Premessa: un mondo che ha preso velocità: La “rapidaciòn” (LS 18). Già Benedetto XVI nella CV prendeva le mosse dai cambiamenti legati alla globalizzazione. Sulla stessa scia si pone questa enciclica. Cosa sta accadendo? Solo una fenomenologia dei mutamenti in atto ci dà la chiave per comprendere quanto poi papa Francesco denuncia al III capitolo, ovvero il “paradigma tecnocratico dominante”.
La radice umana della crisi ecologica: il paradigma tecnocratico dominante.
Non è una demonizzazione della tecnica. Chi legge questo nella LS è ingenuo e prevenuto. Il Pontefice è esplicito: “Siamo gli eredi di due secoli di enormi ondate di cambiamento: la macchina a vapore, la ferrovia, il telegrafo, l’elettricità, l’automobile, l’aereo, le industrie chimiche, la medicina moderna, l’informatica e, più recentemente, la rivoluzione digitale, la robotica, le biotecnologie e le nanotecnologie. è giusto rallegrarsi per questi progressi ed entusiasmarsi di fronte alle ampie possibilità che ci aprono queste continue novità, perché «la scienza e la tecnologia sono un prodotto meraviglioso della creatività umana che è un dono di Dio». La trasformazione della natura a fini di utilità è una caratteristica del genere umano fin dai suoi inizi, e in tal modo la tecnica «esprime la tensione dell’animo umano verso il graduale superamento di certi condizionamenti materiali». La tecnologia ha posto rimedio a innumerevoli mali che affliggevano e limitavano l’essere umano. Non possiamo non apprezzare e ringraziare per i progressi conseguiti, specialmente nella medicina, nell’ingegneria e nelle comunicazioni. E come non riconoscere tutti gli sforzi di molti scienziati e tecnici che hanno elaborato alternative per uno sviluppo sostenibile?” (LS 102).
In effetti pensiamo solo alla medicina e a quante vite sono salvate grazie ai progressi nel campo delle tecniche d’intervento nell’ambito cardio respiratorio. Oppure ai vaccini che possono debellare malattie in passato mortali. Un tempo la mortalità infantile era elevatissima, oggi è molto bassa (almeno nei paesi industrializzati).
Non solo il Papa riconosce anche che c’è la possibilità di produrre il “bello”. “Si può negare la bellezza di un aereo, o di alcuni grattacieli? Vi sono preziose opere pittoriche e musicali ottenute mediante il ricorso ai nuovi strumenti tecnici. In tal modo, nel desiderio di bellezza dell’artefice e in chi quella bellezza contempla si compie il salto verso una certa pienezza propriamente umana” (LS 103).
Ma, detto questo, il problema è il rischio di usare male di queste conoscenze. “Mai l’umanità ha avuto tanto potere su sé stessa e niente garantisce che lo utilizzerà bene, soprattutto se si considera il modo in cui se ne sta servendo. Basta ricordare le bombe atomiche lanciate in pieno XX secolo, come il grande spiegamento di tecnologia ostentato dal nazismo, dal comunismo e da altri regimi totalitari al servizio dello sterminio di milioni di persone, senza dimenticare che oggi la guerra dispone di strumenti sempre più micidiali. In quali mani sta e in quali può giungere tanto potere? è terribilmente rischioso che esso risieda in una piccola parte dell’umanità” (LS 104). Questo è il nocciolo del problema, questa è appunto la preoccupazione del Pontefice.
Il grande pensatore Romano Guardini, in tempi non sospetti aveva già messo in guardia che non ogni acquisto di potenza sia semplicemente progresso. La denuncia di Guardini ripresa nella LS sta in queste parole: “l’uomo moderno non è stato educato al retto uso della potenza” (Si veda R. Guardini “La fine dell’epoca moderna” citato in LS 105).
“L’essere umano non è pienamente autonomo. La sua libertà si ammala quando si consegna alle forze cieche dell’inconscio, dei bisogni immediati, dell’egoismo, della violenza brutale” (LS 105). Bisogna anzitutto opporsi a una certa idea di libertà ab-soluta, ovvero sciolta da ogni legame. Vi sono almeno tre idee di libertà: ab-soluta, di rispetto e infine relazionare dove si riconoscono gli intrecci inscindibili tra storie di libertà. Quest’ultimo è il modello cristiano che il Papa ha ben presente (si veda LS 66 dove si parla delle tre relazioni fondamentali).
Ecco il ruolo imprescindibile dell’etica, della cultura e della spiritualità. Il nodo in gioco è attualissimo e possiamo sintetizzarlo come il delicato rapporto tra tecnica e limite.
Il paradigma tecnocratico dominante nega il limite e si illude che vi sia una disponibilità infinita di beni del pianeta (LS 106). “I prodotti della tecnica non sono neutri […] Certe scelte che sembrano puramente strumentali, in realtà sono scelte attinenti al tipo di vita sociale che si intende sviluppare” (LS 107).
Non dobbiamo illuderci che la tecnica sia qualcosa di neutro, vi è sempre in atto un’intenzionalità. Anzi l’uomo può anche diventare schiavo di ciò che produce. Si pensi a quanto alcune tecnologie diffuse possono creare dipendenza.
Politica ed economia sono i due mondi maggiormente dominati da questo paradigma.
“La finanza soffoca l’economia reale” (LS 109) e il solo criterio diventa il profitto. Qui reputo importante non dimenticare la lezione di Benedetto XVI CV quando metteva in luce il rischio di preoccuparsi solo degli utili da parte degli azionisti. Il punto è che la crisi mondiale non è stata sufficiente per far capire che l’etica è decisiva per il buon funzionamento del mercato.
L’uomo d’oggi è frammentato e questo rende difficile uno sguardo d’insieme (LS 110). Per questo ritengo fondamentale quanto troviamo scritto al numero 111: “La cultura ecologica non si può ridurre a una serie di risposte urgenti e parziali ai problemi che si presentano riguardo al degrado ambientale, all’esaurimento delle riserve naturali e all’inquinamento. Dovrebbe essere uno sguardo diverso, un pensiero, una politica, un programma educativo, uno stile di vita e una spiritualità che diano forma ad una resistenza di fronte all’avanzare del paradigma tecnocratico. Diversamente, anche le migliori iniziative ecologiste possono finire rinchiuse nella stessa logica globalizzata. Cercare solamente un rimedio tecnico per ogni problema ambientale che si presenta, significa isolare cose che nella realtà sono connesse, e nascondere i veri e più profondi problemi del sistema mondiale”.
Serve uno sguardo diverso, un pensiero, una politica, uno stile educativo e una spiritualità in grado di opporsi al paradigma tecnocratico. Il Papa porta qualche esempio: “quando comunità di piccoli produttori optano per sistemi di produzione meno inquinanti, sostenendo un modello di vita, di felicità e di convivialità non consumistico. O quando la tecnica si orienta prioritariamente a risolvere i problemi concreti degli altri, con l’impegno di aiutarli a vivere con più dignità e meno sofferenze. E ancora quando la ricerca creatrice del bello e la sua contemplazione riescono a superare il potere oggettivante in una sorta di salvezza che si realizza nel bello e nella persona che lo contempla. L’autentica umanità, che invita a una nuova sintesi, sembra abitare in mezzo alla civiltà tecnologica, quasi impercettibilmente, come la nebbia che filtra sotto una porta chiusa” (LS 112). Piccoli segni che però vanno incoraggiati perché sono la via pratica di resistenza. Ci chiediamo: quello che la LS propone è utopia o pensiamo si possa realizzare?
Secondo Papa Francesco l’elemento chiave è quale visione di uomo abbiamo in mente. Qui trova spazio un’interessante critica dell’antropocentrismo costruito dalla modernità. Ovvero il sogno prometeico dell’uomo che domina il mondo. Invece come c’insegna la sapienza di Genesi noi siamo nel mondo per coltivarlo e custodirlo, siamo chiamati ad essere amministratori responsabili (LS 116). Quindi è un’antropologia che ha a cuore la vita in tutte le sue forme, dall’embrione al povero, al disabile (LS 117). Ancora una volta siamo rimandati ad un’adeguata cura delle relazioni con Dio, con gli altri e con la terra, coscienti che tutto è connesso.
Ripensare le relazioni è il punto decisivo e in tale ottica va ripensato anche il lavoro. Oggi il lavoro è profondamente mutato, ma il tema delle relazioni tra chi lavora diventa nuovamente centrale.
Riprendo adesso una parte di uno scritto che ho pubblicato a commento della LS dove mi soffermavo precisamente sul lavoro aggiungevo il tema della casa in quanto vediamo come le cose oggi siano tra loro connesse.
La crisi ha generato molta sofferenza in tante persone che improvvisamente si sono trovate alle prese con tutta una serie di difficoltà lavorative. Effetto domino della mancanza di un lavoro diviene il problema della casa, anche in virtù del non avere più introiti economici. In realtà il testo porta un sapore di mondialità e ha ben impressi anche i drammi di tante metropoli del cosiddetto terzo mondo, situazioni molto più complesse di quelle che stiamo vivendo in Italia. In ogni caso, la LS proprio perché mette in luce il nesso stringente tra ecologia e socialità non poteva tacere due tematiche decisive del nostro pianeta.
Di lavoro si parla nel terzo capitolo nella sezione dedicata alla crisi e alle conseguenze dell’antropocentrismo moderno. Papa Francesco afferma in maniera perentoria che: “in qualunque impostazione di ecologia integrale, che non escluda l’essere umano, è indispensabile integrare il valore del lavoro” (LS 124).
La prima enciclica sul mondo del lavoro che attinse in maniera corposa alla Bibbia fu la Laborem exercens di Giovanni Paolo II. In quel testo il dato biblico faceva da richiamo alla scelta di Dio di porre la persona nel giardino appena creato (Gen 2,15). Il compito che JHWH assegna all’essere vivente è duplice: custodire e coltivare. Quindi sin dalle origini l’uomo è chiamato non solo alla cura dell’opera di Dio, ma anche ad imprimervi la sua opera.
Quale dev’essere “una corretta concezione del mondo del lavoro”? La tesi sostenuta è il valore relazionale di ogni tipo di occupazione lavorativa. Qualsiasi sia il lavoro compiuto da una persona, questo lo pone in relazione con altri esseri umani.
La Laudato si’riporta due esempi di spiritualità cristiana in relazione al lavoro: Charles de Foucauld e Benedetto da Norcia.
Charles de Foucauld è attratto dalla vita nascosta di Gesù a Nazaret e sente l’importanza di un’esistenza immersa tra le persone in lavori semplici che permettano di avere il sufficiente per vivere. Il lavoro non è alternativo alla preghiera, ma è esso stesso una forma di preghiera che aiuta a dare un senso profondo all’esistenza. In una lettera del 1893 Charles de Foucauld scrive alla cugina in merito al suo progetto di vita di fondare una piccola congregazione con il seguente scopo: “Condurre quanto più esattamente possibile la vita stessa di Nostro Signore, vivendo unicamente del lavoro delle mani, senza accettare nessun dono spontaneo né alcuna questua”.
Molti secoli prima di Charles de Foucauld, troviamo la straordinaria esperienza di Benedetto e dei suoi monaci. Papa Francesco scrive riguardo a San Benedetto: “volle che i suoi monaci vivessero in comunità, unendo la preghiera e lo studio con il lavoro manuale (Ora et labora). Questa introduzione del lavoro manuale intriso di senso spirituale si rivelò straordinaria. Si imparò a cercare la maturazione e la santificazione nell’intreccio tra il raccoglimento e il lavoro. Tale maniera di vivere il lavoro ci rende più capaci di cura e di rispetto verso l’ambiente, impregna di sana sobrietà la nostra relazione con il mondo” (LS 126).
Sia per Benedetto e i benedettini, sia per Charles de Foucauld e i piccoli fratelli, il lavoro è parte fondamentale della vita di fede. Nella storia dell’occidente l’opera dei benedettini fu decisiva per lo sviluppo della società. L’intelligenza della fede permise ai monaci di migliorare i territori dove vissero, anche grazie alle importanti innovazioni tecniche che portarono. Alleviarono la fatica del lavoro grazie ai mulini ad acqua e a vento, migliorarono l’aratro, fecero grandi bonifiche di territori paludosi. Attorno ai monasteri si svilupparono i primi distretti industriali e sorsero villaggi promossi dalla creatività di uomini che cercando Dio migliorarono la società intera. Il lavoro non era per loro solo un mezzo di sostentamento, ma alimentava la fede e nutriva la vita.
Gli esempi di Charles de Foucauld e Benedetto da Norcia appaiono alquanto significativi per comprendere l’importanza del lavoro nella vita di ogni essere umano. Dopo aver anche solo per un istante approfondito queste due esperienze spirituali, comprendiamo il senso delle parole del Pontefice quando afferma che: “il lavoro dovrebbe essere l’ambito di questo multiforme sviluppo personale, dove si mettono in gioco molte dimensioni della vita: la creatività, la proiezione nel futuro, lo sviluppo delle capacità, l’esercizio dei valori, la comunicazione con gli altri, un atteggiamento di adorazione” (LS 127).
Il lavoro è vocazione di ogni uomo sin dalla creazione. Per questo in un significativo passaggio l’enciclica afferma che “aiutare i poveri col denaro dev’essere sempre un rimedio provvisorio per fare fronte a delle emergenze. Il vero obiettivo dovrebbe essere sempre di consentire loro una vita degna mediante il lavoro” (LS 128). è un’indicazione chiara che si oppone ad ogni rischio di deriva assistenzialistica sempre presente come rischio nel nostro modo di operare la carità.
Tra le righe si legge una critica ad un certo tipo di progresso tecnologico che tende a ridurre i posti di lavoro, ma il Papa è molto netto nel suo giudizio: “Rinunciare ad investire sulle persone per ottenere un maggior profitto immediato è un pessimo affare per la società” (LS 128).
Come combattere la tendenza a diminuire l’occupazione? Duplice appare il suggerimento della Laudato si’: diversificare la produzione e alimentare la creatività imprenditoriale. Le economie di scala tendono a omologare la produzione e questo – in particolare nel settore agricolo – porta i piccoli coltivatori a dover alienare le proprie terre o abbandonare le vecchie coltivazioni. Compito delle istituzioni dovrebbe essere proprio quello di proteggere questi piccoli agricoltori che da soli non hanno la forza di opporsi ai grandi poteri finanziari.
Per quanto concerne la seconda via, ovvero quella dell’attività imprenditoriale, il Papa non disdegna parole di elogio a chi fa impresa, ribadendo un concetto che era già stato affermato dell’Evangelii gaudium. In quella Esortazione apostolica Francesco scriveva: “la vocazione di un imprenditore è un nobile lavoro, sempre che si lasci interrogare da un significato più ampio della vita; questo gli permette di servire veramente il bene comune, con il suo sforzo di moltiplicare e rendere più accessibili per tutti i beni di questo mondo”. Qualcosa di analogo lo ritroviamo in questa enciclica: “l’attività imprenditoriale, che è una nobile vocazione orientata a produrre ricchezza e a migliorare il mondo per tutti, può essere un modo molto fecondo per promuovere la regione in cui colloca le sue attività, soprattutto se comprende che la creazione di posti di lavoro è parte imprescindibile del suo servizio al bene comune” .
Meno articolate, ma altrettanto importanti, appaiono le osservazioni sulla casa che troviamo non nel terzo bensì nel quarto capitolo, quello dove si parla di ecologia integrale. Viene però esplicitamente considerata “una questione centrale dell’ecologia umana”. La mancanza di un alloggio è problema esteso a molte parti del Pianeta, sia nelle zone agricole che nelle metropoli. “La proprietà della casa ha molta importanza per la dignità delle persone e per lo sviluppo delle famiglie”.
Da un lato il Papa suggerisce di urbanizzare i quartieri già esistenti ma fatti di “agglomerati caotici” e “case precarie”. Questa scelta appare migliore rispetto all’espulsione di chi già vive in tali zone. Dall’altro lato i quartieri disagiati andrebbero integrati dentro una città accogliente, ovvero in altri termini la linea suggerita è quella di non ghettizzare, ma rendere armoniosi gli spazi. Anche in questo caso si riprende una bella riflessione presente nell’Evangelii gaudium in cui si elogiava la bellezza delle città che “superano la sfiducia malsana e integrano i differenti e che fanno di tale integrazione un nuovo fattore di sviluppo! Come sono belle le città che, anche nel loro disegno architettonico, sono piene di spazi che collegano, mettono in relazione, favoriscono il riconoscimento dell’altro”.
In sintesi, lavoro e casa appaiono elementi chiave per una vita dignitosa e sono punto prospettico significativo per cogliere quanto si stia davvero sviluppando un’ecologia umana.
Vita diocesana
Laudato si’: La radice umana della crisi ecologica e la necessità di difendere il lavoro
Gigliotti Saveria Maria · 9 anni fa