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Il Vangelo della domenica

La liturgia della domenica

Paolo Emanuele · 11 anni fa

Per mezzo di Isaia, il Signore fa sapere che non vuole un culto vuoto, fatto di parole, di argomentazioni fini, di progettualità sterile; Egli comanda l'amore concreto, reale, fattivo, operativo. Dio è amore e l'uomo fatto a sua immagine deve concretamente amare, fatti-vamente operare, deve sentire l'altro parte di se stesso, bisognoso, nella necessità, nell'afflizione, nell'urgenza. La fame, la sete, la nudità del prossimo si assume e si risolve. Dio si è fatto povero chiede una briciola di pane che tutti possono dare, nessuno è così povero da non avere un tozzo di pane. Ogni uomo, d’altronde, è sempre “un povero e un bisognoso", in ordine alla vita che ha avuto in dono da Dio. Il Signore risponderà sempre secondo quanto ha dato a chi ha risposto a Lui; a chi ha ascoltato il Suo grido di aiuto, lo a-scolterà e lo esaudirà.

Sempre nella Scrittura è raccomandata l'opera; questa rende credibile il discepolo di Gesù che opera secondo il volere del Signore: "Vedano le vostre opere buone e glorifichino il Padre vostro celeste". Le opere che l'uomo deve vedere dal discepolo di Gesù sono: la giustizia, la misericordia, la mitezza, la povertà in spirito, l’amore e la carità, la fortezza nelle tribolazioni, la grande speranza, il distacco dalle cose di questo mondo, ma soprattutto il grande amore per il Padre celeste e la filiale fiducia ed abbandono in Lui.

Gesù vuole che i suoi discepoli siano per il mondo intero il sale della sapienza, la luce della verità; li vuole uomini della saggezza e della conoscenza spirituale. Per questo occorre che il discepolo di Gesù trasformi in opera buona la sua nuova essenza ricevuta nelle acque del battesimo per opera dello Spirito Santo; egli deve ardere facendo divenire l’olio nuovo con il quale lo Spirito Santo lo ha unto, luce perenne di giustizia, di verità, di amore, di carità, solidarietà e condivisione. è proprio del cristiano modificare la sua nuova essenza di luce e di sale in opera di bene.

Nel Vangelo di questa domenica, Gesù Signore definisce i suoi discepoli “il sale della terra e la luce del mondo”: Gesù, circondato da una grande folla, sta ammaestrando i suoi discepoli (cf. Mt 5,1), e proprio ad essi, quasi all’improvviso, dice non che “devono essere”, ma che “sono” il sale della terra e la luce del mondo. Si direbbe, insomma, che Egli, senza escludere ovviamente il concetto di dovere, designi una condizione normale e stabile del discepolato: non si è suoi veri discepoli, se non si è sale della terra e luce del mondo.

Facile, d’altra parte, è l’interpretazione dell’immagine del sale e della luce: il sale è quella sostanza che si usa per dar sapore alle vivande e per preservarle, altresì dalla corruzione. Il discepolo di Cristo, dunque, è sale nella misura in cui offre realmente agli altri uomini, anzi all’intera società umana, qualcosa che valga come un salutare fermento morale, qualcosa che insaporisca e tonifichi. Fuori di metafora, un tale fermento non può essere che la virtù o, più esattamente, il complesso di quelle virtù così bene indicate nella serie precedente delle Beatitudini.

Riguardo all’immagine della “luce” si presenta fin da subito come complementare ed integrativa rispetto all’immagine del sale: se questo suggerisce l’idea della penetrazione in profondità, quella suggerisce l’idea della diffusione nel senso dell’estensione e dell’ampiezza.

Il cristiano dunque, per essere fedele discepolo di Cristo maestro, deve illuminare col suo esempio, con le sue virtù, con quelle “belle opere”, di cui parla l’odierno testo evangelico (Mt 5,16) e che gli uomini sono in grado di vedere. Egli deve illuminare proprio perché è seguace di Colui che è “la vera luce, che illumina ogni uomo che viene a questo mondo” (Gv 1,9) e che si autodefinisce “luce del mondo” (Gv 8,12).

Cristo vuole che il cristiano si rivesta di questa sua nuova natura, e che viva in conformità ad essa tutti i giorni e gli attimi della sua esistenza, così, se compie questa trasformazione, sarà visto diverso, differente, porrà il mondo in questione, farà elevare agli uomini un inno di lode e di glorificazione per il Padre dei cieli, altrimenti essi mancheranno della prova della fede che il cristiano è tenuto a dare e sono posti nell’impossibilità di aprire il loro cuore alla verità.

Sovente purtroppo la luce non è la nuova natura del cristiano e neanche la sua parola, poiché la parola pronunciata è frutto della sua natura non trasformata.

Quando il cristiano si fa non-luce, anche la sua parola diventa non-verità. Dio non può più illuminare il mondo della Sua luce di salvezza. Oggi si parla, si annunzia, si catechizza, si evangelizza; c'è anche come una mobilitazione per la nuova evangelizza-zione. Ma se ciò viene fatto dal cristiano non-luce, abbiamo una parola detta che non genera verità. La prima riforma cristiana è il nostro passaggio dalle tenebre alla luce.

La legge della salvezza vuole che salvi chi si è lasciato salvare da Dio e che illumini colui che in Cristo è divenuto luce delle nazioni. Il Vangelo non conosce altre vie per la salvezza del mondo. è il discepolo-luce la via della salvezza.