Nella prima lettura di questa domenica, l’autore ispirato attesta che Dio ha messo la vita nelle mani di ciascuno uomo. Ognuno la può dirigere verso il più grande bene, ma anche verso il più grande male, verso la santità o il peccato, il paradiso o l’inferno. Se la pone sulla strada del male non può raccogliere il bene e se si incammina verso la via della perdizione mai potrà sperare di raggiungere la salvezza eterna. Chi semina il bene, raccoglie il bene, chi sparge il male, il male raccoglierà.
Se Dio ha dato i comandamenti, questi si possono osservare. Se un uomo è di buona volontà e dirige i suoi passi sulla via della Legge, il Signore dal cielo lo aiuterà, lo sosterrà, lo custodirà, sempre che lui voglia e chieda al Signore di inoltrarlo su questa strada buona.
Poiché Dio “a nessuno ha comandato di essere empio e a nessuno ha dato il permesso di peccare”, se uno pecca, pecca solo per la sua cattiva volontà. Mentre è proprio dell'uomo, attraverso il suo buon volere, sconfiggere il male, acquisire le virtù, vivere una vita onesta e santa, obbedire alla legge del Signore, osservare i comandamenti, restare fedele all'alleanza giurata.
L'uomo può, con la forza che viene da Dio, compiere il bene; può e quindi deve volerlo; se lo vuole, può dominare se stesso, può governarsi e mantenersi sempre nel bene soprannaturale, a condizione che lo chieda al Signore e si metta nella santa umiltà di non confidare in se stesso, ma sempre e comunque nel Dio che gli dà forza, sapienza, luce. Quando l'uomo comprenderà che è possibile operare il bene attraverso la preghiera che precede l'opera, l'accompagna e la segue, allora egli potrà fare grandi passi sulla via del bene e della fedeltà all'alleanza giurata.
Alleanza che Gesù stesso è venuto a portare a perfezione, a chiarirne il suo pieno significato, far capire il suo giusto senso, correggere le false interpretazioni e le arbitrarie applicazioni, a cui il popolo e i suoi stessi maestri e dirigenti, cedendo alle debolezze e limitazioni della condizione umana, l’hanno piegata. Egli lo può fare in nome dell’autorità divina di cui era cosciente di possedere.
Gesù, difatti, non si presentava alla folla come un “insegnante” o un “commentatore” della Legge antica, come gli scribi che poggiavano il loro insegnamento sul testo della Legge mosaica, della quale erano interpreti e chiosatori, ma si comportava come un legislatore e, in definitiva, come uno che aveva autorità sulla Legge e il potere di completare e interpretare autorevolmente o addirittura di dare in modo nuovo la Legge di Dio. E questo per mostrare anche la sua coscienza di essere “uguale a Dio” (cf. Gv 5, 18; Fil 2,6).
Proprio il Discorso della montagna, come è riportato da Matteo, è il luogo del Nuovo Testamento dove si vede affermato chiaramente ed esercitato decisamente da Gesù tale potere sulla Legge che Israele ha ricevuto da Dio come cardine dell’alleanza.
Un’autorità divina che Gesù esercita senza però creare un’altra Legge abolendo l’antica, perché Dio non può di certo “abolire” la Legge che Egli stesso ha dato.
Il Figlio dell’uomo opera dunque come un Dio che ristabilisce ciò che Dio ha voluto e posto una volta per sempre.
Non solo non “abolisce”, Gesù richiede anche una “giustizia superiore” a quella degli scribi e dei farisei (cf. Mt 5,20), ossia un’osservanza della Legge animata dal nuovo spirito evangelico di carità e di sincerità. La sua, difatti, è la giustizia della carità e della misericordia, delle beatitudini, della non violenza, della non opposizione al malvagio, della santità del matrimonio, del silenzio e del segreto della mente e del cuore.
Tale “giustizia superiore” è possibile viverla in ragione del cuore nuovo creato dallo Spirito dentro l'uomo. C'è la perfezione della legge ma c’è anche la rigenerazione della natura; c'è una richiesta di “giustizia superiore”, ma anche una elevazione della creatura in una natura nuova, spirituale, celeste. In Cristo l'uomo è in perenne possesso della divina carità che può sempre attingere nel sacramento della penitenza e dell'Eucaristia, la via per bruciare di un amore perenne per il Signore.
Non è possibile osservare la perfezione del Vangelo se non partendo da questo nuovo essere, da questa nuova creazione, o rigenerazione. Quanti affermano che il Vangelo non è vivibile, possono dirlo solo perché hanno abbandonato la via della grazia e della verità; non si lasciano fare veri dai sacramenti, non alimentano di carità la loro vita nuova e quindi ritornano nella morte. Il vecchio uomo finché rimane tale non osserva le Beatitudini, perché il cuore è di pietra e neanche riesce a comprendere la necessità per la vita di entrare nei Comandamenti.
La Chiesa ha il ministero di Cristo; assieme alla Legge deve dare all'uomo la Verità, farlo vero, deve alimentarlo di carità, nutrirlo di Corpo e di Sangue del Signore.
Dio tutto ci ha dato nel Suo Figlio Unigenito: il suo amore senza limiti, la sua verità senza ombra di imperfezione, la sua grazia nel dono della vita perché ognuno da esso si lasci avvolgere e divenga uomo nuovo, puro, vero, santo, giusto, capace di vittoria sull’ira, sul risentimento, sul malanimo che si annidano facilmente nel cuore umano, sulle parole ingiuriose, con scherzi e derisioni, sugli sguardi e i desideri impuri.
Ora l'uomo sa con certezza cosa è il bene e cosa è il male; non gli resta che stendere la mano verso il bene, coglierlo e mangiarlo.