Domenica scorsa abbiamo ascoltato pure il testo del Vangelo di san Luca, in cui si parlava dell’inizio dell’attività messianica di Gesù. A Nazaret, dov’erano trascorsi gli anni della sua vita nascosta, Gesù si è presentato dinanzi alla comunità, riunita di sabato, ed ha letto le parole del profeta Isaia che parlano del futuro Messia, dichiarando: “Oggi si è adempiuta questa Scrittura che voi avete udito con i vostri orecchi” (Lc 4,21). Gli abitanti di Nazaret conoscevano Gesù come il giovane della famiglia di Giuseppe, il falegname. Dicevano quindi: “Non è il figlio di Giuseppe?” (Lc 4,22). Ed anche se le parole del giovane nazaretano erano piene di fascino, tuttavia non erano disposti in alcun modo a riconoscerlo come profeta e, tanto più, come Messia. C’è di più, si erano lasciati andare in collera e – fin da allora – erano intenzionati a punirlo con la morte per la bestemmia. “Nessun profeta è bene accetto in patria” (Lc 4,24). La testimonianza che Gesù rende – la Parola che annunzia – non proviene dagli uomini, ma da Dio. Gli uomini sono abituati a parole umane. Gli abitanti di Nazaret si aspettavano che Gesù – uno di essi – parlasse con un linguaggio, anche quando spiegava le parole dei libri sacri, le parole del profeta Isaia, parlasse nel modo in cui erano abituati. Secondo quel linguaggio, che avevano ascoltato dai loro maestri e dottori della legge. Così dunque, su questo Gesù, sul “figlio del falegname”, che i nazaretani avevano conosciuto, si sono compiute le parole che un giorno Geremia aveva udito, rivoltegli da Dio e che la prima lettura ci fa ascoltare: “Prima di formarti nel grembo materno, ti conoscevo; prima che tu uscissi alla luce, ti avevo consacrato; ti ho stabilito profeta delle nazioni” (Ger 1,5). Tale è la “genealogia” del profeta. Tale è la verità sulla sua vocazione. Questa verità – con riferimento a Gesù – risale ancora più a fondo. Egli non è soltanto una creatura, come Geremia, ma è il Figlio nato dalla stessa sostanza dell’eterno Padre. La sua “genealogia” sta in Dio stesso. Pur essendo Figlio dell’uomo, figlio della sua madre terrena – Maria, cittadino di Nazaret, Egli è sempre “Dio da Dio e Luce da Luce”. E tuttavia è “profeta non bene accetto in patria”. E ciò che si compiva su altri profeti dell’antica alleanza – su Geremia in modo particolare – lo stesso, e ancor più, si doveva compiere su Gesù di Nazaret. Dio dice: “Ti muoveranno guerra ma non ti vinceranno, perché io sono con te...” (Ger 1,19), …Non temerli... Tu, alzati e dì loro tutto ciò che ti ordinerò” (Ger 1,8-17). Con questa assicurazione di Dio che chiama ed invia il profeta – va di pari passo la preghiera del chiamato e dell’inviato; “In te mi rifugio, Signore... Sii per me rupe di difesa, baluardo inaccessibile, poiché tu sei mio rifugio e mia fortezza... fino dal grembo materno, dal seno di mia madre tu sei il mio sostegno...”. (Sal 70,1-17). Queste parole del Salmo – che vengono anche riportate da questa liturgia della domenica - poteva applicare a sé ogni profeta. Poteva dirle Geremia. E Cristo? Colui che gli abitanti di Nazaret non volevano riconoscere, colui che poi, nel corso degli anni della missione terrestre, “passò beneficando e risanando tutti” (At 10,38); di cui la gente diceva: “Un grande profeta è sorto tra noi e Dio ha visitato il suo popolo...” (Lc 7,16). Quel Cristo – ha riconfermato, in definitiva, tutto ciò che è più grande di tutte le profezie. L’apostolo Paolo, nella lettera ai Corinzi, con le parole che di solito vengono chiamate “inno della carità” – scrive infatti così: “La carità non avrà mai fine. Le profezie scompariranno... La nostra conoscenza è imperfetta e imperfetta la nostra profezia...” (1Cor 13,8-9). Sì! Imperfetta. Ma la carità è piena, perfetta. è pienezza di ogni conoscenza – e di tutte le profezie. Gesù ha rivelato l’amore. “Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito” (Gv 3,16). Gesù Cristo è quel Figlio “dato” al mondo dal Padre, il quale ha rivelato che “Dio è Amore”.
Gesù di Nazaret – non è soltanto “grande Profeta”, ma è Messia, cioè Cristo. Redentore del mondo. Il mondo poteva essere redento solo dall’amore: dal suo amore. Ti tale amore ne parla San Paolo nell’inno alla carità, che la prima lettera ai Corinzi riporta nel 12° capitolo. Ancor più, in quest’inno, ci dice che cosa è la carità, cosa opera nell’uomo che la possiede e il modo con cui deve lasciarsi guidare da essa. Un tale uomo è paziente, benigno, non è invidioso, non si vanta, non si gonfia... La carità fa sì che egli si comporti proprio così ed eviti un comportamento contrario. La carità si manifesta in questi modi di comportamento e contemporaneamente ciascuno di essi è la carità ed esprime la carità in un determinato ambito. In tutto ciò l’Apostolo ci dice che la carità è qualcosa di più grande di tutte le sue manifestazioni. è come il loro cuore nascosto, in cui esse tutte hanno origine. La carità e la vita interiore di questo cuore. Imparare la carità vuol dire far apprendere al proprio cuore questa vita interiore; farla apprendere al cuore, ma anche all’intelletto, ai sensi, allo spirito, al corpo, farla apprendere all’uomo intero. Per poter praticare la carità, bisogna dunque impararla.