Non ci sono ancora scuole pubbliche nel suo luogo di nascita, e i genitori (Pietro e Francesca Bellame) lo affidano per la prima istruzione a uno zio sacerdote. A quindici anni entra nel seminario vescovile di Vicenza: la sua vocazione religiosa si è fatta chiara assai presto, e col tempo si accompagnerà alla passione per l’insegnamento. A 21 anni, mentre studia teologia, fa già scuola ai ragazzi dei corsi inferiori. A 24 anni viene ordinato sacerdote, conservando l’incarico in seminario; e ottiene la “patente” di insegnante elementare, assumendo i primi incarichi nelle scuole pubbliche di Vicenza (che all’epoca appartiene al Regno Lombardo-Veneto, sotto gli Asburgo d’Austria). Lavora nelle scuole che ci sono. Ma pensa a quelle che mancano, soprattutto nelle campagne. L’analfabetismo è ancora molto diffuso, in particolare tra le ragazze, che così si trovano confinate in un’esistenza subalterna. A 28 anni, nel 1831, fa nascere in Vicenza una scuola popolare femminile, e lavora a un progetto molto audace per il suo tempo e la sua età: creare una congregazione di suore insegnanti. E a 33 anni istituisce le “Suore Maestre di Santa Dorotea, Figlie dei Sacri Cuori”, chiamate a istruire non solo le ragazze di buona famiglia, ma soprattutto le altre, quelle indifese a causa della miseria oppure colpite da infermità permanenti e gravi, come cieche e sordomute. Bastano tre anni al nuovo istituto per ottenere da Gregorio XVI (nel 1839) il decretumlaudis, che è un iniziale riconoscimento pontificio. Il fondatore prepara la novità successiva: all’insegnamento, le Dorotee aggiungeranno il servizio ai malati, come infermiere negli ospedali. Volontarie anche sul fronte della sofferenza fisica, dunque, con tutto lo slancio: ma soprattutto con l’indispensabile professionalità. Lui forse non pronuncerà mai testualmente questa parola; tuttavia concretizza l’idea nelle sue esigenti direttive: studio, preparazione accurata in medicina e pronto soccorso, attenzione all’igiene. L’infermiera d’ospedale come la vuole lui è una figura ancora quasi sconosciuta in Italia, dove manca perfino un manuale che prepari a questo lavoro. Penserà lui a procurarlo, facendo tradurre un testo francese e presentandolo alle Dorotee con questa epigrafe: «Un’infermiera deve avere il cuore di una madre, il sangue freddo di un medico, la pazienza di un santo. Cure intelligenti guariscono quanto i rimedi».A metà secolo diventa vescovo: dal1851 a Treviso e dal 1860 fino alla morte a Vicenza. Non sempre in clima propizio, tuttavia: a Treviso ci sono incomprensioni e conflitti con i canonici della cattedrale; a Vicenza riceve accuse ingiuste. A tutto reagisce col rimanere sé stesso: rispondono per lui le opere passate e recenti di rinnovatore della scuola e dell’assistenza ospedaliera, di protagonista di una pastorale fondata «sull’educazione del cuore». Parla per lui chi lo ha visto fare l’infermiere in ospedale, di persona. Così, a pochi anni dalla morte, già si incomincia a parlare di grazie dovute alla sua intercessione.Nell’anno della sua morte in Vicenza, è nata a Gioia di Brendola, lì vicino, Anna Francesca Boscardin, che col nome di Maria Bertilla sarà la sua prima infermiera proclamata santa. Nel 1905, la regola delle Maestre Dorotee viene approvata definitivamente da Pio X, che è stato ordinato sacerdote da lui nel 1858. Giovanni Antonio Farina è proclamato beato da Giovanni Paolo II nel 2001. I suoi resti riposano a Vicenza, nella Casa madre della sua congregazione.
Spiritualità
San Giovanni Antonio Farina, Vescovo
Cesare Natale Cesareo · 9 anni fa