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Cultura e Società

La crisi egiziana ed il ruolo dei cristiani: una testimonianza di perdono e di pace

Paolo Emanuele · 11 anni fa

L’Egitto non è solo la terra dei Faraoni: è una civiltà millenaria, in cui la fede cristiana è profondamente radicata e viva. è la terra da cui Mosè guidò l’Esodo verso la Palestina, la terra in cui la Sacra Famiglia trovò riparo e salvezza, la terra dei primi monaci ed anacoreti cristiani. Dal 2011, quella stessa terra è percorsa da inquietudini e sommosse violente. Dapprima, furono gli scontri scoppiati nella capitale, Il Cairo, durante le manifestazioni della “giornata della collera” contro la mancanza di lavoro e la repressione del regime. Poi, la rivolta contro il rais Mubarak, contro il sistema di corruzione diffusa ed i privilegi delle oligarchie. Gli scontri causarono centinaia di feriti e di arresti tra i manifestanti. I media occidentali, per identificare l’ondata di agitazioni nel Nord Africa e nel Vicino Oriente, coniarono allora il concetto di “primavera araba”.

Oggi, a distanza di due anni e mezzo, il clima sociale e le condizioni di vita della popolazione egiziana non sono mutati. Per certi versi, anzi, la situazione politica è esacerbata, incrinando la secolare e civile coesistenza tra religioni. Situazioni di discriminazione, nel passato, si sono già verificate: in questi giorni, tuttavia, si moltiplicano gli atti di ostilità e di tensione nei confronti dei cristiani. Infatti, benché la popolazione sia in maggioranza islamica (80-90% a seconda delle stime), l’Egitto conta un 10% di cristiani, pari a 8 milioni di credenti. Tra di essi, registra maggior diffusione la Chiesa copta ortodossa. I copti cattolici, guidati dal patriarca di Alessandria, Ibrahim Isaac Sidrak, sono 160 mila. Ad essi, si uniscono nella comune fede in Cristo, i greco-ortodossi (40 mila) ed i protestanti (27 mila circa).

In una recente intervista, il vescovo di Luxor, Zakaria ha espresso tutta la sua preoccupazione per le notizie, sempre più frequenti, di aggressioni contro cristiani e persino contro musulmani non fanatici. Secondo il prelato, ad accendere la miccia è stato l’Islam fondamentalista: la situazione di caos e di ingovernabilità costituisce, infatti, un pretesto per fare pressione sull’esercito e chiedere il ritorno alla presidenza di Morsi, esponente del partito dei "Fratelli musulmani".

Le parole di Zakaria sono intrise di dolore e sofferenza: «A Delga è stata bruciata la chiesa copto-cattolica; sono state ammazzate 4 persone a Nag Hassan e bruciate 32 case per l’omicidio di un musulmano. Poi si è scoperto che l’omicida era il fratello, che ha pensato di far ricadere la colpa sui copti. E poi il caso di Dimyana Abdel Mour, maestra elementare, falsamente accusata di blasfemia ai danni del Corano. Abbiamo bisogno - continua il vescovo - della preghiera dei cristiani di tutto il mondo per proseguire la nostra testimonianza di fede e di perdono».

Una preghiera di cui tutto il paese ha bisogno perché la situazione economica e sociale è drammatica. In un contesto così conflittuale, la presenza e l’azione dei cristiani diventa indispensabile: «Noi cristiani preghiamo e operiamo per la pacificazione nazionale», conclude Zakaria, nella convinzione che si debba aprire la strada ad un nuovo dialogo. Dopo tutto, come ha detto il Patriarca egiziano, incontrando a Roma Papa Francesco, «Noi cristiani dobbiamo essere uniti per servire gli altri».