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Chiesa

I Vangeli sono “imbarazzanti”, per questo sono attendibili

Gigliotti Saveria Maria · 9 anni fa

I Vangeli sono imbarazzanti! Dietro a quella che potrebbe suonare come un’offesa per i cristiani, si nasconde in realtà un forte argomento a sostegno della loro storicità. Infatti, tra i diversi criteri che gli storici utilizzano per valutare l’autenticità di un testo c’è proprio il criterio dell’imbarazzo. Questo significa, rispetto ai Vangeli, che difficilmente la chiesa primitiva avrebbe creato del materiale che avrebbe messo in imbarazzo se stessa, un brano controproducente per gli autori dei Vangeli. Attenzione, non bisogna, però, velocemente concludere che allora tutto ciò che c’è di “imbarazzante” è automaticamente “vero” ed, invece, ciò che ci si sarebbe aspettato dagli evangelisti è automaticamente “falso”: si tratta semplicemente di uno dei diversi metodi, da utilizzare in sinergia con altri. Un brano evangelico, infatti, può pretendere di essere autentico in proporzione al numero e al grado di criteri storici che riesce a soddisfare. In tantissimi scritti del passato si rileva, grazie al confronto tra le fonti, l’omissione, la modifica o la menzogna su determinati elementi che avrebbero portato vergogna o perdita di credibilità verso lo scrittore o verso la sua comunità. Ad esempio il Lachish relief è il racconto che il popolo assiro ci ha lasciato in cui si narra la loro vittoria sul regno di Giuda durante l’assedio di Lachis nel 701 a.C. Sono elencate tutte le 46 città fortificate del regno di Giuda che sono riusciti a conquistare e l’altissimo numero di prigionieri (200mila), una chiara esagerazione per gli storici. I quali, fanno notare, che nel pomposo racconto manca però l’assedio a Gerusalemme, questo perché fu un fallimento tanto che, dopo aver accerchiato la città, tornarono a Ninive senza toccarla. Il racconto imbarazzante venne semplicemente omesso. Tornando ai Vangeli, i primi cristiani desideravano certamente evangelizzare, convertire al cristianesimo. Lo fecero raccontando i fatti che avevano vissuto, che a loro erano stati raccontati dai testimoni oculari integrandoli tramite fonti precedenti, contemporanee (o quasi) alla vita di Gesù. I testi evangelici, tuttavia, contengono molto materiale che sarebbe stato autolesionistico includere per la chiesa primitiva e la spiegazione più probabile del perché non omisero quei brani è che, essendo fatti storici noti anche dai loro contemporanei, non bisognava e non si poteva censurarli. Vediamone alcuni:

1) Il battesimo di Gesù. Giovanni Battista fu chiamato così perché usava battezzare i suoi discepoli per liberarli dai peccati. E’scritto chiaramente nel Vangelo di Marco e di Matteo: «si presentò Giovanni a battezzare nel deserto, predicando un battesimo di conversione per il perdono dei peccati. Accorreva a lui tutta la regione della Giudea e tutti gli abitanti di Gerusalemme. E si facevano battezzare da lui nel fiume Giordano, confessando i loro peccati» (Mc 1,4-5). «Allora accorrevano a lui da Gerusalemme, da tutta la Giudea e dalla zona adiacente il Giordano; e, confessando i loro peccati, si facevano battezzare da lui nel fiume Giordano» (Mt 3,5-6). Eppure, gli stessi Vangeli, raccontano che anche Gesù si presentò da Giovanni Battista chiedendo di essere battezzato. E’certamente un episodio imbarazzante per i primi cristiani proclamare la divinità di Gesù e al contempo raccontare che il Figlio di Dio sentì il bisogno di confessare i suoi peccati ad un uomo. «Marco racconta l’avvenimento senza una spiegazione teologica del fatto che colui che è superiore, senza peccato, si sottometta a un battesimo destinato ai peccatori», rileva il celebre biblista J.P. Meier. «E’altamente improbabile che la chiesa si sia data pena di creare la causa del proprio imbarazzo» (Un ebreo marginale, vol.1, Queriniana 2008, p.161).

2) Gesù non conosce il giorno della fine. Un altro brano imbarazzante è l’affermazione di Gesù di non conoscere il giorno esatto o l’ora della fine, nonostante sappia predire gli eventi della fine del tempo, compreso il suo ritorno. Tuttavia, alla fine del suo discorso escatologico, afferma: «Quanto però a quel giorno o a quell’ora, nessuno lo sa, né gli angeli nel cielo, né il Figlio, eccetto il Padre» (Mc 13,32). Ancora J.P. Meier: «E’assai improbabile che la chiesa si sia preoccupata di inventare un detto che evidenziava l’ignoranza del suo Signore risorto» (J.P. Meier, Un ebreo marginale, vol.1, Queriniana 2008, p.162). E ancora: «Il criterio dell’imbarazzo rende probabile che Mc 13,32 sia autentico […]. Per negare la sua autenticità si dovrebbe supporre che un qualche profeta cristiano primitivo abbia fatto ogni sforzo per attribuire l’ignoranza della venuta del Figlio dell’uomo allo stesso Figlio dell’uomo glorioso» (J.P. Meier, Un ebreo marginale, vol.2, Queriniana 2003, p. 461,462).

3) La sua famiglia non credeva in lui. Nel Vangelo di Giovanni, da molti ingiustamente ritenuto lontano dai fatti reali, compare questa frase: «Gesù se ne andava per la Galilea […], i suoi fratelli gli dissero: “Parti di qui e va nella Giudea perché anche i tuoi discepoli vedano le opere che tu fai. Nessuno infatti agisce di nascosto, se vuole venire riconosciuto pubblicamente. Se fai tali cose, manifèstati al mondo!”. Neppure i suoi fratelli infatti credevano in lui» (Gv 7,1-7). Ora, al di là di chi siano questi “fratelli”, se suoi cugini, fratelli naturali oppure fratelli di primo letto di Giuseppe (la questione non è risolta), sono chiaramente persone molto vicine a Gesù, imparentate con lui, ed è notevole leggere che non venne creduto proprio da chi lo conosceva approfonditamente. Addirittura, in Marco 3,21, si legge: «Allora i suoi, sentito questo, uscirono per andare a prenderlo; poiché dicevano: “è fuori di sé”». Ritenevano che avesse perso la testa, proprio i suoi parenti. E lo sappiamo perché sono i Vangeli che riportano questo, i cui autori non censurarono neppure le cose più imbarazzanti, scomode, controproducenti.

4) Il dubbio di Giovanni Battista. Molti di coloro a cui i Vangeli si rivolgevano erano stati seguaci del Battista, come lo fu per un periodo lo stesso Gesù. E’significativo quindi che i testi riportino un Giovanni Battista perplesso di fronte al Nazareno, che non lo riconosca immediatamente come la persona che annunciava nelle sue predicazioni, quando profetizzava «colui che viene dopo di me è più forte di me, e io non sono degno neanche di portare i suoi sandali» (Mt 3,11). Tanto che, una volta che Giovanni Battista venne incarcerato e seppe delle opere compiute da Gesù, inviò alcuni suoi discepoli a chiedergli:«Sei tu colui che deve venire o dobbiamo attenderne un altro?» (Mt 11,3). I Vangeli riportano tutto questo, nonostante apparisse controproducente, dato che i primi cristiani ebbero delle dispute proprio con i discepoli del Battista. Un altro dubbio importante compare in Matteo 28,17, quando a dubitare del Gesù risorto sono gli stessi discepoli.

5) Le donne sono le prime testimoni della resurrezione. Le prime ad osservare il sepolcro vuoto e a cui appare Gesù, annunciando la sua resurrezione, sono alcune donne. «Che ci piaccia o no», ha scritto Craig A. Evans, docente di Nuovo Testamento presso l’Acadia Divinity College di Wolfville, «le donne nel mondo antico non erano affatto considerate testimoni credibili. Dovette a quel tempo rivelarsi estremamente imbarazzante pensare che i principali testimoni di quello straordinario evento fossero state donne e, più ancora che tra esse vi fosse qualcuna di dubbia reputazione come Maria Maddalena» (C.A. Evans,Gli ultimi giorni di Gesù, San Paolo 2010, p.105,106). Il prof. Craig Keener, importante docente di New Testament presso l’Asbury Theological Seminary, ha confermato: «la testimonianza delle donne al sepolcro è molto probabilmente storica, proprio perché risultava decisamente offensiva per la cultura di allora, non certo il tipo di testimonianza che si sarebbe inventata. Non tutte le testimonianze erano considerate di pari merito, l’attendibilità dei testimoni era essenziale e la maggior parte dei contemporanei ebrei di Gesù aveva poca stima della testimonianza delle donne, certamente ritenuta inferiore a quella degli uomini» (C. Keener, The Historical Jesus of the Gospels, Wm. B. Eerdmans Publishing Co. 2012, p. 331). Un eventuale falsario si sarebbe ben guardato dall’inventare un fatto simile, non a caso il fatto fu subito usato dal polemista anticristiano Celso come motivo di scherno: «I galilei credono a una risurrezione testimoniata soltanto da qualche femmina isterica».

6) La morte e la resurrezione di Cristo. Se dobbiamo dirla fino in fondo, tutto quello che riguarda la sua morte e resurrezione è di gran lunga imbarazzante per gli autori dei Vangeli, anche se questo più che il criterio dell’imbarazzo soddisfa il criterio della dissomiglianza (utilizzato per valutare i brani che non possono derivare né dal giudaismo del tempo di Gesù, né dalla chiesa primitiva dopo di lui). Paolo scrive infatti: «noi predichiamo Cristo crocifisso, scandalo per i Giudei, stoltezza per i pagani» (1 Cor 1,23). La parola usata è skandalon, ovvero “pietra d’inciampo”, ciò che provoca offesa e suscita quindi opposizione. Perché mai, infatti, dei devoti ebrei avrebbero dovuto inventarsi che il loro Messia fosse morto torturato e infine appeso ad un albero, quando proprio il Deuteronomio afferma: «il suo cadavere non dovrà rimanere tutta la notte sull’albero, ma lo seppellirai lo stesso giorno, perché l’appeso è una maledizione di Dio» (Dt 21,23). «Chi può aver inventato di sana pianta l’idea di un messia crocifisso?», si è domandato Bart D. Ehrman, docente di Nuovo Testamento presso l’Università del North Carolina. «Nessun ebreo di cui si abbia notizia. E chi furono i seguaci di Gesù negli anni immediatamente successivi alla sua morte? Ebrei palestinesi. E’difficile capire quanto fosse offensiva, per la maggioranza degli ebrei del I secolo, l’idea di un messia crocifisso. Da dove spunta l’idea, allora? Dalla realtà storica […]. Indipendentemente dal fatto che siano ritenuti o meno scritture ispirate, i Vangeli possono essere considerati e utilizzati come fonti storiche importanti» (B.D. Ehrman, Did Jesus Exist?, HarperCollins Publishers 2012, p. 75, 164, 165). Per quanto riguarda la resurrezione corporale, essa era negata dai greci e dai pagani, soltanto gli ebrei la affermavano nel loro credo -anche se non in modo centrale come i primi cristiani-, rifacendosi al popolare brano biblico di Daniele 12: «I saggi risplenderanno come lo splendore del firmamento». Una resurrezione spirituale, dunque, non certo carnale come quella di Gesù, tanto da essere scambiato al sepolcro per un giardiniere o per un compagno di viaggio dai discepoli di Emmaus (Lc 24, 13-53). Come ha rilevato il già citato prof. C.A. Evans, «nessun testo biblico predisse che la resurrezione avrebbe avuto a che fare con una tale categoria di corpo. Un simile racconto è senza precedenti. Nessuno avrebbe inventato questi racconti in tale modo» (C.A. Evans, Gli ultimi giorni di Gesù, San Paolo 2010, p.107). Per quale motivo, allora, un pugno di pii ebrei avrebbe dovuto, improvvisamente, andare contro il proprio credo, contro la tradizione dell’Antico Testamento e contro alle convinzioni ebraiche della loro stessa società, dei loro familiari, inventando tale racconto dal nulla? Una verità scomoda, imbarazzante, come quella di un Messia torturato e umiliato, e poi risorto in una modalità contraria a quel che credeva la tradizione ebraica. Oltretutto, affermando questo tenacemente, a discapito delle persecuzioni e della morte a cui furono sottoposti. Il già citato studioso agnostico B.D. Ehrman, ha ammesso: «A questo punto voglio semplicemente identificare il punto più fondamentale. I seguaci di Gesù devono averlo considerato il Messia in un certo senso prima della sua morte, perché nulla della sua morte e risurrezione poteva essere ideato successivamente. Per loro il Messia non doveva morire o risorgere» (B.D. Ehrman, How Jesus Became God, Harper Collins Publishers 2014, p.118).

Ci sono tanti altri brani che soddisfano il criterio dell’imbarazzo, pensiamo al rinnegamento di Pietro - scelto da Gesù come leader morale degli apostoli- e al tradimento di Giuda, che rivela un clamoroso errore di scelta dei suoi discepoli da parte del Figlio di Dio. Come già scritto, il criterio di imbarazzo, da solo, non fornisce una garanzia assoluta sull’autenticità dei racconti ma certamente contribuisce a validarne l’autenticità. Tanto che perfino il filosofo illuminista Jean-Jacques Rousseau, a chi accusava i Vangeli di falsità, usava rispondere: «Amico mio, non è così che si inventa. (Rousseau, Emilio o dell’educazione, Armando Editore 2012, p.177)

(da Aleteia)