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Vita diocesana

Identità, territorio ed appartenenza: un incontro a Nocera Terinese

Paolo Emanuele · 10 anni fa

Identità, territorio ed appartenenza: un incontro a Nocera Terinese

di Armido Cario

La Scuola di Dottrina sociale, attivata dalla Diocesi di Lamezia Terme, realizza nei territori la missione evangelica, descritta nella parabola del seminatore: il Verbo, attualizzato nella Dottrina Sociale della Chiesa è “il seme buono caduto in un buon terreno”, ossia tra «coloro i quali, dopo aver udito la parola, la ritengono in un cuore onesto e buono, e portano frutto con perseveranza» (Lc. 8, 15). In questi scopi si condensa e prende significato l’educazione dei laici chiamati, al pari dei consacrati ed in virtù della loro fede in Cristo, ad evangelizzare mediante l’impegno nella società, nella politica, nell’economia. Indicazioni pastorali, pienamente realizzate dalla sezione nocerese della Scuola. Il 19 febbraio scorso, l’auditorium parrocchiale “San Giovanni Bosco” ha ospitato un incontro, inserito nel programma dell’anno pastorale 2014–2015. Ad introdurre la lezione, curata dall’operatore culturale Gennaro Di Cello, il vescovo Cantafora e don Fabio Stanizzo, Direttore della Scuola e dell’Ufficio diocesano per i Problemi Sociali, il Lavoro, la Giustizia e la Pace. Di Cello è un professionista del sociale: già presidente della Cooperativa “InRete” e attuale presidente di Arci Calabria, si è distinto in progetti per la gestione di beni comuni. Notevole la presenza di fedeli e parroci, provenienti dalle diverse parrocchie della Forania di Nocera. Tema della serata: “Non c’è identità senza appartenenza. Il ruolo del territorio”. La riflessione ha preso le mosse dal Vangelo di Marco, segnatamente dall’inciso che esorta il credente a mettere in pratica la Parola: infatti, colui che ascolta e agisce secondo l’Evangelo pone le fondamenta della propria “casa” sulla roccia (Mc. 6, 46–49), facendosi testimone di Cristo di fronte alla collettività. Infatti, Dio redime in Cristo non soltanto «la singola persona ma anche le relazioni sociali tra gli uomini», facendo emergere non solo l’uomo nuovo ma la nuova «identità e socialità della persona», imponendo alla comunità cristiana di realizzare la “trasformazione dei rapporti sociali” secondo prassi ispirate al Vangelo (Compendio della Dottrina Sociale della Chiesa, par. 52 seg.). Illuminante, in tal senso, il magistero di Papa Francesco, segno di una Chiesa dialogante e radicata nella quotidianità dell’uomo: «Essere cittadini significa essere convocati per una scelta, chiamati a una lotta, a questa lotta di appartenenza a una società e a un popolo» (Noi cittadini, noi come popolo, 2013). Parole che il Santo Padre espresse in occasione del bicentenario dell’indipendenza argentina, cinque anni fa: secondo il Pontefice, il concetto di “persona sociale” è il principio su cui deve fondarsi sia l’idea di popolo che il processo d’integrazione. «Quest’idea di cittadinanza e di popolo – afferma Di Cello, mutuando l’espressione di Sua Santità – rappresenta il nucleo, la radice della responsabilità solidale, civile e democratica»: una responsabilità che si realizza e trova compimento nel «protagonismo diffuso degli attori sociali». Protagonismo reso indispensabile dalla contrazione del welfare pubblico, che chiama i cittadini, le comunità e gli attori sociali a nuove responsabilità. L’identità, infatti, non si declina esclusivamente nella specificità individuale ma nel riferimento al territorio, nel legame positivo di appartenenza, «che riconosce e si riconosce in valori comuni e nella volontà condivisa di preservarli». L’identità è un “bene collettivo complesso”, che racchiude in sé il genius loci, quell’autenticità che connota radicalmente l’ambiente e la comunità. Alla base vi è, quindi, una rinnovata concezione, un rapporto armonico tra l’esistente e l’intervento umano, tra l’identità, le tradizioni e le esigenze collettive: armonia che può sintetizzarsi nei principi della crescita sostenibile. Crescita realizzabile attraverso una presa di coscienza delle popolazioni: occorrono «comunità operose e responsabili che sappiano auscultare il genius loci», tutelando le qualità e la natura profonda del territorio. Ciò consentirebbe al territorio stesso di esprimere la sua vocazione, producendo non solo sviluppo ma diffuso benessere.