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Cultura e Società

Mons. Galantino e le polemiche del centrodestra: quando la Chiesa diventa “scomoda”

Paolo Emanuele · 9 anni fa

Mons. Galantino e le polemiche del centrodestra: quando la Chiesa diventa “scomoda”

“Dacci oggi il nostro pene quotidiano…” Faremmo volentieri a meno di ripetere e dare enfasi a questa espressione blasfema e volgare, se non fosse per evidenziare il livello zero di civiltà e buon senso che ha raggiunto negli ultimi giorni il dibattito pubblico in Italia, in particolare nel rapporto tra la Chiesa e una “certa destra” che vede in Matteo Salvini il suo leader di riferimento. Quello apparso nel pomeriggio del 20 agosto sul blog di Nino Spirlì sul sito de “Il giornale.it”, non è il primo attacco nei confronti dei rappresentanti della Chiesa che nelle ultime settimane sta arrivando da una “certa parte” della società. Una parte di società che sarebbe ingiusto identificare con un’etichetta o un colore politico: è quella parte di società intollerante, chiusa al dialogo, quella parte di società imbevuta di populismo che preferisce far parlare la pancia anziché aprire il cuore all’altro. E così, quel magistero della Chiesa citato e abusato quando c’è da discutere di famiglia, diritti civili e altri temi, diventa improvvisamente scomodo, sgradito, qualcosa da mettere a tacere perché “la chiesa non può fare politica”. E si rincorrono i titoloni del giornale della famiglia Berlusconi contro i vescovi “rossi e comunisti”, gli editoriali di pseudo-intellettuali convertiti alla linea di Salvini, post e tweet del leader della Lega che non comunicano niente, se non offese e attacchi personali.

Ma qui non si vuole inasprire una guerra tra guelfi e ghibellini. Una guerra che non ha dichiarato la Chiesa italiana. Che non ha dichiarato certamente Mons. Galantino il quale altro non ha fatto se non richiamarsi alle parole di Gesù che indica nell’accoglienza dello straniero una delle manifestazioni più alte dell’Amore, sul quale gli uomini saranno giudicati nell’ultimo giorno: “ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere, ero straniero e mi avete accolto, 36nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, ero in carcere e siete venuti a trovarmi”. Il Papa, il segretario della Cei e chiunque rappresenta la Chiesa non può tradire la sua identità e la missione che Cristo stesso ha consegnato ai suoi discepoli: annunciare il Vangelo dell’Amore che accoglie, che riconosce la dignità di ogni persona e che, nella carità, si mette a servizio di ogni uomo, in particolare dello straniero, del fragile, del rifiutato, nel cui volto è riflessa la povertà e l’umiltà del Figlio di Dio. “Non è comunismo, è Vangelo”, direbbe Papa Francesco. Ma, laicamente, vorremmo dire che non è neppure un fatto di fede o di pietismo buono per salvarsi l’anima: è la legge morale scritta nella coscienza di tutti gli uomini, è il senso stesso della vita che pone nel dono di sé e nel servizio la misura alta della propria umanità.

Se il focus della discussione si spostasse su questi temi, il fuoco delle polemiche di questi giorni si spegnerebbe in poche ore e il “fratello” Nino Spirlì non avrebbe neppure pensato di titolare il suo articolo in quel modo. Un titolo che altro obiettivo non ha se non quello di sparare nel mucchio, di fare di tutta l’erba un fascio e di fomentare una nuova campagna anticlericale che si scatena puntualmente quando le parole della Chiesa fanno da sasso di inciampo alle aspirazioni di nuovi leader sulla cresta dell’onda. Le polemiche di questi giorni, dunque, sono da inquadrare in una situazione più generale e radicata nel costume italiano. C’è una Chiesa che “fa comodo” quando dice le cose secondo le nostre visioni e in funzione dei nostri obiettivi; quando c’è da ricercare l’appoggio di prelati e gerarchie in vista di obiettivi di potere; quando c’è da ricercare una “legittimazione” sociale e farsi vedere accanto a un membro del clero funziona sempre bene come lasciapassare; e poi c’è una Chiesa “scomoda” che rovina i piani, mostra l’inconsistenza di demagogie e populismi, si fa missionaria di quell’Amore che non è stato accolto con applausi e suoni di tromba, ma è stato rifiutato dagli uomini e inchiodato a una Croce. Una Chiesa “scomoda”, quella che mette a tacere le gridate e smuove le coscienze, e che dunque “non può fare politica": deve tacere.

E’chiaro, dunque, che la nuova campagna di anticlericalismo fomentata in questi giorni non è una novità: è la storia che si ripete, è il vizio tipico di una società italiana a cui, nonostante tutto, piace ancora avere addosso come un’etichetta la propria “cattolicità”. Ovviamente a fasi alterne e solo ed esclusivamente quando la fede non intralcia i propri progetti e le proprie ambizioni di potere. Ma c’è un’altra questione, anche questa non nuova, che emerge dalle polemiche di questi giorni. Una sorte di némesi, che colpisce il centrodestra italiano, alle prese con le sue divisioni e le difficoltà di trovare una nuova prospettiva. La sociologia ci insegna che in tutte le società in crisi, alle prese con i propri problemi interni, si tende a identificare in un nemico proveniente dall’esterno l’origine dei propri mali: da qui la xenofobia, la paura dello straniero, l’intolleranza nei confronti del “diverso” in tutte le sue forme. Vuoi vedere che il centrodestra, non riuscendo a risolvere i propri problemi interni, non trova migliore soluzione che quella di prendersela con la Chiesa e identificare nei vescovi i nuovi “comunisti cattivi”, causa di tutti i mali italiani? Pensiamo che il Papa, Galantino e i rappresentanti della Chiesa abbiano le spalle abbastanza larghe per sopportare offese e insulti, da destra e da sinistra. Ma il proliferare di “casi Boffo”, con lo stesso metodo diffamante e spietato, non fa male alla Chiesa: fa male all’Italia, alla sua democrazia, alla sua vita civile.