Gesù continua a farci “scuola di preghiera”; oggi ci dice che per pregare, cioè per ri-volgerci a Dio, è fondamentale l’umiltà, per non cadere nella presunzione di essere giusti e di disprezzare gli altri. Nella parabola ci sono due uomini, il fariseo e il pubblicano, che vanno al Tempio per pregare. Il pubblicano sta al fondo, a distanza, non si sente nemmeno degno di alzare lo sguardo verso Dio; si batte il petto, riconoscendosi giustamente peccatore e dice: abbi pietà di me… Il termine in greco non indica solo il chiedere perdono, ma di essere purificato, redento, di essere trasformato interiormente, di poter vivere una vita diversa, più bella. I pubblicani erano ebrei che lavoravano per i romani e riscuotevano le tasse sull’importazione e l’esportazione delle merci. Su queste tasse, a loro libero arbitrio, mettevano degli interessi, spesso eccessivi, per il loro guadagno. Costui però ha capito e chiede a Dio “una vita nuova”. La sua preghiera è bella, semplice, umile, bussa al cuore di Dio e ottiene: torna a casa diverso, perdonato, trasformato, giusto! I farisei erano stimati dal popolo, perché erano gli “osservanti”, coloro che mettevano in pratica con minuzia tutta la Legge. Quest’uomo, ritto in piedi, inizia dicendo: o Dio ti ringrazio… quindi inizia facendo risalire in un certo modo la propria giustizia a Dio, ma questa consapevolezza poi la perde per strada: ti ringrazio perchè io non sono come quello, Io faccio questo e questo… e inizia ad elencare con vanto tutto quello che fa: sono cose senz’altro buone, anzi fa persino più di quanto richieda la legge (digiuna due volte e non una, paga la decima su tutti i prodotti anziché solo su alcuni – cfr Dt 14,22-29), ma per queste opere si ritiene giusto, “alla pari di Dio”. Sì, egli non si aspetta nulla da Dio, si sente a posto così: non chiede né misericordia, né aiuto, si sente già salvo, mentre invece la salvezza è un dono che solo Dio può accordare e va chiesta con tanta umiltà! Qui Gesù indica un pericolo sottile: che la buona azione, la preghiera, l’andare a Messa, che sono tutte cose giuste e sante, diventino la nostra giustificazione: io sono giusto, sono salvo perché faccio queste cose, e non per l’amore e la misericordia di Dio, della quale ho sempre bisogno e alla quale cerco di corrispondere! Egli dunque sembra che preghi, dando gloria a Dio, ma in realtà si autoglorifica! è lui il centro di tutto, cade in un sottile narcisismo. E qui veniamo al secondo punto importante: il fariseo pensandosi giusto, si sente in diritto di disprezzare l’altro, e viceversa: disprezzando l’altro, si sente ancora più giusto! Quante volte anche noi, per sentirci bravi, per “sollevarci un po’”, giudichiamo e disprezziamo gli altri? Magari con sottile ironia? Eh sì, parlare delle malefatte e dei difetti altrui, ci fa sentir meglio! Questo è senz’altro un modo “peccaminoso e sbrigativo” per tirare a campare, per non affrontare le nostre miserie, per non metterle davanti al Signore. Noi vogliamo sempre apparire bravi, ci dà persino fastidio chiedere perdono a Dio, quasi che questo ci sminuisse. Noi possiamo vivere così la nostra vita cristiana, senza fare un passo in avanti dopo 30 anni di cammino di fede (presunto), sentendoci erroneamente a posto, e guardando sempre a chi sta messo peggio. Quanti sentendosi cristiani giusti, screditano gli altri e poi cadono più in basso di coloro che giudicano. Impariamo invece a metterci davanti a Gesù, a misurarci con Lui, senza confrontarci con gli altri, riconoscendo il bisogno che abbiamo del Suo amore e della Sua misericordia. Allora torneremo a casa giustificati, salvati dalla Sua misericordia, e resi capaci di usar misericordia verso gli altri.
Il Vangelo della domenica
Quante volte anche noi, per sentirci bravi, per “sollevarci un po’”, giudichiamo e disprezziamo gli altri?
Gigliotti Saveria Maria · 8 anni fa