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La parola del Vescovo

Iniziamo dal nostro stile di vita fatto di coraggio

Redazione · 5 anni fa

Saluto alle autorità civili e militari nel salone del seminario “Giovanni Paolo II”

Gent.li Autorità civili e militari,

ringrazio di cuore per il saluto, l’accoglienza e gli auguri che mi sono stati rivolti dal Presidente della Regione Calabria On.le Mario Oliverio e dal Commissario del nostro Comune di Lamezia Terme dott. Francesco Alecci; con timore, ma anche con gioia grande mi appresto ad iniziare questo mandato che mi è stato affidato da Papa Francesco, che ringrazio ancora sinceramente, per la fiducia immeritata che ha voluto accordarmi, chiamandomi ad una missione antica, alta, impegnativa, necessaria.
Senza alcuna pretesa di essere esaustivo, preciso, puntuale, permettetemi di condividere con voi qualche breve considerazione, una riflessione a voce alta (come si usa dire), sul senso che ha e deve avere la convivenza umana per le nostre comunità, le nostre città, piccole o grandi che siano, oggi, sempre più pervase da un diffuso senso di frustrazione, di fatalismo e di pessimismo, soprattutto nei confronti delle istituzioni pubbliche: al dire di molti non cambia e non può mai cambiare nulla! La nostra gente si sente sempre più impotente dinanzi a fenomeni come la corruzione, la criminalità organizzata e le varie mafie, ‘ndrangheta in primis, per cui alla rabbia spesso si associa la rassegnazione. Per questo, non di rado le persone, del nostro amato Sud, difficilmente riescono a pensarsi come protagonisti del proprio futuro: vuoi per un’atavica disposizione a dipendere in tutto e per tutto da altri, per cui ora è lo Stato, ora la Regione, ora il Comune, che deve provvedere; vuoi anche perché le varie istituzioni vengono pensate, purtroppo, sempre come astratte e distanti, se non addirittura ostili.
In tale contesto, mi pare, spetta a noi il compito di contribuire, anche con il nostro stile di vita, fatto di coraggio e determinazione, ad un’inversione di rotta nei confronti di un modo di pensare che investe la vita di gran parte della nostra gente, quasi sempre la più vulnerabile ed indifesa, la quale per lo più triste e ripiegata in se stessa, vive senza attese per il futuro: penso, in particolare, ai nostri giovani. Senza mai abbattersi, penso, sia urgente e necessario mettere mano ad un’importante e significativa opera educativa da portare avanti sinergicamente da tutti: famiglia, scuola, istituzioni, associazioni, corpi intermedi. La Chiesa nel nome del Signore Gesù Cristo, certamente, non può sottrarsi ad un tale compito che la vede particolarmente impegnata nell’ambito che più le compete, senza sconfinamenti, vale a dire quello spirituale, pastorale e caritativo, per una formazione delle coscienze e la promozione della persona umana nella sua integralità e pienezza di senso. È un compito che bisognerebbe portare avanti, tutti, con molta fiducia, guardando lontano, con quel pizzico di ottimismo che non si lascia dissuadere e scoraggiare dai novelli profeti o professionisti di sventura. È necessaria una nuova partecipazione attiva dei cittadini; individuate alcune potenzialità, bisognerebbe fare emergere tutte le risorse che sono proprie della nostra gente, del nostro territorio, e metterle in circolo con un’autentica opera di benevolenza nei confronti di tutti (fare il bene e allontanare il male), dentro una visione che abbraccia ed integra tutti, senza escludere nessuno, soprattutto i più poveri. Basterebbe partire dal principio che ogni essere umano in sé, prima ancora di avere dei doni e dei beni, è già un dono, è un bene in sé; ogni persona umana ha dei talenti, è un talento, certo se posta nelle condizioni perché possa esprimersi nella sua unicità ed irripetibilità. Una comunità è viva nella misura in cui ad ogni persona è offerta la possibilità concreta di esprimersi, di ricevere dignità, quindi crescere in consapevolezza e responsabilità. Persona e comunità, libertà e solidarietà, sono principi irrinunciabili per una civiltà come la nostra, che si dice avanzata, perché non perda la propria umanità. Questo è possibile recuperando un valore antico e spesso dimenticato: quello della fraternità. È un principio che ogni realtà sociale e politica dovrebbe recuperare, al fine di ritrovare uno stile e una convivenza fatta di rispetto, dialogo, accoglienza, in cui l’altro, ogni altro, vale per quello che è non per quello che ha.
In questo quadro di riferimento, penso si possa dire che la ricchezza di un territorio, di un popolo non si misura soltanto dal possesso delle risorse materiali di cui dispone, ma soprattutto dalla capacità che la comunità ha di condividere e di redistribuire le ricchezze secondo giustizia: una società è ricca quando riesce a costruire senza stancarsi percorsi di solidarietà e di comunione che fanno crescere umanamente tutti, nessuno escluso. Una comunità che sa coltivare sentimenti di compassione, di tenerezza, non si lascia tentare dall’indifferenza, ma si sviluppa e cresce, accorciando le distanze, creando e favorendo i legami, tra gli uomini e le donne del nostro tempo, senza fare alcuna discriminazione di persone. A mio parere, è veramente necessario prendere le distanze da ogni posizione ideologica che alimenti conflittualità e animosità nei confronti dell’altro, perché la pensa diversamente da me, perché non è della mia parte, della mia parrocchia, del mio gruppo. Oggi, con l’aria che respiriamo, pare sia molto più facile escludere, emarginare, scartare, che accogliere, accompagnare ed integrare. Il grande pericolo che corriamo è quello della disgregazione, della frammentazione e della frantumazione dei rapporti sociali. La convivenza umana è minata, soprattutto, da un sempre più diffuso, pervasivo e crescente individualismo, secondo il quale ognuno fa per sé, pensa a sé, al più si preoccupa della propria parte o del proprio gruppo. In questo clima, infatti, chi ha può, chi non ha è in balia di chi è più potente. Tutti, credo, ci rendiamo conto che è sempre più necessario rifare il tessuto sociale delle nostre comunità, ciascuno nel proprio ambito, avviando processi di attenzione, di partecipazione, di cura, di compagnia, soprattutto nei confronti delle persone più indifese, che non godono di nessuna protezione: quante persone confuse, smarrite, fragili! Per questo non va dimenticato che siamo tutti nella stessa barca, coinvolti come siamo, in un abbraccio che ci accomuna tutti. Facciamoci, allora, promotori di una cultura della fraternità, della pace, dell’unità; cerchiamo quello che unisce non quello che divide; lavoriamo infaticabilmente per questo! Recuperiamo la dimensione nobile della politica, come forma alta di carità; incoraggiamo, soprattutto i giovani, a fare “politica attiva”, aiutandoli a capire che pur partendo, nel loro impegno sociale come esponenti di una parte, di una visione, non devono chiudersi nel solo interesse esclusivo della parte che rappresentano, ma si aprano sempre più al bene a tutti comune: che è bene nella misura in cui include tutti e ciascuno, in particolare i più piccoli, i più deboli, i più poveri, chi non ha niente di niente.
In conclusione, se c’è un senso delle istituzioni che ciascuno di noi rappresenta nel proprio campo, mi permetto di poter dire, guardiamo nella medesima direzione di marcia e cerchiamo di lavorare per promuovere una partecipazione attiva delle persone, dei cittadini, al fine di renderli autentici protagonisti del proprio destino. È un compito al quale nessuno di noi, credo, voglia sottrarsi, ma dedicare tempo, passione, intelligenza con grande senso di responsabilità e nonostante tutto con grande fiducia e speranza.

Lamezia Terme, 6 luglio 2019

+ don Giuseppe Schillaci