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(Dia)logos

Le parabole dei nostri nonni: Vangeli di vita ordinaria

Francesco Polopoli · 4 anni fa

Talvolta la saggezza popolare imbocca sentieri biblici in modo altrettanto convincente: forse perché vincente è la Vox Dei che si fa sentire ovunque anche quando al di qua dalle omelie ci sono resistenze alle frequentazioni. “Cumu 'un beni mai 'a carestia”, diceva mio nonno (che non era un uomo di sagrestia), in presenza di tutta quella sua compagnia d'età anagrafica, cui il pane, durante i conflitti mondiali, fece da grande assente, non pochi giorni a tavola, purtroppo! “Abbundanza 'un po' durari ppi sempri”: massima sicuramente antiprotestante, ove si pensi che i seguaci di Calvino considerano il successo economico, cioè la ricchezza, un segno della benevolenza di Dio, per cui rimando a “L'etica protestante e lo spirito del capitalismo” di Max Weber (1864 - 1920), fondatore della moderna sociologia. La Buona novella (il Vangelo, cioè), a tal riguardo, va al cuore del problema, per chi le corde le lega alla profondità dell'essere e non alla superficialità dell'avere: "Guardatevi e tenetevi lontano da ogni cupidigia, perché anche se uno è nell'abbondanza, la sua vita non dipende dai suoi beni. […] Stolto, questa notte stessa ti sarà richiesta la tua vita (Luca 12)".
Ne ho, perciò, dedotto che il popolo cattolico del nostro piccolo grande Sud, intorno agli anni Trenta del secolo scorso, al di là del latinorum delle omiletiche d'allora, abbia reso in dialetto quest'invito lucano, evidenziando, come dice il maggiore alfierista d'Italia, che è il professore Giuseppe Rando, la carica pauperistica, antimaterialistica e antiedonistica: accumulare beni con «cupidigia», stare "nell'abbondanza" (come qualche personaggio di una novella o di un romanzo di Giovanni Verga), non salva nessuno, anzi può causare la rovina: «questa sera stessa ti sarà richiesta la tua vita». Pertanto, s'inferisce che la cultura del mondo popolare non fosse affatto “terra terra”, rispetto alla “cultura alta” delle accademie e delle Curie: elaborava e codificava oralmente una esegesi biblica che non ha nulla da invidiare alla più raffinata ermeneutica dei testi sacri (G. Rando). Popolo di spirito profetico dotato, parafrasando l'abate Gioacchino da Fiore, nostro faro di calabresità.