·

Il Vangelo della domenica

Riflessione sulla Liturgia della prima Domenica di Avvento

Paolo Emanuele · 10 anni fa

Con l’inizio dell’Avvento, la Chiesa celebra nella sua liturgia come una stagione di attesa, di riflessione e di speranza. Alla venuta di Cristo nella storia con l’incarnazione farà seguito il suo ritorno glorioso al termine del tempo presente, ma tra il primo e il definitivo suo avvento Egli non cessa di venire spiritualmente nell’esistenza di ogni credente. Verrà, poi, per ciascuno nell’ora della morte.

La vita del cristiano, perciò, è attesa del Signore che sta per venire per il giudizio. Egli è già venuto con la sua grazia e la sua misericordia, con il dono del suo Santo Spirito per la nostra santificazione. Il cristiano in questa vita deve fare una sola cosa: preparare l'incontro con il Suo Dio, predisporsi al rendimento dei conti in ordine all'amministrazione dei beni ricevuti mediante l'ingresso nella santissima fede. Si comprende allora come sia essenziale preparare questo incontro, dal quale dipende la nostra sorte eterna, il paradiso o l'inferno. Dio è fedele e vuole la nostra perseveranza nel suo amore e nella sua grazia, ma l'uomo può anche essere infedele e quindi cadere dalla fede e dall'amore e ritornare già in questa vita nelle tenebre del male e nel buio del peccato. Il cristiano è l'uomo dell'attesa, mentre attende si santifica. Il Signore ritarda il suo avvento perché noi ci possiamo convertire e santificare, possiamo crescere nel suo amore e nella sua verità. è questo l'avvento della vita, quello liturgico è solo propedeutico all’avvento finale del Signore che viene per giudicare il mondo. Perciò la parola centrale del Vangelo della prima domenica di Avvento diventa la parola “Vegliate”: “Vegliate perché non sapete quando il padrone di casa ritornerà”. “Siate attenti, vegliate, perché non sapete quando sarà il momento preciso” (Mc 13,35.33). Difatti, nessuno sa quando il Signore viene, per questo è necessario essere vigilanti, pronti, compiere il cammino della propria santificazione. Poiché nessuno conosce e sa quanto tempo il Signore ci concede, ogni giorno deve essere un giorno di crescita nella propria santificazione, facendo della carità la strada della propria esistenza e della sapienza la via per il raggiungimento del Regno dei cieli. L’aver perso il senso dell'attesa e dell'incontro ha fatto sì che l'uomo perdesse anche il senso di quella perfezione che è necessaria per entrare nel Regno di Dio. L’Avvento deve suscitare nei cuori il senso dell’attesa, dell’incontro finale con il Signore, dell’appuntamento definitivo con il Giudice dei vivi e dei morti, con il Signore della storia. Il Signore verrà per chiamare ogni uomo al suo cospetto e sottoporlo al suo giudizio infallibile; verrà per mostrare tutta la sua misericordia e tutta la sua giustizia. Per questo occorre vegliare, stare attenti, compiere il viaggio verso il Regno, operando la nostra santificazione, attuando la nostra perfezione nell’amore verso il Signore. Solo un forte amore per Lui ci libererà dalla tentazione che con prepotenza vorrà ricondurci alla terra, per incatenarci nuovamente alle schiavitù di questo mondo. La non elevazione in santità ci rende vulnerabili alla seduzione, ai suoi piaceri e alle sue concupiscenze; da qui la necessità di crescere nell’amore per Gesù, giorno per giorno. Può vegliare colui che fa del Signore l’unico oggetto dei suoi desideri, del suo cuore, della sua mente, della sua volontà, della sua coscienza, di tutto il suo essere. Quando questo amore è divenuto l’essenza della nostra vita, allora né persone, né cose, né beni spirituali potranno separarci dal Signore che con potenza abita nel nostro cuore. L’amore puro e santo per Lui diventa per noi scudo e dardo contro la seduzione e le concupiscenze di questa vita. Con esso nel cuore si può vegliare, si può attendere santamente il giorno della sua manifestazione di salvezza.

Dio, difatti, da sempre desidera la salvezza di ogni uomo, come il profeta Isaia ribadisce nella prima lettura: “Da sempre ti chiami nostro redentore” (Is 63,16). In più, il profeta, nel medesimo brano, esprime il desiderio che travaglia più profondamente lo spirito umano: “Se tu squarciassi i cieli e scendessi!... Davanti a te sussulterebbero i monti” (Is 63,19). è un grande grido dell’anima umana. Un grido perenne. Questo desiderio dirige l’uomo verso l’Avvento definitivo.

Nella seconda lettura, tratta dalla Prima Lettera dell’apostolo Paolo ai Corinzi, si parla dell’Avvento che si è già compiuto come “grazia che ci è stata data – a noi uomini – in Cristo Gesù”. In Lui “siamo stati arricchiti di tutti i doni: nessun dono di grazia ci manca”. Al tempo stesso siamo tuttora in attesa della “manifestazione del Signore nostro Gesù Cristo” (cf. 1Cor 1,4.5.7).

L’Avvento della nuova alleanza rende testimonianza a ciò che è già stato compiuto, a Colui che già si “è fatto carne” e nello stesso tempo in modo nuovo ci prepara ancora alla venuta del “giorno del Signore nostro Gesù Cristo”(cf. 1Cor 1,8). All’ultimo giorno. Viviamo dunque tra un “già” e un “non ancora”. Contemporaneamente l’Apostolo sottolinea che Dio, il quale ci ha chiamati alla comunione con suo Figlio, “è Dio fedele” (cf. 1Cor 1,9).

Si può dire, ritornando alle parole di Isaia, che egli “ha già squarciato i cieli ed è sceso” (cf. Is 63,19), e contemporaneamente che, nella comunione con Lui, noi aspettiamo ancora l’Avvento definitivo: il definitivo squarciarsi dei cieli alla fine del mondo.