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IL DIVORZIO BREVE è LEGGE…MA NON PER TUTTI.

Paolo Emanuele · 10 anni fa

IL DIVORZIO BREVE è LEGGE…MA NON PER TUTTI.

I tempi per chi vorrà porre fine al matrimonio sono stati ridotti.

Il voto espresso il 22 aprile u.s. dalla Camera ha registrato un forte consenso (398 sì, 28 no e 6 astenuti) e ha sancito l’approvazione del c.d. divorzio breve.

La legge istitutiva del divorzio risale al dicembre del 1970, quando radicali, socialisti, comunisti, liberali e repubblicani approvarono l’allora progetto di legge Fortuna-Baslini.

La legge sopravvisse al referendum del 12 maggio 1974 voluto fortemente dall' Italia cattolica, antidivorzista. Fu modificata nel 1987 con una prima riduzione dei tempi necessari per il divorzio da 5 a 3 anni.

Degli ultimi giorni è l'ulteriore riforma - in attesa del divorzio immediato da molti atteso e auspicato, ma al momento stralciato dal Ddl - secondo la quale non saranno più necessari 3 anni per dirsi addio, ma solo 6 mesi, se la separazione è consensuale, e al massimo un anno in caso di separazione giudiziale e indipendentemente dalla presenza o meno di figli.

L’ulteriore novità, verte sulla comunione dei beni che si scioglie quando il giudice autorizza i coniugi a vivere separati o al momento di sottoscrivere la separazione consensuale; prima si realizzava solo con il passaggio in giudicato della sentenza di separazione.

Infine c'è l'applicazione immediata: il divorzio breve sarà operativo anche per i procedimenti in corso.

Tale riforma è stata salutata con molto entusiasmo dai più e come traguardo di civiltà acquisita che ci permetterebbe di allinearci al resto dell’Europa emancipata.

In altre parole, dovremmo sentirci tutti più cittadini europei, più emancipati, più titolari di diritti, in quanto ora abbiamo da attendere soltanto sei mesi - o al più un anno - per venir meno ad una promessa che ci siamo fatti per tutta la vita e soprattutto liberamente. Una promessa che nessuno ci ha costretto a fare e che abbiamo espresso coscientemente e liberamente!

Non si comprende come mai ci si batta per il divorzio breve ed addirittura lampo, ma nulla si faccia per garantire che, nel tempo intercorrente tra separazione e divorzio, le parti siano indotte a tentare una conciliazione o una mediazione o quantomeno un accordo sulla gestione delle relazioni parentali; uno spazio e un tempo per verificare una possibile ricomposizione del consorzio familiare, soprattutto quando dal matrimonio siano nati dei figli.

Eppure questo sarebbe stato coerente e intellettualmente onesto anche per chi si sposa soltanto civilmente: Il matrimonio civile è un atto di grandissima importanza, è un atto simile al giuramento in tribunale, coinvolge gli individui dal profondo e pone le proprie basi su etica (firma e testimoni), morale (vi è l'obbligo giuridico della fedeltà), rapporti sociali (è un atto pubblico), rapporti economici (mutuo soccorso fra i contraenti).

Si sarebbe potuto e dovuto prendere sul serio la proposta delle associazioni delle famiglie di “esternalizzare” il già previsto tentativo di conciliazione obbligatorio, spesso inutile o comunque non efficace, riservato al Presidente del Tribunale, e assegnarlo a figure professionali esperte quali mediatori familiari, conciliatori o consulenti consultoriali che possano realmente supportare le parti e offrire una possibilità di ricomposizione dell’unità familiare.

Un discorso a parte va fatto per il matrimonio religioso e in particolar modo per quello cattolico.

In questo caso non si tratta di giuramento, né di contratto ma di molto più.

Quando Gesù parla del sacramento del matrimonio in modo specifico, per rispondere alla precisa domanda dei farisei sul comportamento che l’uomo deve tenere con la donna (v. in Mt,19) Gesù fa appello alle origini, rimanda al principio e cita Genesi 1,1 e lo unisce a Genesi 2,24, fornendone la chiave esegetica di interpretazione: “Si avvicinarono a lui alcuni farisei per metterlo alla prova e gli domandarono: “E’lecito ripudiare la propria moglie per qualsiasi motivo?”. Egli rispose: “Non avete letto che il Creatore fin da principio maschio e femmina li fece, e disse: per questo l’uomo lascerà il padre e la madre e si unirà alla propria moglie così i due diventeranno una sola carne? In modo che non sono più due, ma una sola carne. Perciò quello che Dio ha congiunto l’uomo non separi”.

La grandezza e profondità del sacramento del matrimonio è tale da rendere inutiliter data ogni personale opinione sull’opportunità o meno del “divorzio breve”.

San Giovanni Paolo ne ha scritto in modo mirabile, discoprendo l’essenza più autentica di questo mirabile sacramento: “l’uomo è divenuto “immagine e somiglianza” di Dio non soltanto attraverso la propria umanità, ma anche attraverso la comunione delle persone che l’uomo e la donna formano fin dall’inizio. La funzione dell’immagine è quella di rispecchiare colui che è il modello. Di riprodurre il proprio prototipo. L’uomo diventa immagine di Dio soltanto nel momento della comunione. Egli, infatti, è fin da principio non soltanto immagine in cui si rispecchia la solitudine di una Persona che regge il mondo, ma anche ed essenzialmente, immagine di un’imprescrutabile divina comunione di Persone”.

Nel dono delle persone c’è una mutua rivelazione, che è appunto il frutto della comunione: l’uomo rivela la sua donna dandosi ad essa, la donna rivela l’uomo accettando il dono del suo sposo e ridonandoglielo, proprio come nella divina Trinità il Padre si rivela nel Figlio e il figlio ripete e il Figlio ripete le meraviglie del Padre. Nella Trinità, il Padre è tutto l’amore dato, il Figlio è tutto l’amore ricevuto e restituito al Padre, e la fecondità di quello scambio è Spirito Santo.

“Nella comunione delle persone, nello stato d’innocenza delle origini, accade esattamente la stessa cosa: la donna rivela l’uomo, l’uomo rivela la donna; l’uomo si rivela nella donna e la donna si ridice nel dono dell’uomo. In questa mutua rivelazione, che si dilata nella loro fecondità, essi esprimono il loro essere di persona, realizzano la comunione delle loro persone e sono l’immagine vivente, incarnata nella carne, della comunione delle Persone divine, anche nella comunione dei corpi” (Yves Semen, La sessualità secondo Giovanni Paolo II, ed. San Paolo, 2005, pp. 86).

L’uomo e la donna nella coppia - in conclusione - sono dono l’uno per l’altra, e questo essere dono si realizza solo nella complementarietà, nella differenza; è mediante il dono e la comunione dei corpi che l’uomo e la donna sono immagine di Dio, ed è in questa comunione, nell’unità nuziale, unità sponsale, “una caro”, che la Creazione, l’opera divina, trova il suo compimento e la sua pienezza.

Ma se è vero, come è vero, che nell’unità sponsale uomo-donna, si riflette l’immagine di Dio, corollario ne è che la sorgente di questa luce è Dio, noi ne siamo solo il riflesso; se la sorgente viene rifiutata, come è successo con il peccato originale, allora l’immagine e somiglianza svanisce, lo specchio riflettente, che siamo noi, viene frantumato e l’immagine viene riflessa solo in modo “sgrammaticato”, come insegna il Prof. Don Francesco Pilloni, docente all’Istituto Giovanni Paolo II di Roma.

Il progetto del matrimonio è disgregato dal peccato e ha bisogno di redenzione, di essere ricondotto al suo progetto originario.

E come Dio opera a tal fine? Con il sacramento del matrimonio e la grazia santificante dello Spirito Santo effuso su di esso.

Con la sua grazia sacramentale, Gesù ricopre l’unione uomo donna, che all’origine fu distorta e compromessa dal peccato originale e ci dona la possibilità di ricomporre con il nostro sì rinnovato ogni giorno, l’immagine di Dio nella nostra vita.

L’amore divino diventa allora modello per l’amore umano. Quest’ultimo è immagine del primo e ne acquisisce tutte le caratteristiche: amore fedele e coerente che non conosce pentimento o interruzione. Lo Spirito Santo, trasformando il patto coniugale naturale in sacramento, ha immerso la fedeltà naturale degli sposi in quella di Cristo, trasformandola e rendendola capace di diventare profezia, cioè ad essere immagine vivente della fedeltà dell’amore divino verso ogni essere umano: cioè della sua misericordia (Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 2365).

Come Dio resta fedele e coerente all’amore che nutre per ogni creatura umana, nonostante la presenza in essa del peccato, così l’amore dei coniugi è teso a conservarsi intatto anche fra le tensioni, gli attriti, le incomprensioni, le liti, le divergenze di vedute.

Ecco, allora, che alla luce della verità della fede, il sacramento del matrimonio si propone come la possibilità per la coppia di essere redenta, ricostituendo in essa quell’immagine di Dio originariamente perduta.

Qualsiasi legge sul divorzio, allora, anche “breve”, non rappresenta un “attacco alla famiglia” – come pur è stato detto dai commentatori di orientamento cattolico -, ma evidenzia ancor più la differenza tra il matrimonio civile - patto coniugale naturale, semplice giuramento tra un uomo e una donna - da una parte, e l’“una caro”, il sacramento del matrimonio, dall’altra.

Se quest’ultimo è una tensione all’unità, una vocazione, necessariamente non può che perdurare per tutta la vita.

Dio concede agli sposi cristiani tutto il tempo necessario, tutta la vita, per poter attuare quella tensione all’unità, all’“una caro”, trascritta fin dalla creazione nel cuore dell’uomo e della donna, e non sarà certo la Camera a poter ridurre a soli sei mesi la possibilità di provare fino alla fine e di riuscirvi. è tuttavia doloroso costatare come divenga sempre più ampia la frattura fra il diritto naturale e quello civile e fra questo e il diritto canonico, perché la legge umana suggerisce un costume e favorisce una mentalità nel popolo, che viene così trascinato sempre più lontano dal cuore e dalle sue esigenze affettive fondamentali.

D'altro canto, viene agevolata la provvisorietà e l'instabilità delle relazioni umane primarie che porta nel cuore dei figli e conseguentemente della società un effetto simile a quello di un terremoto o di una tromba d'aria.

Certamente questa nuova legge costituisce un'occasione di responsabilizzazione per quanti amano pensare che quando una persona cara dice "Ti amo" non dica poi:"per sei mesi,un anno o tre anni",ma sottintenda:"per sempre".

Paola Marino

Livia Belcamino