Intervista a Domingo Ramos-Lisson dell’Università di Navarra (Spagna), esperto di Storia dell’antichità cristiana
Leggendo alcuni scritti biografici sui primi cristiani emerge l’enorme capacità di espansione che ha avuto il cristianesimo. Ogni cristiano è un apostolo che porta il Vangelo agli altri. E’convinto della sua fede e questo lo spinge a diffonderlo. Ciò che sorprende è la grande capacita di espansione.
La rapidità con cui si è diffuso il cristianesimo nel I secolo spinge a chiedersi quali fattori abbiano influito in tale espansione.
In effetti, troviamo fattori estrinseci e fattori intrinseci al cristianesimo stesso. Tra i primi si può dire che il cristianesimo beneficia della condizione di coesione all’interno dell’impero romano, a partire da Augusto. In primo luogo, dobbiamo citare la pace stabilita da questo imperatore, sostenuta da trenta legioni che hanno protetto i confini dei loro vasti domini. Poi si può fare riferimento alla struttura di comunicazione tra i territori più remoti e il cuore dell’impero. Un eccellente rete di strade di terra collegata al Mar Mediterraneo (chiamato Mare nostrum), costituiva una specie di grande autostrada che collegava i grandi centri commerciali del tempo. Un altro fattore molto è rappresentato dalla lingua greca in versione popolare, la koinè greca, che era come l’inglese di oggi. Ha permesso la circolazione e la comprensione in tutti i centri urbani della oikumene. E’vero che in qualche caso particolare gli evangelizzatori cristiani hanno dovuto usare dialetti barbari, come fece S. Ireneo di Lione per evangelizzare i Galli, ma questo era meno frequente. Tuttavia, il principale motore dell’espansione cristiana è il dinamismo che è insito nello stesso messaggio cristiano.
Di conseguenza quale sarebbe l’elemento determinante di questi fattori intrinseci al cristianesimo?
Senza esitazione direi che il punto di partenza è la discesa dello Spirito Santo nella Pentecoste. Si pensi che in quel giorno, dopo la predicazione di San Pietro, si convertirono tremila persone. E la stessa conversione comporta la condivisione del dono ricevuto con chi è più vicino. Senza esagerare si potrebbe dire che in queste prime fasi del cristianesimo ci sono molti fedeli apostoli. La predicazione si estende quasi ovunque, il più delle volte per l’attività di persone sconosciute. La spinta interiore di coinvolgere altre persone nella fede cristiana è stata ed è una conseguenza immediata della ricezione del battesimo. Abbiamo una testimonianza molto espressiva in un trattato scritto da S. Cipriano, nella metà del terzo secolo, indirizzata a un amico pagano di nome Demetriano, in cui racconta la sua esperienza di conversione, le difficoltà e i dubbi che ha dovuto superare e come è cambiata completamente la sua vita dopo aver ricevuto il battesimo. Dirà semplicemente: immediatamente sono scomparsi tutti i dubbi in modo meraviglioso e ho capito che era opera di Dio resa viva dallo Spirito Santo (Ad Demetrianum, 4).
Oggi ci sono persone che considerano l’opera di evangelizzazione come qualcosa di unicamente riservato a sacerdoti o religiosi. Era così tra i primi seguaci del cristianesimo?
Niente affatto. Negli scritti del Nuovo Testamento vengono citati alcuni apostoli, come San Pietro, San Paolo e San Giovanni, ma viene menzionata anche una folla di fedeli, i cui nomi sono giunti fino a noi. Nella Didachè, uno scritto cristiano della fine del primo secolo, si parla di cristiani comuni che conducono una vita itinerante, di città in città, trasmettendo il messaggio di Gesù a tutti coloro che li avrebbero ascoltati. Di questi cristiani parla anche Origene nel III secolo, quando scrive: “I cristiani usano tutto ciò che possono per diffondere la dottrina in tutto l’universo. Per farlo alcuni si sono dedicati a viaggiare di città in città, di paese in paese, per portare gli altri al servizio di Dio” (Contro Celso, III, 9). Cioè, come già indicato in precedenza, tutti i fedeli sono chiamati a fare un compito apostolico, anche se alcuni sono specificamente più impegnati per realizzarlo.
Ci può dire quale ruolo ha avuto la donna cristiana nel campo apostolico?
Si può dire che il lavoro apostolico delle donne nell’antichità cristiana ha avuto una straordinaria importanza. Alcuni pagani illustri come Plinio, Celso e Porfirio ne hanno addirittura fatto motivo di critica e di ironia contro il cristianesimo, riconoscendo la rapida diffusione di conversioni tra le donne. Sin dalle origini, le donne svolgono un ruolo insostituibile nella diffusione del Vangelo. Un esempio potrebbe essere quello di Priscilla, che evangelizza Apollo, come ci dice Luca (Atti 18: 26). Clemente di Alessandria descrive il ruolo di queste cristiane, che hanno aiutato i primi apostoli, che fungono da intermediari e che diffondono la dottrina liberatrice del Signore (Stromati, III, 6, 53). Nella letteratura apocrifa cristiana abbiamo trovato gli Atti di Paolo e Tecla, che sono una sorta di romanzo storico del secondo secolo, il cui autore anonimo racconta il ruolo di Tecla e la presenta come l’evangelista dell’Apostolo tra le donne. Gli esempi potrebbero essere tantissimi.
Potreste citare alcuni aspetti dei cristiani che sono stati di particolare fascino per i pagani?
Quello che più colpisce è la coerenza della loro vita, proprio l’antitesi di quello che è attualmente considerato il politicamente corretto. Si noti che l’atmosfera culturale-religioso del tempo era molto sincretica e relativistica, soprattutto nel secondo secolo, in cui molti pagani hanno vissuto la religione in modo blando. Il contrasto con l’esperienza cristiana era molto forte e gli apologisti cristiani sottolineano questa coerenza. Questo è quello che dice Atenagora in merito a una calunnia contro i cristiani che li accusava di omicidio e cannibalismo: “Come possiamo uccidere, noi che neanche vogliamo vedere uccidere [allusione alla crudeltà dei combattimenti del Colosseo ], macchiandoci di tale impurità? Al contrario, noi affermiamo che chi pratica l’aborto commette un omicidio e ne deve rendere conto a Dio. Siamo sempre e in tutto coerenti con noi stessi” (Atenagora, Gamba., 35). Vivere le virtù cristiane con costanza, soprattutto di carità, ha certamente attirato molti pagani. A questo allude Tertulliano nel suo famoso Apologeticum quando scrive: “Ma è proprio questa l’efficacia d’amore tra di noi, ciò che ci attira l’odio di alcuni, che dicono ‘Guardate come si amano’, mentre loro si odiano l’un l’altro” (Tertulliano, Apol, XXXIX, 1-7).
In ogni caso, parlando di coerenza nella fede e nel comportamento, è quasi d’obbligo dire qualcosa sulla suprema testimonianza dei martiri. A questo punto bisogna notare che il solo fatto di essere cristiani avrebbe messo in pericolo la propria vita, mentre l’impero romano era tollerante verso le altre religioni. Perché si è arrivati a perseguitare a morte i cristiani?
La risposta richiederebbe molto più spazio. Dietro le persecuzioni romane contro il cristianesimo c’era tutta una concezione della cittadinanza politica strettamente legata agli dei protettori della città e al culto dell’imperatore. Si può dire che i cristiani, per loro natura, non fanno alcun culto a falsi dei, perché ammettono l’esistenza di un solo Dio. Ma se torniamo al tema della coerenza cristiana, troviamo che il martirio è la suprema testimonianza che può dare un cristiano. E non c’è dubbio che questa testimonianza avrà anche un valore esemplare, che spingerà altri a diventare cristiani. Questo è il caso di un soldato, Basilide, che ha accompagnato l’esecuzione di un cristiano, chiamato Potamiena, mostrando una maggiore compassione e umanità rispetto all’insolenza della popolazione. E lei, in segno di gratitudine, gli disse che avrebbe chiesto al Signore la sua conversione, avvenuta pochi giorni dopo. Dichiarandosi cristiano, fu denunciato e condannato a morte (Eusebio di Cesarea, Storia ecclesiastica, VI, 5, 3-6). (da Aleteia)
Chiesa
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Gigliotti Saveria Maria · 9 anni fa