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Chiesa

Rifondare la politica

Paolo Emanuele · 10 anni fa

Cari Confratelli, sono lieto di dare avvio ai lavori della nostra Assemblea Generale nella città di San Francesco, dove ci accoglie il Pastore della Chiesa di Assisi, S.E. Mons. Domenico Sorrentino, e ci ospitano i Frati Minori, che ringraziamo per la cordiale fraternità. A loro, come a tutte le religiose, i religiosi e i consacrati, va il nostro pensiero grato e sin d’ora la nostra preghiera per l’ormai imminente Anno della vita consacrata, che prenderà il via con la veglia di preghiera in Santa Maria Maggiore a Roma il prossimo 29 novembre. Come ha detto Papa Francesco, che ha indetto questo speciale tempo di grazia: “Le persone consacrate sono segno di Dio nei diversi ambienti di vita, sono lievito per la crescita di una società più giusta e fraterna, sono profezia di condivisione con i piccoli e i poveri. Così intesa e vissuta, la vita consacrata ci appare proprio come essa è realmente: è un dono di Dio, un dono di Dio alla Chiesa, un dono di Dio al suo Popolo! Ogni persona consacrata è un dono per il Popolo di Dio in cammino. C’è tanto bisogno di queste presenze, che rafforzano e rinnovano l’impegno della diffusione del Vangelo, dell’educazione cristiana, della carità verso i più bisognosi, della preghiera contemplativa; l’impegno della formazione umana, della formazione spirituale dei giovani, delle famiglie; l’impegno per la giustizia e la pace nella famiglia umana. Ma pensiamo un po’cosa succederebbe se non ci fossero le suore negli ospedali, le suore nelle missioni, le suore nelle scuole. Ma pensate una Chiesa senza le suore! Non si può pensare: esse sono questo dono, questo lievito che porta avanti il Popolo di Dio. Sono grandi queste donne che consacrano la loro vita a Dio, che portano avanti il messaggio di Gesù” (Angelus, 2.2.2014). Salutiamo anzitutto il Nunzio Apostolico in Italia, l’Arcivescovo Adriano Bernardini, riconoscenti per la premura con la quale si rende presente a questo nostro incontro. Insieme a lui, diamo il benvenuto agli invitati – presbiteri, consacrati, laici – che partecipano ai nostri lavori. Accogliamo con un abbraccio fraterno gli Ordinari di più recente nomina, entrati a far parte della nostra Conferenza Episcopale: Salutiamo con affetto i Confratelli che in questo ultimo periodo hanno lasciato la guida pastorale delle loro Chiese, ringraziandoli per la generosa dedizione al ministero episcopale: Una parola di speciale gratitudine sentiamo di doverla esprimere a Card. Gualtiero Bassetti, Arcivescovo di Perugia - Città della Pieve, che conclude il mandato quinquennale di Vice Presidente della nostra Conferenza, al quale ha adempiuto con saggezza e competenza. Affidiamo infine alla misericordia del Signore i Vescovi che hanno concluso il loro pellegrinaggio terreno. Il Sinodo, evento di grazia1. Si è da poco concluso il Sinodo Straordinario che ha avuto come tema “Le sfide sulla famiglia nel contesto dell’Evangelizzazione”. Ne è stata celebrata la prima fase che vedrà – tra un anno – la continuazione nel Sinodo Ordinario: alla fine tutto verrà consegnato nelle mani del Santo Padre e al suo Ministero Petrino. Ringraziamo il Papa per questa occasione di grazia, sia per i Padri Sinodali provenienti da tutte le parti della Terra, gli esperti, uditori e Delegati fraterni, sia per la Chiesa intera, chiamata prima ad una generale consultazione ed ora alla riflessione sulla Relatio Synodi. Alcuni di noi – a diverso titolo – hanno avuto il dono di parteciparvi: nei nostri cuori porteremo per sempre l’eco del mondo. Da ogni dove è risuonata la bellezza e l’importanza irrinunciabile del Vangelo del Matrimonio e della Famiglia, patrimonio e cellula dell’umanità, costituita da un uomo e da una donna nel totale dono di sé; Chiesa domestica, grembo della vita, palestra di umanità e di fede, soggetto portante della vita sociale. Essa è sorgente di futuro. Per questo è irresponsabile indebolire la famiglia, creando nuove figure – seppure con distinguo pretestuosi che hanno l’unico scopo di confondere la gente e di essere una specie di cavallo di troia di classica memoria – per scalzare culturalmente e socialmente il nucleo portante della persona e dell’umano. L’amore non è solo sentimento – è risuonato nell’Aula sinodale – è decisione; i figli non sono oggetti né da produrre né da pretendere o contendere, non sono a servizio dei desideri degli adulti: sono i soggetti più deboli e delicati, hanno diritto a un papà e a una mamma. Il nichilismo, annunciato più di un secolo fa, si aggira in Occidente, fa clima e sottomette le menti: “Manca lo scopo – scriveva Nietzsche –, manca la risposta, tutti i valori si svalutano” (Frammenti postumi 1887-88, in Opere, vol. III). A che cosa appigliarsi? Se manca lo scopo ideale, non si può rispondere alla domanda radicale, che, prima o dopo, emerge nel cuore di tutti: “Perché sono al mondo? Che senso ha la mia vita? Che cosa sto facendo?”. Potrebbe essere, questo fantasma nichilista, un pungolo salutare per concentrare attenzione, sprigionare energie nuove, non essere dispersivi? 2. La nostra ammirazione e la nostra gratitudine vanno alla moltitudine di famiglie che – nella fedeltà dei giorni e degli anni – con la grazia del sacramento e la fatica quotidiana custodiscono e fanno crescere la loro “comunità di vita e d’amore” (cfr Messaggio finale del Sinodo). Abbiamo sentito anche l’eco delle famiglie fragili e ferite: “La Chiesa, in quanto maestra sicura e madre premurosa, pur riconoscendo che per i battezzati non vi è altro vincolo nuziale che quello sacramentale, e che ogni rottura di esso è contro la volontà di Dio, è anche consapevole della fragilità di molti suoi figli che faticano nel cammino della fede” (Relatio Synodi, n. 24). Anche a loro, e alla prassi sacramentale dei divorziati e risposati, il Sinodo ha pensato con quella cura pastorale che vuole rispecchiare l’esempio di Cristo. Concorde è risuonata la necessità di una educazione affettiva incisiva, come di una preparazione al matrimonio più adeguata che aiuti innanzitutto a riscoprire la fede: da tutte le parti del mondo è giunta una testimonianza di sostegno alle famiglie attraverso gruppi di preghiera e di scambio, di reti nazionali e internazionali che chiedono che la famiglia sia riconosciuta come interlocutore sociale autorevole. Interlocutore che nessuno deve scavalcare. Una società che ascolta seriamente la realtà familiare, tra l’altro, ha stabilità e futuro. Ovunque, le difficoltà economiche – a volte al limite della miseria – incidono, infatti, sulla tenuta del nucleo familiare. Anche per questo i Padri hanno richiamato con forza la necessità di ulteriori sforzi perché la piaga della povertà venga superata e sia stabilmente rimossa. Lo Spirito Santo, costantemente invocato, ha ispirato quel clima di franchezza e di umiltà che il Santo Padre ha fin dall’inizio raccomandato. Il Sinodo è stato così un’esperienza di comunione e di collegialità, nella rinnovata coscienza che “nonostante i tanti segnali di crisi dell’istituto familiare nei vari contesti del ‘villaggio globale’, il desiderio di famiglia resta vivo, in specie tra i giovani, e motiva la Chiesa, esperta in umanità e fedele alla sua missione, ad annunciare senza sosta e con convinzione profonda il ‘Vangelo della famiglia’che le è stato affidato con la rivelazione dell’amore di Dio in Gesù Cristo, ininterrottamente insegnato dai Padri e dai Maestri della spiritualità e dal Magistero della Chiesa” (Relatio Synodi, n. 2). La conclusione del Sinodo ha felicemente coinciso con la beatificazione di Paolo VI, la cui figura di “grande timoniere” non cessa di affascinare e di suscitare gratitudine, specialmente per la Chiesa italiana, che dal grande Pastore di origine bresciana ebbe impulso e sostegno, in particolare per la costituzione della Conferenza Episcopale italiana. La visita a Gaza 3. Penso che sia doveroso un accenno alla recente visita a Gaza che la Presidenza ha compiuto su invito del Patriarca Latino di Gerusalemme. Abbiamo volentieri risposto per portare la vicinanza e l’affetto della nostra Conferenza ad una terra che è benedetta da Dio, ma che è paradossalmente tormentata da divisioni e conflitti. Commossi, su ogni volto abbiamo scorto il desiderio di giustizia e di pace. I nostri fratelli di fede contano sulla solidarietà delle nostre Chiese, ci chiedono di portarli nella preghiera, di tener viva l’attenzione della Comunità internazionale perché i gravissimi problemi, che causano migliaia di vittime e di sofferenze, siano risolti in modo equo e definitivo nel rispetto dei diritti, nella sicurezza e nella pace per tutti. Respirare nella costante paura e nella continua incertezza non è vivere. Si possono facilmente ricostruire le città e i villaggi, ma è più difficile riconciliare la memoria e le coscienze. Isolare gli estremisti è interesse comune, e la via della moderazione e del dialogo è spesso lunga e con esiti alterni, ma è la vera alternativa alla via della violenza. In questa situazione, abbiamo visto brillare – soprattutto sui volti dei moltissimi ragazzi e giovani – la voglia di una vita diversa, di abitare non solo le case, ma il futuro. È sconcertante, inoltre, toccare con mano il pervicace progetto di eliminare la presenza cristiana dalla Terra Santa come da altre regioni sia del Medio Oriente che dei Balcani e della Terra, attraverso una persecuzione a volte evidente e brutale – un esempio recente e raccapricciante è accaduto in Pakistan –, altre volte subdola e mascherata, ma non per questo meno violenta. Ciò è inaccettabile non soltanto per la coscienza cristiana, ma anche per la coscienza civile, che usa affermazioni altisonanti sui diritti umani, ma che finge di non vedere e tace di fronte ai crimini che continuano a danno dei cristiani e di altre minoranze. Forse che i cristiani sono una presenza scomoda per progetti culturali e politici, per interessi economici e finanziari? È forse questa la vera ragione di tanta connivenza internazionale? Noi non possiamo tacere: le comunità cristiane di tutto il mondo leveranno la voce come un’onda contro questa ingiustizia che sa di genocidio, e che raggiunge l’abiezione di crimine contro l’umanità. È una sconfitta non di una parte, ma dell’intera civiltà. Una forma concreta di sostegno richiestaci dai nostri fratelli nella fede, è quella di andare nella terra di Gesù: la presenza dei nostri pellegrinaggi è per i cristiani importante e confortante, li incoraggia e li sostiene, mentre noi siamo confermati nella fede dal loro esempio. La vita e la formazione del Clero4. Tra poco affronteremo il tema centrale della nostra Assemblea straordinaria: la formazione e la vita del Clero. Da tempo abbiamo desiderato metterci idealmente attorno al tavolo di casa e, come si fa in famiglia, aprire l’anima, comunicarci gioie e preoccupazioni, esperienze e proposte, pensando a coloro che hanno il primo posto nel nostro cuore di Pastori, i nostri Sacerdoti, primi collaboratori ed amici. Le difficoltà derivanti dalla diminuzione del clero o da altre situazioni dolorose le conosciamo, e le affrontiamo con la nostra responsabilità di Pastori; ma ciò non offusca per nulla la realtà del nostro clero che si dedica al proprio ministero accanto alla gente con ammirevole generosità. I poveri e i bisognosi, le famiglie e gli anziani, il mondo dei ragazzi e dei giovani sono la loro famiglia. Sappiamo che il sacramento dell’Ordine fa di ogni Vescovo una cosa sola con i suoi presbiteri, e di essi con il proprio Vescovo (cfr Sant’Ignazio di Antiochia, Lettera ai Cristiani di Efeso, IV). Si potrebbe dire che il Vescovo “appartiene” ai presbiteri e i presbiteri “appartengono” al Vescovo, tanto che stessa la missione ecclesiale è sempre un’azione collegiale, mai solitaria. La profonda ragione di questo legame non è dunque di ordine umano, non si basa su simpatie o sintonie di tipo emotivo, culturale, pastorale: è un legame di natura sacramentale, è ciò che lo Spirito ha fatto di noi toccando in profondità il nostro essere di uomini e di figli di Dio, configurandoci in modo singolare e unico a Gesù Capo e Pastore, Sacerdote e Sposo della Chiesa. Il sacramento ricevuto è pertantofondamento generativo del nostro ministero e della nostra fraternità. Ogni altro legame si radica su questo e lo esplicita per il bene delle anime, “gloria di Dio”, scopo del ministero come di tutta la missione della Chiesa (cfr Concilio Vaticano II, P.O. 2). È innanzitutto in questa comunione che si misura la capacità di relazione di ogni presbitero, capacità oggi tanto più importante in quanto respiriamo una cultura che parla di rapporti ma respinge i legami, in quanto li considera mortificanti dell’autonomia individuale, anziché spazio di libertà; si respira, infatti, un clima per cui l’individuo è norma a se stesso, in una crescente allergia alle regole. Il fondamento ontologico sacramentale – conseguenza della chiamata d’amore di Cristo e all’amore di Cristo – assume ogni singola umanità con le sue storie e ferite, le porta a conoscenza, le valuta e le cura con l’aiuto della grazia, dell’accompagnamento, della vita spirituale, della fraternità responsabile. Ciò avviene nella consapevolezza delle opportunità e delle difficoltà del tempo presente, dal quale veniamo, nel quale viviamo e al quale siamo inviati come ministri del Signore. In questo contesto, è doveroso che i documenti autorevoli del Magistero, nonché quelli normativi della nostra Conferenza, siano meditati e seguiti puntualmente da ogni Seminario, per il maggior bene dei seminaristi e del Clero, oltre che comeespressione effettiva della comunione ecclesiale. 5. Di fronte all’ora presente non ci lasciamo andare alla tentazione del lamento o del pessimismo, e neppure della ingenuità acritica, così come esorta il Santo Padre parlando ai Vescovi del Brasile: “Non bisogna cedere alla paura (…). Non bisogna cedere al disincanto, allo scoraggiamento, alle lamentele”. Noi non siamo qui per questo, e prendiamo seriamente quanto lo stesso Pontefice ha detto in modo magistrale nel medesimo discorso: “È importante promuovere e curare una formazione qualificata che crei persone capaci di scendere nella notte senza essere invase dal buio e perdersi; di ascoltare l’illusione di tanti, senza lasciarsi sedurre; di accogliere le delusioni, senza disperarsi e precipitare nell’amarezza; di toccare la disintegrazione altrui, senza lasciarsi sciogliere e scomporsi nella propria identità. Serve una solidità umana, culturale, affettiva, spirituale, dottrinale” per essere capaci di predicare il Vangelo anche quando è controcorrente rispetto al pensare comune (Papa Francesco, Discorso all’Episcopato brasiliano, Rio de Janeiro, 27.7.2013). Dato che il Figlio di Dio, Verbo Eterno del Padre, incarnandosi ha rivelato ilvolto di Dio e dell’uomo nuovo, è in Lui che ogni Pastore, come anche la fraternità presbiterale e ogni relazione, deve imparare a specchiarsi per misurare la propria maturità umana, cristiana e sacerdotale. In Lui ognuno deve guardarsi nella verità, con fiducia e senza nascondimenti, al fine di integrare la propria affettività nella vocazione ricevuta, di far crescere l’indispensabile capacità di relazione e di collaborazione, di maturare la virtù della fortezza nelle inevitabili tensioni della vita e del ministero, di scoprire che il sacerdote non è un solista del bene, ma un chiamato a vivere la fraternità presbiterale con realismo, accettando le gioie e i limiti che anche le famiglie vivono nel loro interno. Ogni altro ausilio, pur utile o necessario che sia, deve contribuire a questa permanente relazione non solo come intimità di vita, ma anche come criterio di giudizio esigente e pieno di grazia, ricordando la via maestra che il Santo Padre ha richiamato: “Non è precisamente nelle autoesperienze o nelle introspezioni reiterate che incontriamo il Signore: i corsi di autoaiuto possono essere utili, però vivere la nostra vita sacerdotale passando da un corso all’altro, di metodo in metodo, porta a diventare pelagiani, a minimizzare il potere della grazia, che si attiva e cresce nella misura in cui, con fede, usciamo a dare noi stessi e a dare il Vangelo agli altri, a dare la poca unzione che abbiamo a coloro che non hanno niente di niente” (Papa Francesco, Omelia Messa Crismale, Giovedì Santo 2013). A non vivere autoreferenziali, ma a farci dono.A questa Assemblea ci siamo preparati con impegno, in ascolto dei nostri sacerdoti: essi ci hanno dato un prezioso aiuto per i lavori di questi giorni. A loro rinnoviamo gratitudine e affetto, confermando l’impegno ad essere reperibili e vicini con l’ascolto, l’incoraggiamento, la parresia e il sostegno. A nostra volta, sappiamo che la fonte di tale disponibilità nasce da un preciso rapporto con il Signore, come richiamava il Papa ai nuovi Vescovi con parole che vogliamo sentire indirizzate a ciascuno di noi: “Per abitare pienamente nelle vostre Chiese è necessario abitar sempre con Lui e da Lui non scappare. (…) Non fermarsi di passaggio, ma lungamente soggiornare! Come inestinguibile rimane accesa la lampada del Tabernacolo delle vostre maestose Cattedrali o umili Cappelle, così nel vostro sguardo il Gregge non manchi di incontrare la fiamma del Risorto. (…) Imparate il potere umile e irresistibile della sostituzione vicaria che è la sola radice della redenzione” (Papa Francesco, Discorso ai nuovi Vescovi, 18.9.2014). Due appuntamenti6. Non possiamo non guardare con gioia all’avvicinarsi del Convegno Ecclesiale di Firenze, dal 9 al 13 novembre 2015, con la desiderata presenza del Santo Padre. Già ora ringraziamo il Comitato preparatorio per l’intenso lavoro che lo sta impegnando e cha ha portato alla predisposizione della Traccia, che ci sarà presentata in questi giorni. Anche le nostre Chiese stanno lavorando, e questo lavorare insieme è, come sempre, il primo frutto di ogni convenire. Non un lavoro astratto, né un Convegno accademico, noi vogliamo, bensì un incontro pastorale che, alla luce del cambiamento d’epoca in atto, favorisca lo scambio di esperienze, offra indirizzi, confermi orientamenti, avvii processi, affinché la mutazione antropologica registrata con varianti in ogni parte del mondo, possa essere affrontata con l’attrazione della testimonianza e il coraggio della parola che nasce dalla fede e dalla ragione, così come il Sinodo ha ampiamente auspicato. In questa prospettiva, sarà opportuno – se e come lo si deciderà insieme – continuare il lavoro nelle Regioni e nelle Diocesi, tenendo conto che – all’inizio del decennio sull’educazione – abbiamo programmato di porre prevalente attenzione “ad intra” nei primi cinque anni, e “ad extra” in quelli successivi. Uno sguardo lo vogliamo dare anche alla prossima Assemblea di maggio 2015. A distanza di quasi un anno dalla promulgazione dell’Esortazione Apostolica “Evangelii gaudium”, sembra pastoralmente utile e doveroso fare una riflessione sulla sua ricezione nelle nostre Comunità. La parola diretta e calda, concreta e prospettica del Santo Padre ci ha dato criteri e orientamenti, suggerimenti e motivo di meditazione: non possiamo non ritornarci sopra insieme come Pastori della Chiesa che è in Italia. Il Consiglio Permanente, a norma dello Statuto, dovrà fare una valutazione di merito, ma questa potrà essere preparata in seno alle Regioni Ecclesiastiche.Il Paese7. Infine, una parola al Paese e dal Paese. Esso ci sta a cuore come Pastori attenti al bene della gente con la quale condividiamo pesi e preoccupazioni, gioie e speranze. Al Paese diciamo di tenere desta la speranza, di non scoraggiarsi nelle difficoltà persistenti e, per certi aspetti, crescenti come la disoccupazione che non cenna ad invertire la direzione. L’occupazione – nonostante l’impegno dei responsabili – è in discesa. Da quanto ascoltiamo, ci auguriamo che si ragioni non solo in termini di finanza, ma innanzitutto di produzione e sviluppo, assicurando con ogni sforzo che il patrimonio industriale e professionale, di riconosciuta eccellenza, possa rimanere saldamente ancorato in casa nostra. Al riguardo, l’esperienza insegna che non esistono garanzie che tengano. Cresce il fenomeno di coloro che neppure cercano il lavoro, tanto sono sfiduciati: potrebbero giocare, in questo caso, anche elementi soggettivi, ma è fin troppo chiaro che le difficoltà di inserimento appaiono sempre più gravi. Questo fatto – i rassegnati al non lavoro – potrebbe falsare i dati che vengono riportati sul fenomeno stesso della disoccupazione e della inoccupazione. Ma la realtà vera non cambia. Si sta perdendo una generazione. Che cosa sarà di tanti giovani? Quali vie li attendono se sono costretti a rimanere ai bordi di una società che sembra rifiutarli? Quali loschi personaggi – in Italia e altrove – sono pronti a farne scempio per i loro interessi? È questa la globalizzazione? Quella dell’indifferenza, dell’interesse e del malaffare, anziché quella dello scambio virtuoso e di una vita degna per tutti, a partire da chi ha meno o niente? I poveri e i bisognosi – di ieri e di oggi – guardano con terrore una società che corre e si allontana, rispetto alla quale loro non hanno più il passo o non l’hanno mai avuto. La globalizzazione, vera opportunità per culture, risorse, valori, è forse destinata ad arricchire i ricchi e a impoverire i poveri?8. In questo contesto, ancora una parola, che vuole avere il calore di una presenza e di un gesto, torniamo a indirizzarla alle famiglie oggi destinatarie di un primo doveroso sostegno, a cui auspichiamo ne seguano altri. La famiglia – come definita e garantita dalla Costituzione – continua ad essere il presidio del nostro Paese, la rete benefica – morale e materiale – che permette alla gente di non sentirsi abbandonata e sola davanti alle tribolazioni e alle ansie del presente e del futuro. Famiglie, vi ringraziamo a nome nostro, come Pastori, che ben conoscono i sacrifici che fate ogni giorno con dignità ammirevole; vi ringraziamo a nome della comunità cristiana, di cui moltissime di voi sono parte viva e attiva; vi ringraziamo – nessuno si adombri – anche a nome del Paese, perché siete titolo di onore e di speranza per la nostra Terra. Si parla a volte di “familismo” italiano: se gli eccessi non fanno bene in nessuna cosa, il forte senso della famiglia deve renderci fieri in Italia e all’estero.L’apprezzamento e l’impegno per la formazione e la cultura è lodevole e decisivo per una società: e ci auguriamo che prosegua con decisione e concretezza. Desideriamo solo condividere una convinzione che sappiamo essere diffusa: la base della cultura non sono le competenze, che ci sono e sono spesso eccellenti, ma innanzitutto la formazione globale della persona. Il problema non è avere più informazioni, ma provare a fare sintesi. Ci sembra che la scuola sia sempre più tentata dalla sirena tecnologica: naturalmente la sirena canta per bocca e per conto di chi ci specula e arricchisce. I bambini sanno usare i dispositivi tecnologici meglio degli adulti, ma la macchina fornisce dei dati, non insegna a fare sintesi. Per questo a scuola – specialmente quella dell’obbligo – hanno bisogno di adulti che, capaci e appassionati della loro missione, aprono le menti e i cuori alla verità, al pensare, alla sintesi delle conoscenze, delle competenze e delle esperienze. A questa scuola, in tutti i suoi ordini e gradi – come già in piazza San Pietro alla presenza del Papa – rinnoviamo la nostra stima e l’incoraggiamento. 9. Un’ulteriore parola vorremmo dirla per le Scuole Cattoliche e per i Centri di Formazione Professionale. Pur riconoscendo che alcuni recenti provvedimenti vanno nella giusta direzione, questi Istituti non godono ancora di un’attenzione tale che faccia giustizia a loro e a tante famiglie. Le scuole cattoliche, che sono scuole pubbliche non private, non sono le scuole dei ricchi, ma di coloro che – di solito tirando il fiato per l’ingiustizia dell’apparato statale e amministrativo – si privano di molto per l’educazione dei figli, il loro vero tesoro; pagano le tasse come tutti, ma senza ricevere dallo Stato ciò che ricevono gli altri. I Centri Professionali, poi, sono il salvacondotto educativo e professionale di tanti ragazzi che vengono avviati al lavoro e alla società attraverso dei percorsi specifici. E forse, più ampiamente, vengono riconciliati con la vita. I contributi, oggi stanziati in misura nettamente inferiore agli anni passati e totalmente insufficienti rispetto alle esigenze, arrivano puntualmente in ritardo alle scuole che vivono in perenne affanno per pagare stipendi e strutture. Un’ultima, rispettosa parola la vorremmo rivolgere all’ampio mondo della politica. In realtà è una domanda che scaturisce dal nostro cuore di Pastori e cittadini, e la vogliamo condividere con voi, rappresentanti del nostro Popolo. Giustamente vi chiedete che cosa fare in questa storica congiuntura che segna le spalle di tanta gente. Si sente parlare di “patto sociale” affinché – remando tutti nella medesima direzione – si possa uscire da onde travolgenti. Qualcuno fa riferimento al nostro Dopoguerra: dalle macerie delle case e delle persone, chi era in piedi ha realizzato quel patto sociale da cui è nata la Costituzione. Allora c’era un tessuto connettivo del Paese e da quello partivano le legittime differenze che, però, non impedivano di intendersi sui principi fondamentali. Ma oggi? Non ci sono macerie di case da ricostruire, sembrano esserci, invece, le macerie dell’alfabeto umano. Per questo, per poter rispondere doverosamente al “che cosa fare?”, è necessario chiederci chi siamo, che cosa vogliamo essere. In altri termini, potremmo dire che bisogna rifondare la politica, rimettere cioè a fuoco che cosa vuol dire stare insieme, lavorare insieme per essere che cosa. Non è un esercizio astratto, ma la premessa di ogni urgente dover fare. Premessa che – nell’Italia del dopoguerra – era chiara per tutti, anche per quanti forse non sapevano dirla a parole, ma la sentivano col cuore. Pensare che ora siamo in mezzo ad un groviglio da risolvere solo con capacità e determinazione, sarebbe vero ma incompleto, riduttivo. In realtà, insieme all’Europa, non attraversiamo soltanto una crisi economica e strutturale, ma siamo in mezzo ad una crisi culturale da prendere sul serio. In questo senso, l’Occidente dovrebbe mettersi maggiormente alla scuola di un’autorità alta, quella di coloro che soffrono, che stanno peggio, ricordando che l’ascolto delle sofferenze illumina e guida ogni politica, che intende essere forma alta di servizio. Cari Confratelli, vi ringrazio per la vostra paziente attenzione. Tra poco entreremo nel cuore di questi giorni: la presenza di San Francesco e Santa Chiara, la maternità di Maria Santissima, sono con noi e con i nostri Sacerdoti, Diaconi e seminaristi, ai quali assicuriamo la nostra preghiera mentre chiediamo la loro.