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Cultura e Società

Chi è il vescovo? Un approfondimento per i dieci anni di episcopato di Mons. Cantafora

Antonio Cataudo · 11 anni fa

Tre le date –e quindi i giorni, i luoghi, gli incontri- che segnano i dieci anni di ministero episcopale di mons. Luigi Cantafora. E’utile ripercorrerle nel loro scandire i primi mesi del 2004: il 24 gennaio, l’elezione alla Sede vescovile di Lamezia Terme con Bolla di Papa Giovanni Paolo II; il 25 marzo, l’ordinazione episcopale nella Cattedrale di Crotone per imposizione delle mani dell’allora nunzio di Italia mons. Paolo Romeo; il 2 aprile, la presa di possesso canonico della diocesi.

Tre date che hanno diversi significati. Perché se l’elezione (più correttamente, l’istituzione canonica) conferisce l’ufficio e salda il vincolo tra l’eletto e il Papa e l’ordinazione infonde la grazie sacramentale, la presa canonica è l’atto giuridico grazie al quale il vescovo inizia a governare legittimamente la Chiesa affidatagli.

Dieci anni di vescovo significano dieci anni di vita, di servizio, di amore e di passione. E’un’occasione di giubilo per la Chiesa particolare, certamente, ma anche per la Chiesa universale. Non si può comprendere il vescovo, e in specie il significato del suo ministero, se non lo si inquadra all’interno del Collegio episcopale, il cui “capo” è il romano Pontefice. Nella Chiesa, mistero di Dio tra le tende degli uomini, c’è insomma una tensione continua tra “particolarità” e “universalità”, laddove ogni vescovo –diocesano, coaudiatore, titolare o emerito- rappresenta il Cristo Capo ed è Pastore della Chiesa. La “collegialità”, o meglio -per usare le parole del Concilio Vaticano II- l’“unione collegiale”-, sta ad indicare quindi che tutti i vescovi, con in testa il Papa, rappresentano la Chiesa in un saldo vincolo di pace, di amore e di unità. Tanto che il Collegio episcopale è diretta espressione del Collegio apostolico, dei Dodici: “Come san Pietro e gli altri Apostoli costituirono, per istituzione del Signore, un unico collegio apostolico –si legge nella costituzione dogmatica sulla Chiesa Lumen Gentium, n. 22-, similmente il romano Pontefice, successore di Pietro, e i vescovi, successori degli Apostoli, sono tra loro uniti”.

E’di notevole interesse la definizione di Chiesa particolare che offre Papa Francesco nella esortazione apostolica Evangelii Gaudium: “E’la Chiesa incarnata in uno spazio determinato, provvista di tutti i mezzi di salvezza donati da Cristo, però con un volto locale” (n. 30). E continua Bergoglio con il dire che “il vescovo deve sempre favorire la comunione missionaria nella sua Chiesa diocesana perseguendo l’ideale delle prime comunità cristiane, nelle quali i credenti avevano un cuor solo ed un’anima sola” (n. 30).

Ed allora chi è il vescovo? E’, certamente, in ogni comunità ed in tutta la Chiesa, il primo missionario, il primo annunciatore del Vangelo, il primo testimone della salvezza. “Primo” non per una sorta di privilegio umano, bensì perché al vescovo sono affidate per diritto divino le funzioni di santificare, insegnare e governare il popolo di Dio. 1) “Santificare” significa vivere santamente, condurre gli altri alla santità, celebrare la Messa per il popolo, i pontificali e i sacramentali ed amministrare i sacramenti; 2) “Insegnare” vuol dire spiegare le verità della fede, difenderne l’integrità e l’unità e vigilare sull’istruzione teologica e religiosa nei seminari, nelle scuole religiose e nelle istituzioni accademiche; 3) “Governare” si riferisce al dovere di esercitare la carità pastorale, di favorire, coordinare e sollecitare le diverse forme di apostolato per i presbiteri ed i fedeli laici, di risiedere personalmente nella diocesi e di visitarne l’intero territorio almeno una volta ogni cinque anni.

La missione del vescovo è visibile a tutti attraverso le insegne che egli indossa: la “mitra”, il copricapo, è la corona di gloria che merita il Pastore santo nella Patria celeste, ma anche il segno della conoscenza e della sapienza della Parola; l’anello è simbolo della sponsalità che lega il vescovo alla sua Chiesa; il “pastorale”, un lungo bastone, ricorda che il vescovo è la guida della comunità e rimanda al noto paradigma biblico pastore- gregge; la croce è la testimonianza viva e salda della fede in Cristo.

In greco il termine vescovo si traduce con “episcopos”, cioè “colui che guarda dall’alto”. Il vescovo è, insomma, la sentinella di una comunità cristiana. Papa Benedetto XVI, prima, e Papa Francesco, adesso, hanno richiamato e richiamano più volte di rifuggire dalla tentazione del “carrierismo” - nella Chiesa e nella sua comunione gerarchica (da stigmatizzare è, per esempio, l’atteggiamento di certi seminaristi e giovani sacerdoti che, a detta loro, “studiano per diventare vescovi”). La gerarchia, d’altronde, nello spirito della nuova ecclesiologia del Vaticano II, è servizio e ben può essere rappresentata come una piramide rovesciata alla cui base, in alto, vi è il Popolo di Dio.

I bilanci e le prospettive di un ministero episcopale devono, quindi, essere calibrate avendo come parametri le funzioni ed i ruoli che riveste il vescovo nella Chiesa. E se dieci anni di episcopato rappresentano una tappa obbligatoria per resoconti e nuovi progetti, ben si può dire che mons. Cantafora è per davvero un vescovo della Concilio. Il che non è scontato in un momento in cui recondite nostalgie tornano a galla e facilmente conducono a dimenticare che lo Spirito di Dio soffia e alimenta nei modi più vari, in tutti i tempi, il depositum fidei.

Dire che mons. Cantafora è un vescovo del Concilio significa guardare all’impostazione della sua agenda pastorale, all’opzione preferenziale per i poveri, all’attenzione per i giovani, le donne, gli anziani e i malati, alla sensibilità apostolica, spirituale e culturale. Tra l’annuncio della Parola di Dio e la denuncia delle ingiustizie sociali –prima fra tutte, la criminalità organizzata-, il ministero di mons. Cantafora oscilla in una terra, quella calabrese, che ha ancora tanto bisogno di pastori che sappiano essere –diceva il cardinale Martini- uomini della misericordia, uomini umili e “anzitutto” uomini veri: “ma tutto questo –continuava il porporato in uno dei suoi ultimi libri (“Il vescovo”, Rosenberg&Sellier, 2011, p. 92)- non si potrà ottenere se non mettendo al centro di tutto l’Evangelo di Gesù Cristo Parola del Padre attuata dallo Spirito Sato, dal quale è sceso e scende ogni bene sulla terra, ora e nei secoli futuri”.

Intanto a mons. Cantafora il nostro “grazie” per quello che ha fatto e per quello che farà. Un grazie che si fa innalzamento di lode al Dio della Vita e della liberazione.

Bibliografia minima per approfondire:

- Catechismo della Chiesa Cattolica, Libreria Editrice Vaticana, par. 4, nn. 871-945.

- FRANCESCO, Evangelii Gaudium, in www.vatica.va.

- S. BERLINGO’– M. TIGANO, Lezioni di Diritto Canonico, Giappichelli, Torino, 2008.

- G. GHIRLANDA, Il diritto nella Chiesa mistero di comunione, San Paolo –Editrice Pontifica Vaticana, Roma, 2006 (prima edizione: 1990), pp. 568-588.

- C.M. MARTINI, Il vescovo, Rosenberg&Sellier, Torino, 2011.