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Cultura e Società

“A Terina tra Greci e non Greci” Presentata alla città la tomba del IV secolo a.C. ritrovata a San Sidero

Redazione · 5 anni fa

Presentazione al Museo archeologico lametino

Una dimostrazione pratica di archeometria, la disciplina che si avvale delle scienze esatte per validare un monumento archeologico: questo è stato la conferenza che lo scorso 5 aprile si è tenuta al Museo archeologico, e molto altro. Conferenza sapientemente condotta da Teresa Benincasa e che ha visto alternarsi le relazioni di Roberto Spadea e Rocco Purri, affiancati dagli esperti del settore Gregorio Aversa e Fabrizio Mollo. L’ing. Rocco Purri, socio dell’Associazione archeologica lametina, ha illustrato il progetto che per due anni lo ha visto impegnato, insieme a un gruppo di studenti ( soprattutto studentesse) nel recupero e nella ricostruzione di una tomba del IV secolo a. C. ritrovata in modo del tutto casuale. Nel 2010, in una trincea della Snam , durante i lavori per il metanodotto in località San Sidero, a cinque chilometri dall’abitato di Sant’Eufemia Vetere, emergevano i resti di una necropoli riconducibile all’antico sito di Terina. Durante gli scavi effettuati, sotto la guida del dottor Roberto Spadea, da Giovanna Verbicaro e Lucia Bianchi, fu rinvenuta una serie di sepolture di diversa fattura. Due di queste, ritrovate a una profondità di circa due metri, erano di notevoli dimensioni: una, in pietra di Lipari, era in buono stato di conservazione e fu trasportata subito nel Museo Archeologico di Lamezia Terme, dove è tuttora esposta nella sala dedicata alla Magna Grecia. L’altra, a cassa in laterizio, si presentava piuttosto frammentata e necessitava perciò di un consistente lavoro di recupero. Recupero che si è reso possibile grazie alla sinergia tra diverse realtà; sinergia tra le Istituzioni, o tra Istituzioni e mondo dell’Associazionismo, che viene spesso invocata ma che in Calabria difficilmente si realizza. L’Associazione archeologica si impegnava a ricostruire il manufatto; perciò tra l’Amministrazione Comunale, la Soprintendenza , l’Ipsia di Lamezia Terme e la stessa Associazione fu siglato un protocollo d’intesa che prevedeva un progetto di archeologia sperimentale. Fu allestito ad hoc un laboratorio all’interno del Museo; come già detto, fu coinvolto un gruppo di studenti impegnati per circa due anni con cadenza bisettimanale. Gli studenti, come testimoniato dalla loro portavoce Federica Sacco, hanno condiviso questo approccio concreto alla conoscenza e valorizzazione del nostro territorio con passione e coscienziosità, grazie anche alla sensibilità dimostrata dalla Dirigente dell’Ipsia Patrizia Costanzo.
Quanto alla tipologia dei reperti rinvenuti- in tutto 1200- si trattava di tegole pentagonali di tipo corinzio e di lastre, anch’esse di tipo corinzio, della misura di cm 92 x 61 circa e di coppi, anche questi di notevoli dimensioni e con un raggio di curvatura pari a 41, 5 cm. Dopo il riconoscimento dei frammenti , la pulitura e l’assemblaggio, si è proceduto alla ricostruzione della tomba , che presentava diverse problematiche. Tra le varie soluzioni possibili, anche con l’aiuto di una restituzione grafica tridimensionale, si è scelta quella di una struttura rettangolare- piuttosto imponente- con copertura a falde. Nel corso del processo di ricostruzione si è potuto osservare che gli elementi componenti il manufatto sono stati realizzati con la tecnica a pasta, l’unica disponibile nel IV e III secolo a. C.. E’ piuttosto difficile localizzare il sito di produzione del manufatto. Due sono le ipotesi possibili: i laterizi potrebbero essere frutto della spoliazione di un edificio, oppure essere stati realizzati da un artigiano del posto; ma allo stato attuale non sono stati rinvenuti, nel territorio lametino, forni adatti. Poco credibile appare anche l’ipotesi di un trasporto dalla costa ionica, attraverso l’Istmo.
Come prima si accennava, nella conferenza sono emersi altri dettagli che ci aiutano a fare luce sulla storia dei nostri progenitori, su un territorio che, benché tormentato da diverse vicissitudini, già fin dall’antichità si presentava ricco di traffici e di contaminazioni culturali, che ben si esprimono nella varietà dei riti funerari ( non dimentichiamo che in un’altra campagna di scavi è stato ritrovato il cosiddetto “Chiodo di Aiòn”, reperto unico nel suo genere, che testimonia la presenza di riti orfici in ambito terineo).
Il ritrovamento delle tombe aggiunge un ulteriore, prezioso tassello alla certezza sull’ubicazione dell’antica Terina, colonia crotoniate che già Lenormant, citando Licofrone, indicava nel territorio del fiume Bagni e che era stata localizzata con le diverse campagne di scavi. Questa necropoli, afferma Roberto Spadea, si trova a sette chilometri circa dal sito di Iardini di Renda e rappresentava, probabilmente, il limite orientale della città; è perciò una testimonianza della vastità del suo territorio, mentre la qualità e la varietà delle sepolture ci indica il grado di civiltà e di agiatezza raggiunto dai suoi abitanti, degli scambi continui con la madrepatria e le realtà confinanti. In particolare, il sarcofago già all’interno del Museo ci dice molto dei traffici esistenti con l’ambiente eolico: iniziati in epoca preistorica con il commercio di ossidiana, usata per forgiare le punte di lance e frecce. (Tanto strategiche divennero a un certo punto le Eolie per la potenza cartaginese, che i Romani, dopo la Prima Guerra Punica, proibirono ogni rapporto commerciale tra esse e la costa tirrenica). Sia Gregorio Aversa, direttore del Museo, che Fabrizio Mollo, professore di archeologia all’Università di Messina, confermano che il contesto culturale crotoniate e pitagorico appare, dopo gli ultimi ritrovamenti, piuttosto esteso; a Crotone, in località Carrara, è stata ritrovata la stessa tipologia di sepolture; una necropoli recante le stesse caratteristiche, di tombe con copertura a falde, è stata ritrovata in località Pian delle Tirene, tra Campora San Giovanni e Nocera Terinese, collegata probabilmente all’antica Temesa, altra polis magnogreca. Come si diceva, però, negli scavi di San Sidero sono state rinvenute anche altre sepolture: delle tombe dette a “ustrina”, che prevedevano la cremazione del defunto, i cui resti combusti venivano posti in un’urna cineraria (in questo caso un’olla) .Il ritrovamento rappresenta un’assoluta novità, e può essere attribuito alla presenza brettia in area terinea. Sappiamo infatti che i Brettii presero Terina e Hipponion nella seconda metà del IV secolo; la loro presenza è testimoniata anche a Tiriolo, caposaldo di primaria importanza. L’elemento brettio , descritto solitamente dalle fonti come rude e brutale, in questo caso, a quanto pare, si integrò perfettamente con l’elemento greco italiota, assimilandone lingua, costume e cultura.
Stabilendo le dovute proporzioni, ci viene qui in aiuto il detto oraziano: “Graecia capta ferum victorem cepit”, “la Grecia conquistata conquistò il feroce vincitore”.