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LUCA 10,29-37: Il Samaritano

Redazione · 10 anni fa

LUCA 10,29-37: Il Samaritano

La parabola è narrata dal punto di vista del ferito, l’occhio della telecamera narrativa è orientata su di lui e mira a far scattare il meccanismo della IDENTIFICAZIONE. Balza subito agli occhi, pertanto, la forte tensione descrittiva, creata dalla situazione dell’uomo contuso (è a terra, ferito, mezzo morto).

L’unica speranza, per lui, è che per quella strada, poco transitata, probabilmente buia (condizioni favorevoli per il brigantaggio), si trovi a passare qualcuno, entro il poco tempo a disposizione. Tale situazione suscita, inevitabilmente, nel lettore, emotività, ansia, suspance .

“ Per caso un sacerdote scendeva per quella medesima strada” (v 31a).

Descritta così la situazione di partenza, il sopraggiungere del sacerdote non può che creare un senso di speranza, un barlume di luce, accentuati dal verbo all’imperfetto (scendeva) che fa sostare, per qualche istante, l’obiettivo su di lui, presentandoci un’azione distesa e prolungata , quasi a “rallentatore”. - Si ha, dunque, tutto il tempo di prendere in seria considerazione la possibilità che si fermi a soccorrerlo.

“Quando lo vide, passò oltre dall’altra parte” (v31b).

La speranza, non appena delineatasi, si dissolve bruscamente. Ciò è amplificato dai verbi aoristo (lo vide…passò…..) che, al contrario dell’imperfetto, presentano un’azione puntuale, cronometrica e tempestiva. L’uomo di Dio, imprigionato nell’osservanza esteriore del culto e del tempio, trascura la misericordia e la compassione.

Il medesimo succedersi di speranza e delusione, si ripete, con la sequenza, perfettamente parallela, del Levita. “Invece un samaritano, che era in viaggio, passandogli accanto, lo vide e ne ebbe compassione” (v32).

Inaspettatamente appare sulla scena in Samaritano. L’ultima speranza per il pover uomo è ormai quello straniero, quel “nemico”: l’unica sua possibilità di salvezza è che quell’uomo non tenga conto della barriera etnico-religiosa e abbia pietà. E così avviene.

La sua azione è descritta con verbi che grondano di luce, di umanità.

Dieci verbi, una sorta di decalogo, quasi 10 comandamenti che ci insegnano la grammatica dell’amore, la pedagogia della vera fraternità.

1. Lo vide. Accorgersi dell’altro, percepirne i bisogni, essere attenti alle loro domande di aiuto.

2. Ebbe compassione. La compassione non è il compatimento o un sentimentalismo sdolcinato o pura emotività, bensì cum patire, fremito di viscere materne. Non è spontaneo fermarsi, la compassione non è un istinto naturale, ma una conquista! Quando San Francesco bacia il lebbroso, non lo fa perché ne è attratto, ma perché il malato ha bisogno di quel bacio per cominciare a guarire.

3. Si avvicinò. Accostarsi, farsi vicini, sentirne l’odore.

4. Fasciò. Avvolgere, medicare le ferite, con delicatezza e tenerezza.

5. Versò. Effondere, spargere, elargire cure, consolazione e speranza.

6. Caricò. Farsi carico, assumere, prendere su di se.

7. Portò’. Accompagnamento, stare accanto, camminare insieme.

8. Si prese cura. Amore costante, continuativo, instancabile. Non dunque un’azione sporadica o occasionale ma uno stile di amorevolezza.

9. 10. Tirò fuori. Salderò. Un amore che si fa gratuità, dono, condivisione. La vita dell’altro è per me, preziosa. Il capitale umano vale più della moneta. Le relazioni di fraternità più della ricchezza individuale.