L'etica nelle comunicazioni sociali «In principio era il Verbo»: nei versi che aprono il Vangelo di Giovanni, Cristo è identificato con la Parola, che indica la sua essenza divina e la sua esistenza preumana. La stessa vita di Gesù è Parola, messaggio di Dio agli uomini («La mia dottrina non è mia, ma di Colui che mi ha mandato», Gv. 7:16). Il cammino della Chiesa di Cristo è Parola, divulgata attraverso l'evangelizzazione e l'educazione spirituale dei popoli.
In questo, si sostanzia il rapporto tra la fede cristiana e la comunicazione. Una comunicazione che, come il Vangelo, deve perseguire una missione sociale, ponendo al centro l'uomo e la sua dignità. Quando l'uomo non è al centro, tutto stagna: sia nell'economia, dove spesso prevale l'etica del profitto che nelle comunicazioni.
Dopo tutto, la vita è segnata dalla vocazione ed il mestiere di comunicare nasce da vocazione e talento, al pari di ogni attività o arte umana. Per queste ragioni, il compito di informare non può prescindere dai principi di umanità e bene comune, non può considerarsi avulso dal contesto sociale in cui opera e per il quale opera.
Non si scrive in base ai numeri ed all'audience fine a se stessa. Non si può fare assoluto appello al diritto di cronaca quand'esso garantisce ascolti e vendite ma viola la dignità e travalica la libertà personale. Ciò perché nessuna libertà è assoluta, neppure la libertà di espressione: oltre alla dottrina, ce lo insegna la Costituzione italiana, faro laico del nostro vivere civile, che impone il bilanciamento dei principi fondamentali con i diritti soggettivi.
Tuttavia, la tutela dell'individuo non si si riduce a questo ma si declina nel rispetto della verità: non solo la verità dei fatti ma la Verità dell'uomo, che coglie il senso della sua presenza nel mondo. Dopo tutto, i grandi santi, primo fra tutti Paolo, apostolo delle genti, sono stati comunicatori della buona notizia, della notizia che "Deus caritas est", che Dio è amore. Duemila anni dopo, è ancora questa la "notizia che fa notizia".