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Vita diocesana

La politica italiana riparte da 40. Speranze e attese da una nuova generazione di quarantenni alla guida del paese.

Paolo Emanuele · 11 anni fa

40 è il numero perfetto. O almeno così sembra per la politica italiana che, nella fase complicata che continua dalle elezioni politiche dell’anno scorso, tra scissioni e staffette di ogni tipo, ha fissato un criterio generazionale di riferimento: la “palla” passa ai quarantenni. Anno più anno meno, la generazione nata a cavallo tra gli anni 60 e 70 vuole uscire allo scoperto e segnare una fase nuova nella politica italiana, all’interno dei singoli partiti, nelle aree politiche di riferimento e alla guida del governo del paese.

Un anno fa, dopo il terremoto delle elezioni politiche e la paralisi determinata dal sostanziale pareggio dei risultati elettorali, è stato Enrico Letta, non più quarantenne ma comunque figlio della generazione post Beatles, a prendere le redini del governo e ad assumersi la croce di un governo nato dal matrimonio “anomalo” tra centrodestra e centrosinistra, “benedetto” da Giorgio Napolitano.

Una squadra, quella formata da Letta, tutta nata e cresciuta tra gli anni 70 e 80, quando arriva in Italia la Giulietta, vanno di moda le giacche stile biker e il sabato sera arriva nelle discoteche italiane una energica “febbre” direttamente dagli Stati uniti. Una squadra giovane, almeno per le medie anagrafiche che caratterizzano tutti i luoghi di governo italiani, dai comuni all’esecutivo nazionale.

E’stato sempre un “quarantenne”, Angelino Alfano, ad abbandonare la casa paterna per consentire al governo Letta di proseguire l’azione di governo, quando Silvio Berlusconi aveva deciso di abbandonare la maggioranza ad ottobre scorso. E – cronaca di queste ore – per un quarantenne che se ne va, un under 40 già ha acceso i motori in direzione Palazzo Chigi: si tratta di Matteo Renzi, candidato a sostituire Enrico Letta alla guida del governo. E tra i nomi che in queste ore circolano per il governo guidato dal sindaco di Firenze, le caselle sono tutte riempite da facce che ancora non hanno rughe e teste con pochissimi capelli bianchi.

C’è, dunque, una nuova generazione che vuole segnare il passo della politica italiana e vuole dettare i tempi. Una generazione post ideologica, fatta di donne e uomini che erano troppo piccoli quando il conflitto politico si combatteva non solo verbalmente ma anche fisicamente. Una generazione impaziente di andare alla guida del paese convinta di poter essere interprete di quelle istanze di cambiamento urgenti nella società italiana. E’una generazione “stanca” di gratificarsi soltanto facendosi vedere accanto al “leader” di turno, ma con garbo e realismo invita l’ultrasessantenne (chiunque egli sia) a pensare alle cose più leggere della vita, dal prendersi cura dei nipotini a fare il padre nobile, che dà consigli e istruzioni ai più giovani.

I quarantenni, dunque, vanno al potere e forse questa immagine rappresenterà nei libri di storia l’Italia degli anni 2013-2014.

Questo è il dato di fatto. Ci sarebbe ora da riflettere sull’elemento di novità che “i figli dei figli dei fiori” porteranno nella politica e nella società italiana. Se è convinzione diffusa che “il giovanilismo” non è sempre buono e non è la panacea di tutti i mali, è anche vero che l’“usato sicuro” o “meglio l’esperienza” sono formule che lasciano il tempo che trovano: la rivoluzione invocata dai “papà” dei quarantenni del 2014 è oggi rappresentata dalla rivoluzione digitale con tutte le conseguenze politiche, sociali e culturali innescate e chi governa il paese non può imparare a leggere queste trasformazioni proveniendo da un’altra era geologica: deve sentire sua questa nuova realtà socio – culturale per poter confrontarsi con essa e dare risposte adeguate. Una generazione che può portare al governo la rabbia di quanti non hanno mai conosciuto l’esistenza di un qualcosa chiamato “posto fisso”; di quanti senza tessere di partito hanno provato a “fare politica” negli spazi sociali in cui lo Stato era carente o inefficiente; di quanti hanno lasciato alle spalle le ideologie del XX secolo per guardare ai valori e alla concretezza delle scelte politiche.

Andranno alla guida del paese – ci domandiamo – non solo facce più giovani, ma personalità in grado di interpretare queste spinte che vengono dalle nuove generazioni? Operazioni di immagine e di maquillage in questi anni ne abbiamo viste molte, ora è tempo di concretezza. Sarebbe bello, tra qualche decennio, poter raccontare di questi anni come quelli in cui, dove non riuscirono ad arrivare “i padri”, ce la fecero i figli.