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Chiesa

Tre anni con Francesco, il Pontificato della Misericordia

Gigliotti Saveria Maria · 9 anni fa

Tre anni con Francesco, tre anni di Pontificato accompagnati dalla Misericordia di Dio. Un amore senza misura che il Papa ha testimoniato in ogni momento: dagli eventi in mondovisione come il discorso all’Onu o l’avvio del Giubileo a quelli intimi, negati agli occhi delle telecamere, come gli incontri con i carcerati e i tossicodipendenti. Nella ricorrenza del terzo anniversario dell’elezione di Jorge Mario Bergoglio alla Cattedra di Pietro, domenica 13 marzo, Alessandro Gisotti ritorna a momenti, discorsi, immagini, di questi ultimi 12 mesi rannodati con il filo della misericordia: “Il nome di Dio è misericordia”, afferma Papa Francesco, ma misericordia – sempre di più – sta diventando anche il nome del suo Pontificato. La misericordia è nel motto episcopale di Bergoglio, alla misericordia ha voluto dedicare il suo primo Angelus da Pontefice, misericordia è tra le parole che più ricorrono nelle omelie mattutine a Casa Santa Marta. Segnali sul bordo di una strada che ha portato a quell’annuncio, traguardo sorprendente ma al tempo stesso quasi atteso, di un anno fa: “Ho deciso di indire un Giubileo straordinario che abbia al suo centro la misericordia di Dio. Sarà un Anno Santo della Misericordia. Lo vogliamo vivere alla luce della parole del Signore: ‘Siate misericordiosi come il Padre’” (13 marzo 2015, Basilica di San Pietro).

Un Giubileo che inizia dalla periferia, la Porta Santa a Bangui

Sono convinto – afferma Francesco – che tutta la Chiesa “ha tanto bisogno di ricevere misericordia”. Il Giubileo, dunque, non avrà solo Roma come centro, ma tanti centri quanti sono le comunità ecclesiali nel mondo. Un Giubileo “diffuso”, cattolico nel senso proprio del termine: universale quindi e non solo “romano”. Ecco allora che per sottolineare questa dimensione, Francesco non apre la prima Porta Santa nella Basilica Petrina, ma nella cattedrale di Bangui, capitale di uno dei più poveri Paesi della Terra. La periferia diventa il centro: “Bangui diviene la capitale la spirituale del mondo. L’Anno Santo della Misericordia viene in anticipo in questa terra. Tutti noi chiediamo pace, misericordia, riconciliazione, perdono, amore” (Apertura Porta Santa di Bangui, 29 novembre 2015). Se il Giubileo inizia l’8 dicembre, preceduto appunto dalla tappa africana del 29 novembre, in realtà illumina e orienta già tutti i momenti successivi all’annuncio del 13 marzo scorso.

Guardare alle famiglie di oggi con lo sguardo misericordioso di Dio

La parola misericordia diventa protagonista nella conversazione comune dei fedeli e approda nelle Reti sociali dove si afferma tra i temi più ricorrenti nella comunicazione digitale. A fare da catalizzatore è naturalmente il magistero del Papa che dalla misericordia prende linfa per restituirla poi in molteplici frutti. Un esempio eloquente, al riguardo, è il discorso che Francesco pronuncia alla chiusura del Sinodo per la Famiglia: “L’esperienza del Sinodo ci ha fatto anche capire meglio che i veri difensori della dottrina non sono quelli che difendono la lettera ma lo spirito; non le idee ma l’uomo; non le formule ma la gratuità dell’amore di Dio e del suo perdono. Ciò non significa in alcun modo diminuire l’importanza delle formule, delle leggi e dei comandamenti divini, ma esaltare la grandezza del vero Dio, che non ci tratta secondo i nostri meriti e nemmeno secondo le nostre opere, ma unicamentesecondo la generosità illimitata della sua Misericordia”. (Discorso 24 ottobre 2015, chiusura Sinodo)

Dalla diplomazia della misericordia allo storico incontro con Kirill

Grazie a Francesco, la misericordia diventa anche il codice inedito di una diplomazia che il Pontefice mette in campo per risolvere conflitti, avviare dinamiche di pace, far incontrare chi da troppo tempo ormai non si stringeva più la mano. Il pensiero va immediatamente a Cuba e Stati Uniti, alla Colombia e al Centrafrica dove, con la sua visita audace, Francesco pianta semi di riconciliazione che frutteranno già nei giorni successivi al ritorno a Roma. Il segno più straordinario della misericordia divina, una vera sorpresa di Dio di questo terzo anno di Pontificato, è però l’incontro con il Patriarca ortodosso Kirill. Incontro tra fratelli in Cristo, come Francesco stesso racconterà con parole emozionate poche ore dopo sull’aereo che da Cuba lo conduce in Messico: “Io mi sono sentito davanti a un fratello e anche lui mi ha detto lo stesso. Due vescovi che parlano della situazione delle loro Chiese e sulla situazione del mondo, delle guerre, dell’ortodossia, del prossimo Sinodo panortodosso … Io vi dico, davvero, io sentivo una gioia interiore che era proprio del Signore”. (Conferenza stampa 12 febbraio 2016)

No alla guerra, Francesco a difesa dell’uomo e del Creato

Sullo spartito della misericordia, colpiscono i diversi registri che Francesco utilizza: tenero e accogliente nell’abbraccio ai più bisognosi, duro e sferzante nel denunciare il male. Impressionanti le parole che riserva ai mercanti di guerra, a chi schiaccia il più debole per il suo interesse: “C’è una parola del Signore: ‘Maledetti!’Perché Lui ha detto: ‘Benedetti gli operatori di pace!’. Questi che operano la guerra, che fanno le guerre sono maledetti, sono delinquenti”. (Omelia a Santa Marta, 19 novembre 2015). Il terzo anno di Pontificato è anche l’anno della Laudato si’. Un’Enciclica che, inserendosi nel solco della Dottrina Sociale, indica l’urgenza della cura della Casa comune. Ancora una volta, Francesco allarga il compasso del ragionamento e di fronte alle interpretazioni anguste che valutano questo documento come meramente “ecologista”, evidenzia che cura dell’ambiente e difesa dell’umanità sono le facce di una stessa medaglia: “Questa nostra casa si sta rovinando e ciò danneggia tutti, specialmente i più poveri. Il mio è dunque un appello alla responsabilità, in base al compito che Dio ha dato all’essere umano nella creazione: coltivare e custodire il giardino in cui lo ha posto”. (Udienza generale, 17 giugno 2015)

Le critiche al “Papa comunista”, “se serve, recito il Credo!”

Il Papa chiede di accogliere “con animo aperto questo documento” e tuttavia non mancano – anche in ambienti cattolici – le critiche. C’è chi intravede nel magistero di Francesco un’eccessiva concentrazione sui temi della povertà e dell’emarginazione, chi arriva addirittura a definirlo “Papa comunista”. A costoro Francesco rammenta che l’amore per i poveri è al centro del Vangelo, non è un’invenzione del comunismo. E non rinuncia a usare l’arma disarmante dell’ironia: “La mia dottrina su tutto questo, la Laudato si’e sull’imperialismo economico, è nell’insegnamento sociale della Chiesa. E se è necessario che io reciti il Credo sono disposto a farlo”. (Conferenza stampa aereo verso gli Stati Uniti, 23 settembre 2015). Come nei primi due anni di Pontificato, ma in realtà durante tutta la sua vita di pastore, Francesco continua dunque a essere megafono di chi ha una voce troppo flebile per essere ascoltata. Con lo sguardo fisso al popolo dei migranti in fuga da guerre e carestie, chiede di costruire ponti, non erigere muri e dà l’esempio ospitando in Vaticano due famiglie di rifugiati. Lo sentono vicino i giovani disoccupati, le donne vittime della tratta, i movimenti popolari che lottano per la terra, la casa, il lavoro. Il Papa condanna ripetutamente il circolo vizioso generato dalla “cultura dello scarto” che espelle gli anziani e serra la porta della vita ai bambini. “L’aborto – ammonisce – non è un male minore. E’un crimine. E’fare fuori uno per salvare un altro. E’quello che fa la mafia”. E proprio in una terra prostrata dalla criminalità, quale è Scampia, Francesco denuncia con forza il morbo della corruzione: “Se noi chiudiamo la porta ai migranti, se noi togliamo il lavoro e la dignità alla gente, come si chiama questo? Si chiama corruzione! Si chiama corruzione e tutti noi abbiamo la possibilità di essere corrotti… la corruzione ‘spuzza’. E la società corrotta ‘spuzza’”. (Discorso a Scampia, 21 marzo 2015)

La riforma della Curia e la riforma del cuore

D’altro canto, non ha paura di riconoscere - come fa parlando con i giovani in Kenya - che la corruzione esiste pure in Vaticano. Su questo fronte, Francesco – coadiuvato dal cosiddetto Consiglio dei Nove – continua senza sosta l’opera di riforma della Curia per renderla sempre più al servizio della Chiesa universale. Dopo la nascita della Segreteria per l’Economia è la volta del dicastero per la Comunicazione, mentre procede il lavoro per la redazione di una nuova Costituzione che sostituisca la Pastor Bonus. La riforma non si ferma né rallenta, rassicura il Papa, nonostante l’esplodere del cosiddetto “Vatileaks 2”: “Voglio assicurarvi che questo triste fatto non mi distoglie certamente dal lavoro di riforma che stiamo portando avanti con i miei collaboratori e con il sostegno di tutti voi. Sì, con il sostegno di tutta la Chiesa, perché la Chiesa si rinnova con la preghiera e con la santità quotidiana di ogni battezzato. Quindi vi ringrazio e vi chiedo di continuare a pregare per il Papa e per la Chiesa, senza lasciarvi turbare ma andando avanti con fiducia e speranza” (Angelus 8 novembre 2015). Se dunque Francesco porta avanti con passione la riforma delle istituzioni vaticane, c’è una riforma a cui tiene ancora di più: quella del cuore. Un cuore che, per accogliere la misericordia di Dio che ci viene incontro, deve essere aperto alla conversione. Un’apertura che, come evidenzia la Misericordiae Vultus, inizia con il sentirsi peccatore: “Se tu non ti senti peccatore, hai incominciato male. Chiediamo la grazia che il nostro cuore non si indurisca, che sia aperto alla misericordia di Dio, e la grazia della fedeltà. E quando ci troviamo, noi infedeli, la grazia di chiedere perdono” (Omelia a Santa Marta, 3 marzo 2016). (Da Radio Vaticana)