Il “Cantico dei Cantici” è il cantico per eccellenza dell'amore e della vita: «Non c'è libro biblico che abbia esercitato sull'anima cristiana un effetto di seduzione comparabile a quello del Cantico. Non c'è altro che questo breve poema ad aver sfidato la forza degli interpreti […]. Quest'opera, tutta tempestata di simboli, è percorsa dalla gioia dell'amore che trasforma in primavera anche l'arido e assolato panorama palestinese. Al centro di questo giardino simbolico ci sono Lui e Lei, l'uomo e la donna, accompagnati qua e là da un coro: essi rappresentano l'eterna coppia che appare sulla faccia della terra, avvolta dalla tenerezza e nella forza dell'amore. Perché “forte come la morte è l'amore”. Il Cantico è, quindi, prima di tutto celebrazione dell'amore umano […]. Ma l'amore umano è assunto come simbolo di ogni amore possibile; in esso, infatti, è deposta una scintilla dell'Amore infinito di Dio. Il Cantico, allora, oscilla continuamente, in contrappunto, dall'uomo a Dio; nell'amore umano si legge il bagliore dell'amore divino» (G. Ravasi, L'Albero di Maria, S. Paolo, Cinisello Balsamo 1993, pp. 199-200). Ruperto di Deutz (1075-1130), abate benedettino di sant'Eriberto, descrive la Vergine Maria come la sposa del Cantico nella sua opera “In Cantico de Incarnatione Domini” in cui evidenzia il legame nuziale mistico di Maria con Dio attraverso lo Spirito Santo il cui frutto è la nascita del Cristo. L'interpretazione mariana del Cantico di Ruperto non si limita a identificare la sposa con Maria in senso allegorico o mistico, ma anche storico. Infatti il Cantico è letto come una descrizione profetica di eventi storici e concreti della vita di Maria, dall'annunciazione all'assunzione, quasi fosse una “vita” della Vergine. Vediamo qualche esempio tra i tantissimi che Ruperto descrive nell'opera citata (per una più approfondita comprensione, cf. “Cantico de Incarnazione Domini libri VII”, cf. “Theotokos” VII 2009, 337-420):
-«Orticello chiuso sei, sorella mia, sposa, orticello chiuso, fontana sigillata. I tuoi germogli sono un giardino di melagrane con frutti di mele […]. Fontana degli orticelli, pozzo di acque vive che sgorgano con impeto dal Libano» (Ct 4,12-15). Ruperto attribuisce alla Vergine due titoli molto significativi: “madre delle chiese”, perché lei è la “fontana dei giardini”, e “pozzo di acque vive”, cioè “santuario di tutte le sante Scritture”. La vita è Gesù Cristo e la sorgente della vita è la vergine Maria vista quindi come il pozzo dell'eterna sapienza. L'espressione “orticello chiuso” indica che la vergine Maria è un giardino nuovo nel quale Dio formo l'uomo che era Dio presso di lui (cf. Gv 1,1) (cf. “In Cantico de Incarnatione Domini”, IV, 307-311).
-«Sono sceso nel giardino dei noci per vedere i frutti della valle, per vedere se era fiorita la vigna e se erano germogliati i melograni» (Ct 6,10). Un'immagine che utilizza Ruberto per spiegare l'incarnazione è quella di “scendere” dal cielo “nel giardino”, legando tale versetto a quello di Galati 4,4: “nato da donna, nato sotto la Legge” (cf. “In Cantico de Incarnatione Domini”, IV, 307-311).
-«Mettimi come sigillo sul tuo cuore, come sigillo sul tuo braccio, poiché forte come la morte è l'amore, dura come gli inferi la gelosia. Le sue vampe sono vampe di fuoco e di fiamme. Le grandi acque non hanno potuto spegnere l'amore, né i fiumi travolgerlo. Se qualcuno desse tutti i beni della sua casa in cambio dell'amore lo disprezzerebbe come se fosse un nulla» (Ct 8,6-7). Il “cuore” e il “braccio” dello Sposo stanno a significare le Scritture, che sono scritte secondo “il cuore” dello Sposo e a memoria dei suoi prodigi, dai quali si conosce quanto grande e forte è il suo braccio. Le “vampe di fuoco e di fiamme” sono vampe d'amore e gelosia. Come il fuoco produce la fiamma, così l'amore, quando percepisce che qualcosa non è secondo il cuore di tale Sposo, che non è secondo il pensiero di questo diletto, genera la gelosia. Inoltre, il paragone dell'amore come la morte evidenzia il fatto che tutto è considerato dalla sposa un nulla davanti all'amore dello Sposo (cf. “In Cantico de Incarnatione Domini”, V, 366-377, 211-212)
-«Vi scongiuro, figlie di Gerusalemme, non scuotete, non svegliate l'amata finchè ella non lo voglia» (Ct 8,4). Tale versetto, secondo Ruperto è ispirato alla storia di Marta e di Maria (cf. Lc 10,38-42). Infatti Marta voleva “scuotere” sua sorella Maria, non riuscendo quindi a discernere quanto il servizio corporale sia distante dalla dignità della contemplazione. L'amata del Cantico è chiunque si applica a coloro che meditano la parola di Dio e quindi in primo luogo alla vergine Maria (cf. “In Cantico de Incarnatione Domini”, VII, 294-295).
-«Mi baci con il bacio della sua bocca» (Ct 1,1). Ruperto interpreta le prime parole del Cantico dei cantici inquadrandole nella scena dell'annunciazione e facendoli coincidere con Lc 1,38: «Ecco la serva del Signore, mi avvenga secondo la tua parola» (Lc 1,38). L'annuncio dell'angelo a Maria è già come una promessa “dell'imminente bacio della bocca del Signore” che ella sta per ricevere, del mistero insondabile dell'Incarnazione. Il giubilo, l'esultanza, la gioia è ciò che unisce i due testi e che meglio riflette lo stato della Vergine (cf. “In Cantico de Incarnatione Domini”, I, 16-19, 53-56).
-«Il mio amato mi dice: “Alzati, affrettati, amica mia, colomba mia, mia bella, e vieni. L'inverno, infatti, è ormai passato, la pioggia è cessata e se n'è andata, i fiori sono apparsi sulla nostra terra, è venuto il tempo della potatura, la voce della tortora si è udita sulla nostra terra» (Ct 2,10-13). Già prima di nascere, la Vergine era presente in Dio e a lui ben nota. Egli l'aveva scelta perché fosse santa e immacolata al suo cospetto nell'amore (cf. Ef. 1,4). L'inverno che è passato indica l'ira celeste che se ne andrà grazie al frutto del grembo di Maria; i fuori che sono apparsi sulla terra sono i diversi santi: martiri, confessori, vergini; la potatura india che la Legge sarà poteta di ciò che è superfluo, e si udrà la voce della tortora, cioè, la predicazione del Vangelo, il cui inizio è il concepimento verginale di Maria (cf. “In Cantico de Incarnatione Domini”, II, 111-115, 149-155)
-«Mentre il re era sul suo giaciglio il mio nardo diede il suo profumo» (Ct 1,11). Ruperto riferisce questo versetto al Verbo mentre era nel cuore del Padre (cf. Gv 1,18) e all'umiltà della Vergine che attira il Verbo a sé. Combattendo gli eretici che negavano la divinità di Cristo e affermavano che egli aveva avuto inizio da Maria ed era un semplice uomo, Ruperto sottolinea, invece, che il Verbo era presso Dio ed era Dio (cf. Gv 1,1-2). Questo Verbo, deliziato dal profumo dell'umiltà di Maria, discese nel suo utero. E' il contrario di quanto accadde all'inizio, quando Dio, disgustato dal fetore della superbia di Eva, si era allontanato dal genere umano (cf. “In Cantico de Incarnatione Domini”, I, 85-89).
-«Hai ferito il mio cuore, sorella mia, sposa. Hai ferito il mio cuore con un solo sguardo dei tuoi occhi, e con un solo capello del tuo collo» (Ct 4,9). Lo sguardo indica il perfetto amore di Maria e il capello indica la grandissima umiltà del suo cuore. Tale versetto secondo Ruperto indica la vocazione di Maria come Vergine e Madre: «mentre ti ritenevi indegna di un uomo, sei stata degna di Dio; mentre ti giudicavi indegna di dare una discendenza in Israele, sei stata resa degna di operare la salvezza in Israele; mentre ti riputavi indegna di allattare un figlio d'uomo, sei stata ritenuta degna di allattare […] con seni intatti, il Figlio, Dio e uomo» (cf. “In Cantico de Incarnatione Domini”, III, 275).
-«Come sono belle le tue mammelle, sorella mia, sposa! I tuoi seni sono più belli del vino, e il profumo dei tuoi unguenti supera tutti gli aromi» (Ct 4,10). Maria è Vergine e Madre, degna di allattare il Figlio, Dio e uomo. Dio si rallegra di tutte le sue opere, ma più bella ancora della creazione dell'uomo è l'incarnazione: proprio nella Vergine santa che allatta il Figlio divino questo mistero rifulge in maniera del tutto particolare (cf. “In Cantico de Incarnatione Domini”, III, 278).
-«Vieni, mio amato, usciamo in campagna, dimoriamo nei villaggi! Di buon mattino alziamoci per andare nelle vigne, guardiamo se la vigna è fiorita, se i fiori generano i frutti, se i melograni sono fioriti. Lì ti darò i miei seni» (Ct 7,12-13). Non sono Gesù viene allattato da Maria: parlando della predicazione ai gentili, la sposa, concordando con il proposito di Dio, invita l'amato a “uscire in campagna”, ad andare verso i villaggi, perché le moltitudini delle persone possano essere raggiunti dalla grazia di Dio (cf. “In Cantico de Incarnatione Domini”, IV, 544-546).
-«Chi è costei che avanza sorgendo come l'aurora, bella come la luna, fulgente come il sole, terribile come un esercito schierato nel campo di battaglia?» (Ct 6,10). La Vergine sorge quale vera aurora che preannuncia il giorno eterno, che porta la fine dei dolori e della tristezza e l'inizio della consolazione e della letizia. Poi quando concepisce il Figlio di Dio, diventa bella come la luna, quasi risplendente della bellezza divina. L'espressione fulgente come il sole indica la sua assunzione in Cielo, quindi degna di venerazione.
-«Se non ti conosci, o bella fra le donne, esci e và sulle orme dei greggi, e fà pascolare i tuoi capretti presso le tende dei pastori» (Ct 1,7-8). Il motivo per cui possiamo proclamare Maria “bellissima fra le donne, benedetta fra le donne” (cf. Lc 1,42) è che la sua bellezza è lo “stesso benedetto frutto del suo grembo”. Tale bellezza, afferma Ruperto, Maria l'ha acquisita dalla fede e dall'umiltà e non dalle opere della Legge così come gliel'ha detto Elisabetta (cf. Lc 1,45), così come l'ha cantato lei stessa nel suo Magnificat (cf. Lc 1,48ss). La fede e l'umiltà, dunque, sono tutta la sua bellezza e fanno di lei luogo del riposo del Signore, dove egli “troverà le sue delizie” (I, 72, 78). Lo Sposo proclama l'umile sposa bella: «Ecco, tu sei bella, amica mia» (Ct 1,14); «Ecco, tu sei bello, mio amato» (Ct 1,15): l'amato e l'amata vicendevolmente si proclamano belli, ma c'è di più perché Ruperto afferma che Colui che è eternamente bello, è diventato ancora più bello grazie all'incarnazione (cf. “In Cantico de Incarnatione Domini”, I, 92-104).
Queste presentate sono solo alcuni dei commenti teologici che Ruperto fa al Cantico dei cantici. Però anche con questi brevi accenni ne abbiamo compreso la bellezza e la mariologica in essi presenti. Possiamo anche noi dire con Origene: «Beato chi comprende e canta i cantici della Sacra Scrittura, ma ben più beato chi canta e comprende il Cantico dei Cantici» (Patrologia Greca, 13, 37).
Mater Ecclesiae
La sposa del Cantico dei Cantici
Don Giuseppe Fazio · 3 anni fa