Le parole del cardinale durante la celebrazione eucaristica e la dedicazione della Chiesa di S. Benedetto
Di seguito l'omelia pronunciata da S.E. Rev.ma Card. Pietro Parolin, durante la celebrazione eucaristica e il rito di dedicazione della nuova Chiesa di S. Benedetto (25 marzo 2019)
Eccellenza Mons. Luigi Antonio Cantafora, pastore di questa Diocesi di Lamezia Terme
Cari fratelli nell’episcopato e nel presbiterato
Autorità civili e militari
Fratelli e sorelle qui presenti
A tutti rivolgo il mio saluto fraterno, che porta anche l’affetto e la vicinanza di Papa Francesco, insieme all’assicurazione della sua preghiera e della sua benedizione.
Oggi celebriamo l’Eucaristia della solennità dell’Annunciazione del Signore, Mistero santo, artisticamente raffigurato sopra il portale d’ingresso di questa Chiesa. Celebreremo tra poco anche il rito della dedicazione di questa Chiesa di S. Benedetto, che fungerà da Concattedrale per la città e la diocesi di Lamezia Terme. Essa è anche il cuore di un complesso di strutture ecclesiali che, nel loro insieme, mi sembra dicano un’ambizione: quella di esprimere pienamente il senso della missione cristiana in questo territorio. E’ un’aspirazione buona ed impegnativa. Che si realizzerà nella misura in cui questi spazi, queste pietre, questi manufatti d’arte, saranno vissuti come uno strumento. Uno strumento per l’incontro con il Signore, nella sua Parola e nei suoi Sacramenti, e per la preghiera, il servizio, la carità, l’accoglienza e la fraternità.
Spazi sacri, in questo senso, perché segnati dalla presenza e dalla logica di Dio, per la quale ciascuno è chiamato a diventare protagonista del Vangelo e non a restare gregario; è chiamato ad essere figlio e non più schiavo.
Proprio nella preghiera di dedicazione della Chiesa, diremo queste parole: “Questo luogo è segno del Mistero della Chiesa, tempio santo costruito con pietre vive. Qui il povero trovi misericordia, l’oppresso ottenga libertà vera, e ogni uomo goda della dignità dei tuoi figli, finché tutti giungiamo alla gioia piena nella Santa Gerusalemme del Cielo”
Permettemi, allora, di riflettere brevemente con voi proprio su questo tema della Chiesa, come luogo consacrato che rimanda all’incarnarsi del Verbo di Dio nel mondo, e di trarne poi alcune conseguenze per la nostra vita.
Le Chiese, questa così bella, ma anche tutte le altre che noi frequentiamo, non importa se meno belle, meno nuove, meno ricche, ci riportano per la loro stessa consistenza spazio-temporale alla verità centrale della nostra fede: all’Incarnazione del Signore, Mistero annunziato a Maria e realizzato nella storia non senza il suo personale contributo, per il bene di tutti.
“Concepirai un figlio, lo darai alla luce e lo chiamerai Gesù. Nulla è impossibile a Dio”. Fratelli e sorelle, è l’Incarnazione! E’ l’avvicinarsi, il farsi uomo, il condividere, il donarsi di Dio che colma la distanza tra noi e lui. Non i nostri sacrifici, le nostre offerte, le nostre preghiere, i nostri sforzi di intelligenza. Anche se ovviamente questi hanno un loro significato e un loro posto.
Abbiamo ascoltato la lettera agli Ebrei: “ Per questo, entrando nel mondo, Cristo dice: «Tu non hai voluto né sacrificio né offerta, un corpo invece mi hai preparato.”
Dio è il Dio che entra nel mondo per salvarlo, non con l’offerta di cose o di denaro, ma con il dono della propria presenza e della propria vita. “Siamo stati santificati per mezzo dell’offerta del Corpo di Gesù Cristo, una volta per sempre”, è scritto nella stessa lettera. Questa è l’adorabile volontà del Padre: che il suo Verbo divino assuma un corpo reale. Che il Corpo di Cristo ci sia donato. E con Esso la sua santità. E che noi Chiesa formiamo misticamente l’unità del Corpo di Cristo nel mondo.
Di questo è segno una Chiesa cristiana intesa come manufatto: un’introduzione e un servizio al mistero della Chiesa vivente, frutto dell’Incarnazione di Dio nel mondo.
A questo punto mi pongo una domanda. E la domanda è questa: la fede è una cosa difficile, astratta, complicata da comprendere e da vivere? E’ una cosa adatta a me? Io che sono così terrestre e così mondano, sono adatto a credere in questo Dio, praticare questa religione? Posso accogliere la salvezza che Cristo ha conquistata con tutti i miei difetti, limiti ed incoerenze, con tutte le difficoltà e condizionamenti che incontro nel mondo in cui vivo?Proverei a rispondere così. Se parliamo di fede cristiana, di fede nell’amore di un Dio che in Cristo ci salva dall’abisso, dobbiamo anzitutto riconoscere che non si tratta di alcunché di astratto, ,a del fatto che nella persona di Gesù è presente la totalità della salvezza. Si tratta soltanto di incontrarlo. E se non ce la facciamo ad incontrarlo così come siamo ora, basterà che almeno non siamo contro di lui. Perché Gesù nella sua persona è la salvezza. E a chi non è del tutto insensibile, essa viene donata. La grazia sta nel fatto che ci è consentito di vivere un qualche grado di comunione con Gesù. La salvezza è attingere alla presenza fisica di Gesù. Egli è in grado di risanarci, se soltanto rimaniamo con Lui. Perché Lui c’è. Lui è qui. Lui è Risorto. Lui salva. Questa presenza che ci accoglie nelle condizioni in cui siamo, si trova soprattutto nella celebrazione dell’Eucaristia, la Nuova Alleanza, Dio che si impegna a restare con noi per sempre, a condividere il suo stesso Regno. La volontà di Dio, le promesse di Dio sono più forti dei nostri tentativi d’amore difettosi. D’altra parte: chi può dire di amare perfettamente il Signore?
Persino Guglielmo di Saint-Thierry, l’amico di S. Bernardo di Chiaravalle, non osava dire più di questo: “Signore, io vorrei amarti”. E questo dobbiamo ripeterlo anche noi. Di fronte alla poverta e alla fragilità del nostro amore: “Signore vorrei amarti”. Ma dirlo con tutto il cuore e con tutte le nostre forze.
Ma forse è già sufficiente che entriamo in una Chiesa. Che ci mettiamo di fronte alla Croce. Che apriamo il Vangelo. Che ci inginocchiamo di fronte all’Eucaristia e che sostiamo lì, senza parole. Ci si sente meglio lì più che altrove, più che in qualsiasi altro posto. Può sembrare superficiale tutto questo, ma non lo è. La percezione della libertà e il senso di protezione e di benessere che proviamo stando in Chiesa in questo modo, ci porta già molto vicino alla verità della nostra fede. Essa infatti concerne il cuore. E quando il nostro cuore, pur affetto da umane ambizioni e da egoistiche pulsioni, lascia delle piccole fenditure, mantiene il candore dei bambini, la capacità di stupirsi del desiderio dell’infinito, esso comprende che non può essere appagato da nulla al mondo e nell’incontro con il Signore può sperimentare doni insospettati.
Per questo si entra in una Chiesa, fratelli e sorelle: per sperimentare che nulla è impossibile a Dio, come dice l’Angelo a Maria. Tuttavia, se la salvezza è anzitutto un dono da accogliere nella fede, essa deve diventare vita vissuta, vita cristiana. Ciò comporta un duplice impegno.
Il primo ce lo indica S. Benedetto: l’impegno ad essere persone giuste in ogni aspetto della vita. Nel Prologo della sua Regola, egli scrive: “Ma interroghiamo il Signore, con le parole del profeta, e diciamogli: Signore, chi abiterà nel tuo tabernacolo, o chi si riposerà nel tuo santo monte? — Dopo questa interrogazione, ascoltiamo, o fratelli, il Signore che risponde, e che ci mostra la strada dello stesso tabernacolo, dicendo: Colui che cammina in integrità, ed opera la giustizia: Che parla la verità secondo il cuore; che non bramò inganni con la sua lingua: Che non fece male al suo prossimo; che non iscagliò ignominia contro al suo simile: Che respingendo dal suo cuore il maligno diavolo che in alcun modo lo tentava, e le insinuazioni di lui, lo ridusse ai niente, e tenne in non cale gl’inganni, e gl’infranse in Cristo: Coloro infine, che, temendo il Signore, non s’insuperbiscono della loro rettitudine; ma stimando questo stesso bene non venir loro dalle proprie forze ma da Dio”
Il secondo impegno ce lo indica Benedetto XVI. Qui abbiamo un ricordo particolare del Papa emerito, di cui vi porto il saluto e la benedizione. Come è stato ricordato più volte in questa giornata, questa Chiesa è legata particolarmente alla sua presenza e alla sua visita alla vostra diocesi. E’ l’impegno a condividere i problemi e le speranze di tutti e a lavorare per un mondo migliore. Nell’omelia pronunciata in quell’occasione, egli disse: “Sono venuto per condividere con voi gioie e speranze, fatiche e impegni, ideali e aspirazioni di questa comunità diocesana. So che anche a Lamezia Terme, come in tutta la Calabria, non mancano difficoltà, problemi e preoccupazioni. Sono certo che saprete superare le difficoltà di oggi per preparare un futuro migliore. Non cedete mai alla tentazione del pessimismo e del ripiegamento su voi stessi. Fate appello alle risorse della vostra fede e delle vostre capacità umane; sforzatevi di crescere nella capacità di collaborare, di prendersi cura dell’altro e di ogni bene pubblico, custodite l’abito nuziale dell’amore; perseverate nella testimonianza dei valori umani e cristiani così profondamente radicati nella fede e nella storia di questo territorio e della sua popolazione.”
Fratelli e sorelle, ringraziamo il Signore per questo dono. Preghiamo gli uni per gli altri. Preghiamo in modo particolare per il vostro Pastore, che oggi ricorda la sua ordinazione episcopale. Cerchiamo di essere umili, solidali. Cerchiamo di essere testimoni coraggiosi e veritieri. Cerchiamo di amare davvero e di perdonare.
Adoriamo Dio, Lui solo. Adoriamo Dio che è amore e in Gesù Cristo ha donato se stesso per noi. Si è offerto sulla Croce per espiare i nostri peccati e per la potenza di questo amore è risorto dalla morte e vive nella sua Chiesa.
Adoriamo Gesù Eucaristia e camminiamo con Lui sulla strada della giustizia e della pace. Noi non abbiamo altro Dio all’infuori di questo
Non il denaro, non il peccato, non l’interesse personale, non il potere, non la violenza, non la sopraffazione.
Adorare Dio nell’Eucaristia, camminare con Dio nella carità fraterna: queste le parole programmatiche che Papa Francesco nella sua visita pastorale in questa regione il 21 giugno 2014 ha affidato a tutti noi e che noi oggi ancora una volta facciamo nostre.
Ci aiuti Maria, la Vergine dell’Annunciazione, che voi venerate con speciale amore in tanti santuari disseminati nella vostra terra.
E così sia.
Parole del cardinale Parolin al termine della celebrazione
Volevo dire una parola finale. Una parola di ringraziamento. Grazie per questo bel momento che abbiamo vissuto insieme. Un momento di fede, comunione e gioia. Ci verrebbe da dire come gli apostoli sul monte Tabor: “E’ bello per noi restare qui”. Oggi il vostro vescovo celebra il quindicesimo anno della sua ordinazione episcopale. Sapete quale è stato il momento più commovente? Il momento in cui ho baciato l’altare. Mi sembrava di baciare nostro Signore. E’ una realtà di fede. Quell’altare è simbolo di Gesù. Lo abbiamo unto, incensato, ricoperto di luci e di fiori. Quell’altare rappresenta il Signore Gesù in mezzo a noi. E voi lo avete capito. Avete capito che in quel momento io, in rappresentanza di tutti voi, stavo baciando il corpo di Gesù, morto e risorto per noi.
Noi siamo il suo corpo. Siamo la Chiesa. Andiamo avanti con questa speranza che oggi si è accesa. Andiamo avanti con coraggio, con l’impegno ad essere testimoni del Signore Gesù in questa realtà, con i suoi problemi e le sue difficoltà, e nel mondo intero.