio e il popolo! Infatti, alla luce della storia della Salvezza, la liberazione è finalizzata alla dedizione. Siamo liberi per essere dediti alle cose di Dio, e cioè, come scrive Papa Francesco, «siamo stati creati per quello che il Vangelo ci propone: l’amicizia con Gesù e l’amore fraterno (…) Uniti a Gesù, cerchiamo quello che Lui cerca, amiamo quello che Lui ama»! La vera libertà viene a noi, dal di fuori come dono e propriamente nella forma del perdono. Pertanto, possiamo essere liberi perché siamo perdonati e rigenerati dal Signore. Sant’Agostino afferma: “Dio ha voluto per la sua misericordia che la nostra religione non fosse schiavitù, ma libertà”. La nostra società si nutre troppo di conflitti, di ingiustizia e di violenza. Anche Lamezia Terme e tutta la Diocesi, sono un campo in cui accanto a tanto impegno e fraternità cresce tanto dolore e tanta ingiustizia. In questo contesto, la Chiesa di Lamezia è chiamata a divenire sempre più il luogo della misericordia gratuita, dove tutti possiamo sentirsi accolti, amati, perdonati e incoraggiati a vivere il Vangelo della libertà e dell’amore vicendevole. Più si diffonderà la misericordia, attraverso l’annuncio del perdono gratuito di Dio e la partecipazione al sacramento della riconciliazione, più crescerà la vera libertà. Preghiamo il Signore perché rinnovi in noi l’unzione per la sua misericordia! Infine l’ultima opera del Cristo: illuminare i ciechi. “Siamo forse ciechi pure noi?” è la domanda dei farisei a Gesù. Giovanni 9,51 dice “se foste ciechi poco male, tanto i ciechi li guarisco; ma siccome dite di vedere il vostro peccato rimane”. E il peccato è la superficiale lettura della realtà che talvolta facciamo riguardo alla storia, ai cambiamenti, ai segni dei tempi, una lettura fuorviante se non anche portatrice di pregiudizi ingiusti.

Questa stessa lettura errata, possiamo averla nei confronti della Chiesa e della nostra missione.Non di rado si incontrano uomini e donne di Chiesa, ben paghi dello status quo. Tutto sembra andare bene, ma solo perché l’equilibrio del nostro egoismo non è stato infranto! Purtroppo non tutto va bene e dobbiamo convincerci che è necessario convertirci. Noi per primi! Il Vangelo ci vuole aprire gli occhi: questa è l’illuminazione. Non è qualcosa di strano. E aprire gli occhi sulla realtà è uscire dalle nostre opinioni per poter vedere la verità. La verità è che Dio è Padre e noi siamo figli e quindi fratelli e vivere tutto questo. “Erano perseveranti nell’ascolto e nell’insegnamento degli Apostoli, nell’unione fraterna, nella frazione del pane, nelle preghiere. Tutti coloro che erano diventati credenti stavano insieme e tenevano ogni cosa in comune”. Pensiamo cosa potrebbe diventare la nostra Chiesa e la nostra comunità civile se invece di litigare e distruggerci gli uni e gli altri, impiegando le massime energie in questo, cominciassimo a concordare meglio sulla Diocesi e sulla Calabria che vogliamo; pensiamo - come scrive il Papa - «a superare il sospetto, la sfiducia permanente, la paura di essere invasi, gli atteggiamenti difensivi che il mondo attuale ci impone», cercando di andare di più d’accordo e di mettere in comune gli sforzi per costruire la stima vicendevole e diffondere uno stile di solidarietà, di condivisione, di qualità di vita. Luca, nel Vangelo, racconta come gli astanti guardino a Gesù con attenzione piena di attesa: «Gli occhi di tutti erano fissi su di lui» (Lc 4,20). è lo stesso verbo che userà per parlare di Stefano, il primo martire della Chiesa «E tutti quelli che sedevano nel sinedrio, fissando gli occhi su di lui» (At 6,15). Mendichiamo questo sguardo, questo “faccia a faccia” con Cristo, l’unico che ci consente di alzare il capo e guardare la salvezza, la libertà che ci dona e che è vicina. Anche a ciascuno di noi. Preghiamo il Signore perché illumini i nostri occhi e ci dia quel collirio, quell'unguento che è capace di volere la vista per vedere le cose e il mondo con gli occhi di Dio.