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La parola del Vescovo

Chiesa senza frontiere

Paolo Emanuele · 10 anni fa

Domenica 18 gennaio nella Chiesa di S. Maria Goretti, il Vescovo ha celebrato la Giornata Mondiale dei Migranti, di fronte a un nutrito gruppo di immigrati cristiani provenienti dal Mediooriente, dall’Africa, dalla Polonia, dall’America Latina e dall’Asia. Di seguito le parole del Vescovo.

Ecco l’Agnello di Dio… E i due discepoli seguirono Gesù».

Carissimi, celebriamo la seconda domenica del tempo ordinario e la liturgia ci presenta ancora la figura del Battista nell’atto di indicare Gesù, l’agnello di Dio. Il Battista, figura carismatica, era seguito da un gruppo di discepoli. Il suo annuncio era proteso a preparare la via al vero Rabbì, a Gesù che viene indicato come “agnello di Dio”. Giovanni Battista è l’uomo della gratuità: spende tutta la sua vita per preparare la via a Gesù. Questo ministero ci fa cogliere in lui l’uomo del dialogo e dell’incontro: austero nella vita, forte nella predicazione, pronto a dedicare tutta la sua esistenza per far conoscere Gesù, l’atteso delle genti. Il Vangelo di Luca racconta che tanti andavano da Giovanni per ascoltare la sua predicazione e farsi battezzare in vista del perdono dei peccati. Giovanni è fermo, autorevole nella verità che proclama e allo stesso tempo mite nell’accogliere la presenza di un Altro: Gesù. Giovanni arretra, diminuisce e Gesù avanza. L’obiettivo si sposta così verso Gesù che educa i suoi primi discepoli: «Maestro, dove abiti? Venite e vedrete!». Non possiamo seguire Gesù senza un atto di fiducia, di fede. Dove abita il Signore? La risposta non è semplice, perché potremmo dire in modo sbrigativo che Dio abita nel tempio. Ma basta questo? Dio abita dove c’è un uomo o una donna disposti a seguire Lui, la sua parola, la sua missione. Dio abita dove c’è la pace e non la divisione, dove c’è la concordia e non la discordia.

L'autentica adorazione di Dio porta non alla discriminazione, all'odio e alla violenza, ma al rispetto per la sacralità della vita, al rispetto per la dignità e la libertà degli altri e all'amorevole impegno per il benessere di tutti», ha detto Papa Francesco nello Sri Lanka. Oggi celebriamo la giornata mondiale del Migrante e del Rifugiato. Le parole del papa risuonano fortemente nei nostri cuori, disorientati, attraversati da tante domande e perché. L’ondata di violenza che continua a scatenarsi nel mondo ci lascia attoniti ed è richiesto a noi credenti un atteggiamento nuovo, “materno”. “Chiesa senza frontiere, Madre di tutti”, questo lo slogan scelto per questa giornata. La chiesa è veramente Madre quando accoglie tutti come figli, ma anche quando presenta la verità. Una madre è tale non solo perché accoglie e ama, ma perché amando educa i suoi figli al vero e al bene.

Davanti al diffuso e crescente fenomeno dell’immigrazione, dovuto a tante cause, noi –sebbene impotenti - non possiamo, però, restare indifferenti, spettatori passivi. Lamezia è la città più multietnica della nostra Regione; nella sua povertà è terra di transito, ma anche terra accogliente dove, tra poveri ci si può aiutare a vivere nel rispetto di ciascuno, delle differenze culturali e religiose. Cito per questo ancora Papa Francesco: «Per vivere in armonia con i loro fratelli e sorelle, gli uomini e le donne non devono dimenticare la propria identità, sia essa etnica o religiosa» perché, anche se il «dialogo farà risaltare quanto siano diverse le nostre credenze, tradizioni e pratiche», questo non farà che incrementare la consapevolezza di «quanto abbiamo in comune».La Chiesa, che è maestra di vita sa bene quanto sia difficile questo dialogo, questo rispetto delle differenze. Tant’è vero che subito dopo Natale, l’incanto del presepe viene subito spezzato con la storia del martirio di Stefano. Il prezzo del martirio è il prezzo della fraternità che viene riconquistata non rispondendo al sangue, versato a causa della violenza, col sangue, ma con l’offerta di cristiani, credenti che, giorno dopo giorno, imparano a vivere, con-vivere, apprezzare l’altro, semplicemente perché è fratello. «Le guerre, le ostilità, l’intolleranza, nascono dall’incapacità di riconciliare le diversità e le discordie, antiche o nuove che siano. Questo ha fatto sorgere tensioni etniche e religiose, accompagnate frequentemente da esplosioni di violenza», ha detto ancora Papa Francesco nel viaggio ancora in corso (Sri Lanka). La sfida di ogni tempo e quindi anche di questa fase storica sarà dunque quella di formare coscienze in grado di comprendere sempre la sacralità della vita. Il lavoro paziente da compiere è di tipo educativo e chiede di far entrare nel cuore di tutti e in particolare delle nuove generazioni, il senso della giustizia e il rispetto della dignità della persona umana in quanto tale. Imparare a rispettare le idee altrui, a combattere col diritto le parole irriverenti, a non cedere all’uso della violenza, sono percorsi da intraprendere e mai conquistati del tutto. Evidentemente i conflitti mondiali del ‘900 non sono bastati per spiegare che la violenza è sempre via miope, cieca e senza sbocco per l’avvenire. Solo il coraggio della fede, della speranza e della carità permette di ridurre le distanze che separano dai drammi umani, ha ricordato ancora il Santo Padre nel suo messaggio per questa giornata. Dove abita Dio? Ci chiedevamo all’inizio di questa omelia. Dio abita negli operatori di pace. Tutti siamo chiamati ad essere e diventare operatori di pace. Occorre passare «da un atteggiamento di difesa e paura, di disinteresse o di emarginazione… ad un atteggiamento che abbia alla base la cultura dell’incontro».«Venite e vedrete!» Allora gli uomini riconosceranno che qui, in mezzo a noi, abita Dio. Amen