In una Cattedrale piena, alla presenza di numerose comunità parrocchiali presenti e attente, dopo le relazioni di Suor Elena Bosetti e Padre Luigi Guccini, S.E. Rev.ma Mons. Luigi Antonio Cantafora ha pronunciato il seguente discorso in cui ha presentato le linee guida per il nuovo anno pastorale
***
Carissimi, vi ringrazio di essere qui questa sera, come comunità che rappresenta tutta la nostra Chiesa lametina. Ringrazio in particolare Suor Elena Bosetti e Padre Luigi Guccini che ci hanno offerto con sapienza e gusto le loro riflessioni che ci aiutano ad affrontare il nuovo Anno Pastorale. Con questa Assemblea, unita nella preghiera, nell’ascolto della Parola e nel discernimento, si apre davanti a noi un nuovo anno pastorale. Il desiderio è questo: che non sia solo un anno di lavoro, in cui si faranno alcune belle iniziative ma soprattutto un tempo nel quale ci radichiamo sempre più profondamente in Cristo, lo annunciamo e lo testimoniamo. Ci auguriamo che sia soprattutto un anno di misericordia e di grazia e questo significa mettere Cristo al centro, cioè avere Cristo come unica ragione del nostro pensare, del nostro progettare e del nostro operare. Il nuovo anno è una porzione di tempo che ci è data, un’opportunità da giocare. Il tempo diventa nostro alleato quando ci permette di attivare processi senza pretendere di contare successi o fallimenti. Esortava san Paolo: «Fate molta attenzione al vostro modo di vivere… facendo buon uso del tempo, perché i giorni sono cattivi» (Ef 5,15-16). Siamo una Chiesa diocesana, articolata in molte comunità, anzitutto le comunità parrocchiali. Sia la diocesi che la parrocchia hanno una connotazione territoriale. Siamo chiamati ad essere discepoli di Gesù qui e ora, laddove il Signore ci chiama, secondo la logica dell’incarnazione. “Abitiamo” dunque evangelicamente il territorio, con la sua storia, i suoi talenti, i suoi problemi, le sue ferite, le sue attese. Chiediamo al Signore che la nostra Chiesa sia veramente attraente. «La Chiesa non cresce per proselitismo. La Chiesa cresce per attrazione, l’attrazione della testimonianza che ognuno di noi da al Popolo di Dio» (Francesco, 4 ottobre 2013). Una vera chiesa diocesana, come dice ancora Papa Francesco, è una Chiesa che è «Madre dal cuore aperto», dove tutti si sentano a casa, amati e non discriminati da alchimie pastorali o da pregiudizi. Se la Chiesa intera assume questo volto missionario, saprà arrivare a tutti, senza eccezioni. Però chi dovrebbe privilegiare? Nel Vangelo abbiamo un orientamento molto chiaro: non tanto gli amici e vicini ricchi bensì soprattutto i poveri e gli infermi, coloro che spesso sono disprezzati e dimenticati, coloro che non hanno da ricambiarti (EG, 48). Andare in cerca dei poveri, dei peccatori e degli infermi, è l’unica condizione per essere una Chiesa viva, non “al traino” della storia, passiva spettatrice di quanto accade. Tutto questo comporta che “usciamo” dalle nostre sagrestie, dai nostri schemi usurati. Lo stesso Papa Francesco insiste su una Chiesa “in uscita”, direi più creativa, più moderna, che non si rifugia nel sacrario delle novene e degli abbellimenti démodés! Una Chiesa concentrata solo sul culto è una Chiesa che non gioisce, perché non è feconda. Una Chiesa orientata unicamente sul culto, è preoccupata delle sue anticaglie da rispolverare e tenere sempre nuove, ma non abita la storia e manca di vita e di fecondità. La vera pastorale non consiste nell’accontentare, ma nell’osare continuamente per far uscire le persone dalle paludi esistenziali in cui sono immobilizzate. Diceva Benedetto XVI all’inizio del suo pontificato: «La Chiesa nel suo insieme, ed i Pastori in essa, come Cristo devono mettersi in cammino, per condurre gli uomini fuori dal deserto, verso il luogo della vita, verso l’amicizia con il Figlio di Dio, verso Colui che ci dona la vita, la vita in pienezza» (4 aprile 2005). Occorre allora camminare, cioè mettersi in gioco. Quando si cammina, si scaricano i bagagli inutili e resta l’essenziale; per questo il vino nuovo va messo in otri nuovi. Rinnoviamo oggi con umiltà e fermezza il nostro desiderio di annunciare Cristo, «la luce delle genti», che «risplende sul volto della Chiesa» (LG, 1), allontanando una pastorale che rappezza stoffe vecchie con ritagli nuovi. Tuttavia, nonostante i limiti,le fragilità, le fatiche, e anche il peccato, che ci segnano e che talvolta rallentano il nostro cammino, siamo una Chiesa viva! Una Chiesa in cui si esprime una vasta e generosa disponibilità al servizio. Grazie a Dio ci sono sacerdoti, diaconi e laici da apprezzare e ammirare per la passione che condividono annunciando il Vangelo. Una Chiesa è viva nella misura in cui si lascia fecondare dal kerygma! Sì, siamo gravidi, come Chiesa, di questo unico seme che attraversa le nostre interiorità e trasforma dal di dentro, anche la più misera realtà che siamo noi, dandoci la grazia della passione apostolica, la grazia del Vangelo, la grazia di poter annunciare il Vangelo che salva, l’amore gratuito di Dio, che contempliamo nel volto del Cristo morto e risorto. Nell’Invito al Convegno di Firenze che si terrà l’anno prossimo, c’è una frase lapidaria: «Smettiamo di fare calcoli e torniamo a fare Eucarestia». Per celebrare l’Eucarestia, è necessario rinsaldare la comunione tra noi. Comunione: parola tanto amata, realtà tanto tradita! Sappiamo per esperienza che i colpi di testa non aiutano la comunione, ma feriscono i più piccoli, i deboli che amano la Chiesa sinceramente. Con quanta sofferenza riconosciamo vere le parole di Papa Francesco: «All’interno del Popolo di Dio e nelle diverse comunità, quante guerre! Nel quartiere, nel posto di lavoro, quante guerre per invidie e gelosie, anche tra cristiani!» (EG 98). Per fare Eucaristia, per ringraziare, è necessario recuperare uno sguardo positivo su quanto il Signore opera per noi e in un certo modo, anche attraverso noi. Non cediamo dunque alla tentazione della pigrizia, accontentandoci di ciò che facciamo, ma incoraggiamoci piuttosto ad un perseverante impegno. Dice Papa Francesco: «La missione è uno stimolo costante per non adagiarsi nella mediocrità e per continuare a crescere. Seguendo le indicazioni del Santo Padre Francesco, desidero che questo anno 2014-2015 sia vissuto nel ringraziamento e nella lode, per la bella testimonianza di fede dei tanti religiosi e religiose presenti in mezzo a noi. Perché fare nostro, un anno della Vita Consacrata? Per diverse ragioni! Una in particolare vorrei sottolineare: il desiderio di osare decisioni evangeliche con frutti di rinascita, fecondi nella gioia. E in questo senso, noi tutti abbiamo bisogno di andare a scuola dei grandi Santi che hanno rinnovato la Chiesa. La Chiesa che osa è la Chiesa del Risorto. Se noi non osiamo, è perché non abbiamo vinto la morte, presente in noi come egoistica affermazione di sé. Solo se abbiamo dentro il pegno, la garanzia dello Spirito del Risorto possiamo vincere le resistenze umane, il familismo e l’imborghesimento. In questo anno pastorale, scriverò una Lettera alla Diocesi, per ringraziare per il dono della presenza dei religiosi e delle religiose nella nostra Chiesa, sulla scia della lettera che la Congregazione per gli Istituti di Vita Consacrata ha inviato ai religiosi e alle religiose di tutto il mondo. In questa lettera si pone l’accento su due parole: gioia e bellezza per ricordare che i religiosi e le religiose, con il segno della loro consacrazione, sono la testimonianza della gioia e della bellezza di Dio, che fluisce tra le pieghe e le piaghe della nostra storia. La bellezza di cui si parla è quella del Signore Crocifisso. Ma il Cristo è sempre bello, anzi è «il più bello tra i figli dell’uomo» (Sal 45,4), perché è un uomo offerto e consegnato a noi gratuitamente. La vita religiosa è segno della bellezza della consacrazione, del dono radicale di sé. E tanti religiosi e religiose martiri in questo tempo sono per noi un grande esempio. Bellezza e gioia sono collegate. è la gioia frutto dello Spirito Santo (Gal 5,22), la gioia vera di sentirsi amati gratuitamente dal Signore e di vivere donando se stessi, portando a tutti la consolazione di Dio, la notizia dell’amore gratuito del Signore vivente perché, anche se nell’andare si va piangendo portando la semente da gettare, poi si torna con gioia portando i covoni (Sal 126,6). Unirsi attorno ai religiosi e alle religiose, in questo anno dedicato a loro, significa per noi incamminarci e riscoprire insieme come Chiesa, il fluire della gioia e della bellezza, possibili e sperimentabili solo se Cristo è davvero per noi, l’unico necessario. E per scoprire la gioia e la bellezza dentro la nostra Chiesa è necessario avere un unico Maestro, Cristo. E se Cristo è il nostro Maestro, allora noi siamo i suoi discepoli, i suoi collaboratori e non i suoi concorrenti. Solo insieme a Cristo, riusciremo a ritrovare la bellezza e la gioia di essere Chiesa qui, una Chiesa che esce, cammina e osa, perché vive in Cristo e questo gli basta. Abbiamo bisogno di riscoprire, là dove si sono affievoliti, la bellezza, il gusto, il sapore buono, il desiderio positivo, l’esperienza arricchente, la gioia, la passione di annunciare il Vangelo. La stanchezza o il pensiero che il nostro compito sia troppo difficile, non ci scoraggi. Camminiamo insieme. In conclusione desidero richiamare brevemente altri impegni e appuntamenti. Anzitutto il cammino di preparazione al Convegno ecclesiale della Chiesa Italiana che avrà luogo a Firenze nel novembre 2015. Si tratta di un importante appuntamento per la Chiesa Italiana che vuole riproporre l’esperienza di sinodalità, di comunione e di discernimento già sperimentata nel 2006 con il Convegno di Verona. A tal proposito, dal 22 al 24 maggio prossimo, la Diocesi vivrà una tre giorni di riflessione e laboratorio, che si concluderà con la giornata diocesana dei giovani. Un secondo evento, appartenente alla vita della nostra Diocesi, è l’imminente inizio, martedì prossimo, del Laboratorio di formazione permanente per i laici. So che già tanti sono gli iscritti. Desidero precisare che il Laboratorio per i laici, non è solo un corso di teologia, ma è uno strumento formativo che ci aiuta a essere Chiesa. Su tutti invoco la benedizione del Signore, perché la partecipazione a questi corsi di teologia faccia crescere la conoscenza della fede e l’appartenenza alla nostra Chiesa diocesana. Non abbiamo la preoccupazione di dare nozioni, ma sentiamo l’urgenza di richiamare tutti a un’autentica conversione, a un cambiamento di direzione, verso Dio, tale che incida nella vita e smuova anche la società civile. A tal proposito, in questa sede così importante per la nostra Chiesa, vogliamo ricordare che il nostro Battesimo ci chiede il dovere della testimonianza e dell’impegno civile e sociale. Tra non poco, tutta la nostra Regione vivrà il delicato appuntamento delle elezioni regionali. Il nostro augurio è che nelle liste di ogni partito, trovi posto chi vuole veramente impegnarsi con gratuità e coraggio nel far crescere la nostra terra. è urgente che la società civile, unitamente ai cattolici, si ritrovi nella ricerca del bene comune, perché nasca una massa critica, capace di indicare una via d’uscita per questo momento difficile e riscoprire la democrazia alta, degna di questo nome. Ogni cristiano attende liste pulite, ma anche liste con uomini e donne capaci. Affidiamo questo nuovo anno pastorale, all’aiuto e all’accompagnamento della Vergine Maria, Madre di Dio e nostra, come pure all’intercessione dei nostri santi Patroni Pietro e Paolo.
La parola del Vescovo
Discorso per l’Apertura dell’Anno Pastorale 5 ottobre 2014
Paolo Emanuele · 10 anni fa