L’intera Liturgia di questa ventisettesima domenica del tempo ordinario proclama l’amore di Dio per il suo popolo. La pagina del Libro di Isaia presenta con accenti di alta poesia la storia d’amore di Jahvè per “la casa di Israele”: è un amore appassionato ed esigente, che non si rassegna di fronte all’infedeltà e al tradimento. Ugualmente intenso ed ostinato è l’amore descritto nella parabola evangelica: il padrone della vigna non s’arrende di fronte all’ingratitudine e all’inaccoglienza degli uomini, dei vignaioli ai quali ha affidato la terra. Il cantico della vigna è la manifestazione di un cuore, quello di Dio, tradito, offeso, dimenticato nel suo grande amore, ma anche ingannato, raggirato, profanato, desacralizzato. è il cantico della decisione di Dio di abbandonare per un poco Israele a se stesso, perché impari che senza di Lui egli non è; egli può essere solo con il suo Dio, ma questi è nella Legge e nei Comandamenti. Poiché ha deciso di essere senza Comandamenti, Israele è anche senza Dio; se è senza di Lui sui suoi passi ci sarà solo la morte. Dio è la vita; senza di Lui è la distruzione; senza cinta di riparo è la fine della buona vigna piantata da Dio sopra il fertile colle di Sion. Il Signore aveva con cura piantato Israele. Lo aveva seguito passo passo. Lo aveva fatto crescere con immenso amore. Perciò Israele doveva e poteva produrre frutti di giustizia e di santificazione, di osservanza dei Comandamenti, di amore, di pace, di concordia tra i suoi figli. Questi erano frutti buoni e gustosi che Egli si aspettava dalla sua vigna. Invece, le attese del Signore non sono state rispestettate. Fa riflettere il lamento contenuto nella prima Lettura: “Perché, mentre attendevo che producesse uva, essa ha fatto uva selvatica?” (Is 5,4). Anche oggi, quanti frutti amari ci sono sulla terra! Lo si vede ogni giorno: guerra, odio, ingiustizia, ogni sorta di male. Frutti amari che avvelenano i cuori ed intere comunità umane. Ma da dove essi vengono se non dalla filautìa, l’amore di sé che mira al possesso egoista della terra? Da dove vengono, se non dal rifiuto di accogliere gli inviati del Signore e soprattutto il Figlio suo, il Redentore dell’uomo? Solo aprendo il cuore all’amore di Dio, è possibile produrre frutti di conversione e di pace. Dio aveva svolto un gran lavoro per fare bella la sua vigna; l'aveva cinta di amore e di misericordia, ma i frutti furono solo ingiustizia e grida di oppressi. Al Signore non resta che togliere ogni protezione, abbandonando la sua opera in balia delle bestie selvatiche per la distruzione e la catastrofe; Israele riprende la via dell'esilio e della schiavitù, senza per questo porre fine alla sua malvagità; la sua dura cervice non si piegò sotto il giogo della legge santa del Dio Santissimo e nella sua ostinazione continuò a non dare frutti. Ma il Signore non può attendere a lungo, non può inutilmente aspettare che Israele si decida. La salvezza del mondo vuole che Egli provveda per altre vie, per altre strade, chiamando altri uomini, più generosi, più aperti, più volenterosi, disposti a manifestare il suo amore al mondo intero e per questo sempre pronti a lasciarsi modellare dalla Parola. Tutto questo emerge con chiarezza anche nella parabola di Cristo, contenuta nel vangelo di questa domenica. In essa viene meglio fatto emergere il pensiero di Dio e l’opera della salvezza che intende realizzare per ogni uomo: la Sua salvezza, però, se pur manifesta il Suo perenne amore per l’uomo da salvare, essa stessa viene costantemente ostacolata dal peccato dell'uomo che ne impedisce la realizzazione nella storia di ogni uomo. Poiché l'uomo è soggetto di salvezza e non solo oggetto, Dio ha bisogno sempre di nuovi uomini che portino nella storia il suo disegno di amore e di misericordia in favore dell'intera umanità. Dio non solo chiama l'uomo alla salvezza, lo chiama anche a collaborare perché la salvezza si espanda sulla terra, affidandogli la missione non come atto assoluto, ma come atto di responsabilità. Nel caso egli non la porti innanzi, non la doni, il Signore interviene e chiama altri uomini perché il suo disegno di amore si compia secondo giustizia e perfezione. Sovente purtroppo l'uomo pensa di potersi appropriare delle porte del Regno per chiuderle ed aprirle a suo piacimento. La salvezza è legata all'uomo obbediente, che ascolta, che cammina nella Parola, che è docile a Dio e al suo Santo Spirito, che vuole offrire la vita per il Regno. Di questo uomo il Signore ha bisogno, di questo uomo autentico e vero.
Il Vangelo della domenica
Riflessione sulla 27° Domenica del Tempo Ordinario
Paolo Emanuele · 10 anni fa