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Cultura e Società

Mettersi insieme

Paolo Emanuele · 11 anni fa

Lamezia Terme - Mettersi insieme. Quasi una password in tempi di crisi. Se camminiamo da soli e in ordine sparso facciamo fatica ad andare avanti, se invece formiamo una catena possiamo avanzare con qualche speranza, anche quando il sentiero diventa impervio e si inoltra tra forre paurose.

Vogliamo ricordare le prime comunità cristiane? “Tutti coloro che erano diventati credenti stavano insieme e tenevano ogni cosa in comune; chi aveva proprietà e sostanze le vendeva e ne faceva parte a tutti, secondo il bisogno di ciascuno” (Atti 2, 44-45).Una regola che vale anche in economia, sebbene sia stata spesso travisata. In fondo anche il comunismo è stato il tentativo di realizzare l’ideale del tutti per uno. Solo che ha commesso l’errore di sacrificare l’individuo – la persona – sull’altare della collettività, parola che presto fu adoperata per nascondere un termine molto più crudo: dittatura. Eppure non si può non guardare con rispetto, e perfino con simpatia, a quei tentativi di creare forme di società solidale che si sono susseguite nell’ultimo secolo. Compiono giusto cent’anni, ad esempio, i kibbutz, espressione della forza morale del popolo israeliano, proteso verso la riconquista della patria promessa. Villaggi-fattoria dove si lavorava e si faceva cassa comune, perché tutte le energie dovevano convergere verso un unico più alto obiettivo, quello di far risorgere la nazione ebraica. Esperienze simili non sono mancate neppure in ambito cristiano: basti ricordare Nomadelfia, la città dove “la fraternità è legge”, fondata da don Zeno Saltini nel dopoguerra e ancora attiva nelle campagne di Grosseto. Lì si condivide tutto, non solo il denaro e i beni materiali ma perfino l’educazione dei figli.

Il tracollo economico provocato dalla finanza rapace ha riportato d’attualità forme di vita solidaristica. In Italia diverse famiglie, mosse spesso da motivazioni religiose, si costituiscono in gruppi, attraverso condomini o vicinati solidali, dandosi norme comuni e basandosi sulla fiducia reciproca. Ognuno ha un suo appartamento e uno spazio sovrano, condividendo però valori e stile di vita. I genitori di una coppia possono fare da baby-sitter o aiutare nei compiti i figli dell’altra e così via, salendo di livello secondo le proprie scelte e sensibilità, fino alle “comunità di famiglie” dove si affida il proprio stipendio a una cassa comune.Senza fermarsi a questi esempi, basta dare un’occhiata alle nuove tendenze nel campo del lavoro e dell’imprenditoria. Si diffonde il coworking, che permette la condivisione di un ambiente di lavoro, e anche di doti e capacità reciproche: si resta indipendenti ma si fa sinergia operando a contatto con persone di talento. La difficoltà a trovare risorse spinge a chiedere aiuto agli altri ed ecco il fund raising, che non è una semplice raccolta fondi, ma una vera e propria strategia per condividere un’idea, un progetto, un’iniziativa. Si affida al web la proposta e si attende che qualcuno – pochi o tanti – la condividano, contribuendo ognuno per la propria parte, che sia un euro o una somma consistente. Insomma, una sorta di adozione a distanza, che il donatore potrà seguire e controllare e dalla sua soddisfazione dipenderà la prosecuzione dell’iniziativa. La tendenza è globale e, potremmo dire, interculturale e interreligiosa. Nel subcontinente indiano si è sviluppata la più grande rete di microcredito al mondo, avviata dal bengalese Muhammad Yunus, Premio Nobel 2006, e declinata oggi in mille forme. Il Brasile è stato il principale terreno di sperimentazione dell’“economia di comunione” inventata da Chiara Lubich e dal Movimento dei Focolari, che destina solo un terzo degli utili al profitto, riservando gli altri due terzi agli investimenti per la crescita e al sostegno ai più poveri. Nella City di Londra sta sbarcando la finanza islamica, che in nome del Corano vieta gli interessi sui prestiti di denaro e li sostituisce con investimenti socialmente responsabili. E in Calabria? Purtroppo finora non hanno attecchito le forme cooperativistiche, se non obtorto collo, quando è stata l’unica condizione per drenare contributi pubblici. E, cosa più importante, non si è evoluta la mentalità del sospetto, che fa guardare all’altro come a un pericoloso concorrente se non come a un nemico. L’unica realtà che ha saputo, per così dire, far squadra è stata la ’ndrangheta, estendendo i suoi tentacoli ovunque, ben oltre i confini regionali. Una criminalità “organizzata”, per l’appunto, che ha avuto facile gioco in una società invece disorganizzata e disarticolata in termini socio-economici e culturali. Per questo merita grande interesse l’experimentum che si sta compiendo nella Diocesi di Lamezia per contribuire a smuovere il mercato del lavoro e offrire delle opportunità ai giovani, attraverso quella che la responsabile del progetto Nelida Ancora ha definito “economia di pace”. Il fervido augurio e che abbia fortuna migliore rispetto ad altre esperienze condotte in differenti diocesi calabresi, dove problemi di gestione uniti a difficoltà del territorio hanno spento l’impulso ideale che ne caratterizzò gli inizi.